Siamo alla quarta giornata di Conferenza che sempre di più affronta temi sociali, economici e in primo luogo quello dei diritti umani. In questa 17a edizione la prevenzione - intesa anche come accesso ai servizi sanitari per le PLHIV e non solo la tutela delle persone sieronegative - traina tutto il programma.
Paradossalmente, come ha dichiarato Peter Piot (direttore esecutivo UNAIDS), alla luce dei primi dati confortanti ma non esaustivi relativi all'aumento del numero di persone in trattamento nei paesi con risorse limitate, la prevenzione non è praticata come dovrebbe e non sempre è basata su programmi efficaci basati sull'evidenza.
Quella di Piot è una vera "Call for Action" come lui stesso l'ha definita durante la bellissima sessione The Lancet Series on HIV Prevention in cui si sono discussi gli interventi di prevenzione utilizzati durante questi 25 anni di pandemia, i successi e i fallimenti.
Il dato preoccupante che emerge nel 2008 è che, per ogni persona che inizia un trattamento, altre tre acquisiscono una nuova infezione. Leggendo cinicamente questo dato appare chiaro che se il trend continuerà sarà impossibile raggiungere l'obiettivo del 2010 di garantire a tutte le persone infettate dall'HIV l'accesso ai trattamenti, soprattutto dal punto di vista economico. Il paradosso - a giudizio del panel della sessione - sta nel fatto che, nonostante l'evidenza scientifica del buon funzionamento di alcuni interventi di prevenzione, molti governi non li applicano.
"Ripercorrendo l'inizio della pandemia - ricorda Piot -, abbiamo visto come negli anni ?80 anche in assenza di conoscenza scientifica e con pochissimi strumenti disponibili (solo preservativi e siringhe pulite) le stesse comunità colpite dalla infezioni in USA e in Europa siano riuscite a mobilitarsi e a contenere l'infezione. Oggi, con molta più conoscenza scientifica e talvolta la presunzione di sbandierare (almeno per ora) chimere quali microbicidi, vaccini, circoncisione, PREP, PEP e quant'altro, il numero delle nuove infezioni non diminuisce. In alcuni paesi con risorse limitate, dove i trattamenti sono ora disponibili, vi è stato un beneficio indiretto quasi unicamente dovuto alla terapia antiretrovirale (ARV): in pratica una persona in ARV con carica virale non rilevabile ha poche possibilità di trasmettere l'infezione".
Il tema della prevenzione soprattutto nelle popolazioni vulnerabili è molto presente in tutta la conferenza e durante le plenarie tra i relatori e le relatrici è sempre stato garantito il punto di vista della comunità Hiv+. Non è la prima volta che questo accade, ma normalmente erano sempre rappresentanti di network internazionali di PLHIV. Oggi invece sul palco della IAC sale Elena Reyanaga, attivista e presidente del network latinoamericano sulla prostituzione, ed è la prima volta che prevenzione e diritti umani di questa popolazione vulnerabile ottengono finalmente spazio in una plenaria. L'emozione è tanta per Elena e il supporto proveniente dalle prime file - quasi interamente occupate dalle persone GLBT (Gay,Lesbiche,Bisessuali, Transessuali) che svolgono il lavoro sessuale - la porta alle lacrime.
Durante la sua comunicazione - che deve aver stupito molti dei presenti alla conferenza - Elena, rivolgendosi all'UNAIDS, pretende anche per la comunità delle persone che si prostituiscono un riconoscimento come parte importante nella lotta contro il virus e denuncia i finanziamenti tagliati dal Fondo Globale alla America Latina su questo tema.
Attraverso questi fondi nel passato si erano attuati programmi che hanno ridotto a meno del 5% la prevalenza di HIV tra le prostitute: paradossalmente il Fondo Globale non finanzia programmi sulla prostituzione se la prevalenza è meno del 5%. È scontato quindi che gli sforzi fatti fino ad oggi si perderanno velocemente e la prevalenza risalirà vanificando il lavoro fatto fino a qui.
Attualmente in questi interventi mancano preservativi e lubrificanti da distribuire ma, per compiacere la politica antiprostituzione degli Stati Uniti, alcuni paesi come la Cambogia hanno introdotto leggi che prevedono la detenzione a scopo di protezione delle prostitute in centri speciali in quanto "vittime". In questi centri però le persone vengano sottoposte a violenza sessuale e ricatti da parte della polizia, che spesso pretende anche un pagamento per rilasciarle.
"Riconoscere e definire le persone che si prostituiscono solo come vittime della tratta non aiuta il loro empowerment - spiega Elena - anzi ne aumenta la vulnerabilità, lo stigma e la discriminazione". Nonostante ciò, sempre per compiacere Stati Uniti e altri governi conservatori, sono solo i programmi che prevedono come obiettivo finale l'uscita dalla tratta che attualmente vengono finanziati a discapito di quelli che prevedono autotutela della propria salute ed empowerment.
Ma i dati dell'UNAIDS dicono che su tre prostitute una non può fruire dei servizi di acceso alla salute.
