Pedagogia, don Milani e la sua lezione. Ancora don Milani, punto di riferimento obbligato per ogni discorso sulla scuola, sulla pedagogia, e anche su cosa avrebbe potuto essere l'Italia se l'istituzione scolastica (penso alla più malvagia di tutte, l'Università) ne avesse davvero accolto la sua lezione. (Scopri di più su: Avvenire.it)
  • Goffredo Fofi
Una recente antologia degli interventi “storici” più significativi sul priore di Barbiana e sulla Lettera che lui e i suoi allievi scrissero a una professoressa degli anni sessanta dello scorso secolo (Don Milani tra noi, a cura di Gabriele Vitello, Edizioni dell'asino) e un saggio storico di Vanessa Roghi (La lettera sovversiva, Laterza) di agile lettura e appassionata stesura, ricostruiscono in modi diversi la stessa storia: la ricezione della lettera da parte della cultura, della scuola, delle istituzioni, dimostrandone la vitalità e l'importanza.

La ricostruzione della Roghi è a suo modo una storia della società italiana e delle ambiguità e storture che essa si trascina dietro, ma anche della pigrizia, del conformismo, della viltà della cultura ufficiale, quella che ha finito per dominare e ha finito anche per svilire o distruggere la nostra scuola tra stupidità burocratica e assenza di visione. Si tratta dunque di libri appassionanti anche perché, a mio parere, riaprono un discorso sullo stato di una scienza tremendamente decaduta, la pedagogia. E in questo senso mi sembra giusto segnalare un altro libro recente, breve e intensissimo, delle edizioni Edb, di un emerito pedagogista, Andrea Canevaro, sulla cui capacità di ritrovare il fiato e l'entusiasmo del passato nutrivamo dei dubbi. Il suo libro si intitola Il ragazzo selvaggio.

Handicap, identità, educazione. Riguarda l'handicap, e parte dalla storia di Victor, il “ragazzo selvaggio” dell'Aveyron – un caso famoso del tentato recupero di un bambino abbandonato nella foresta, allevato dai lupi e ritrovato adolescente che colpì l'immaginazione dell'800 europeo, e da cui Truffaut trasse un film che mi sembrò a suo tempo, in tema di recupero, un po' troppo ottimista. Ma Canevaro ne trae il pretesto per divagazioni, allargamenti e riflessioni colte e convincenti, che allargano la nostra comprensione su temi pedagogici cruciali quali l'identità, l'adattamento, le ambiguità di ogni educazione e di ogni educatore per il ruolo insieme costrittivo e necessario della sua azione.

Fino a che punto si deve essere costrittivi, come si può evitarlo, quale la giusta strada? Al fondo, è il tema antico del rapporto tra educazione e democrazia, convivenza civile, che ogni volta si ripropone, e Canevaro lo sa e sa divagare con cultura e intelligenza, allargare il discorso, e, con qualche titubanza, riportarlo all'oggi. La Roghi è più decisa nella difesa del modello studiato, nella forza ancora odierna della Lettera, e nel discorso sull'oggi. L'importante è che da più parti si ricominci a parlare di pedagogia e a discuterne avendo presente il tempo in cui viviamo e le sue necessità, diciamo pure il suo disastro. La Roghi è una storica, Canevaro un pedagogista che sa molto di psicologia, ed è da lui che la pedagogia deve aspettarsi di più, oltre i compromessi che ha accettato in passato, lui come tanti.

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