Dal 2001 a oggi anche sulla prostituzione come sulle politiche per l'AIDS, l'ONU (UNGASS) ha fatto una brusca inversione di marcia. L'anno scorso tutti i network delle prostitute, con l'appoggio del governo brasiliano, hanno chiesto all'UNAIDS di modificare il documento guida sui tre pilastri alla base dei programmi di prevenzione per l'HIV che riguardano il loro campo in quanto, a differenza del precedente (2002-2004), dalla sua elaborazione sono state escluse proprio le comunità delle prostitute, con l'ovvio risultato di un testo che contiene solo l'enfasi antiprostituzione.
Il successivo intervento di Adeeba Kamarulzaman dell'Università di Kuala Lumpur (Malaysia) ribadisce che una delle strategie di prevenzione contro l'HIV con più solide evidenze scientifiche è la riduzione del danno. La sua relazione inoltre sottolinea che, ad eccezione dell'Africa, il 30% delle nuove infezioni riguarda il consumo di sostanze, ma in Europa Orientale e in Asia Centrale la percentuale sale a più del 80%, con delle punte sempre in Asia dell'89% di tutti i casi. In particolare, i paesi dove la principale via d'infezione riguarda l'assunzione di sostanze per via iniettiva sono una decina: Cina ,Georgia, Indonesia, Kasakistan, Kirghizistan, Malaysia, Russia, Tagikistan, Ucraina e Vietnam. Nel continente africano, inoltre, si è registrato in Kenya e in Nigeria l'avvio di questa modalità di trasmissione prima assente.
Nonostante ciò, solo 77 paesi hanno programmi di scambio di siringhe e solo 63 paesi hanno programmi con sostanze sostitutive (metadone, buprenorfina), benché dal 2005 - dopo una lunga azione internazionale supportata anche dalla LILA - questi due farmaci siano nella lista dei farmaci essenziali dell'OMS.
Anche in questo campo l'atteggiamento schizofrenico dell'ONU ha ricevuto molte critiche. Infatti, se nel 2005 l'assemblea UNGASS sull'Aids ha suggerito ai governi di implementare le politiche di riduzione del danno proprio per combattere il dilagare dell'HIV, dall'altra nel 1988 l'UNGASS sulle droghe aveva avviato la War on Drug che consigliava la repressione anche violenta di coltivazione, produzione, traffico e consumo. Questa sciagurata e fallimentare strategia, com'era prevedibile, ha solo prodotto vittime tra i consumatori, ha favorito il dilagare dell'HIV in molti paesi, ha aumentato la produzione, il traffico e il consumo delle sostanze illegali a livello mondiale. I dati di War on Drug dovevano essere presentati nel 2008 a Vienna, ma in extremis l'assemblea generale ONU responsabile nel campo delle droghe è stata spostata all'anno prossimo, proprio per non dover diffondere questo catastrofico insuccesso.
Infine, durante questa Conferenza, la pandemia tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) è stata più volte definita "la pandemia invisibile". La definizione è data dal fatto che nel mondo il numero di MSM che ha accesso ai servizi sanitari, alle informazioni sulla salute sessuale e ai programmi di prevenzione è bassissimo. Da molti lavori presentati su questo argomento viene evidenziato che il fattore che influenza la vulnerabilità e l'esposizione al virus HIV e alle infezioni sessualmente trasmesse è la violazione dei diritti umani, che si esprime nella criminalizzazione dell'orientamento sessuale, nella non libertà all'orientamento sessuale, nello stigma, nella discriminazione e nell'omofobia.
In 86 paesi vige la criminalizzazione dei comportamenti omosessuali fino ad arrivare all'ergastolo, in 8 stati addirittura vige per questo "reato" la pena di morte (Afghanistan, Yemen, Arabia Saudita, Iran, Somalia, Mauritania, Nigeria, Sudan). È chiaro quindi che governi che ritengono illegale un comportamento non ne analizzano l'epidemiologia né tanto meno attuano una sorveglianza per contrastare la diffusione del virus, così come non adottano misure di prevenzione e tutela della salute di questa fascia di popolazione.
Durante la Jonathan Mann Memorial Lecture il dott. Jorge Saavedra, omosessuale e direttore del programma nazionale messicano contro l'AIDS (CENSIDA), ha invece illustrato le strategie per contrastare la pandemia silenziosa:
in campo educativo ci vogliono programmi rivolti ai comportamenti sessuali, alla peer education, alla promozione del preservativo e del lubrificante, al test volontario e al counselling, al controllo delle malattie sessualmente trasmesse e alla vaccinazione per epatite A e B;
in campo medico sono fondamentali il trattamento antiretrovirale per le persone sieropositive che lo necessitano, l'accoglienza e la sospensione del giudizio da parte del personale sanitario;
Alla fine del suo intervento il dott. Saavedra dedica la presentazione a suo marito e con molta ironia aggiunge: "Sì, avete capito bene, mio marito ed io ci siamo sposati in California!" Sullo schermo della XVII Conferenza Internazionale scorre la foto di una famiglia che appare felice...