Molto brave ad attrarre le persone, non sempre capaci di trattenerle nel medio-lungo periodo. Così vengono fotografate le organizzazioni non profit dall'Indagine sulle prassi gestionali e retributive, presentata a Milano presso Assolombarda e condotta nel 2004 dall'Osservatorio Sodalitas-HayGroup sulle Risorse Umane nel Nonprofit.
La ricerca - condotta su un campione di 64 organizzazioni no profit, composto da cooperative sociali (43%), associazioni e fondazioni (34%), organizzazioni non governative (17%), enti di assistenza (6%), prevalentemente localizzate nell'Italia del Nord e appartenenti a federazioni o consorzi, e nate nella metà dei casi dopo il 1990 - evidenzia come il lavoro nel no profit ha un potenziale di crescita quantitativa e qualitativa significativa. Tanto che si sta consolidando un mercato del lavoro interno al no profit. il 60% dei neo-assunti proviene da altre organizzazioni no profit (la percentuale scende al 40% per i dirigenti).
Altrettanto rilevante il fatto che il 40% dei neo-assunti provenga da settori diversi dal no profit, a conferma dell'attrazione esercitata dal terzo settore e non solo sui giovani. L'occupazione continua a crescere (i dipendenti aumentano in media del 9% all'anno) grazie all'ingresso del no profit in nuovi ambiti produttivi, anche se il fenomeno dà primi segnali di attenuazione. Tuttavia, è stato rilevato un turn over elevato: in media, ogni anno il 25% dei dipendenti lascia la nonprofit di appartenenza. La maggiore criticità sembra essere rappresentata dalla difficoltà a trattenere le persone, il che rappresenta un evidente ostacolo allo sviluppo delle organizzazioni.
La difficoltà a trattenere le persone è una delle principali criticità rilevate anche da Carlo Borzaga, preside della Facoltà di Economia dell'Università di Trento, che ha fornito un inquadramento generale del mercato del lavoro del no profit. "Le caratteristiche dimensionali del no profit italiano mostrano come il terzo settore rivesta una rilevanza crescente: sono 221.412 le nonprofit italiane censite dall'Istat nel 2001, in cui operano 600.000 lavoratori remunerati (15,8% della forza lavoro) e 3,3 milioni di volontari (84,2% della forza lavoro). Il 73,6% degli enti impiega solo volontari, mentre l'11% ricorre solo a lavoratori remunerati" spiega il professore. Dalla ricerca ISFOL del 2002 sulle imprese sociali, emerge che i lavoratori retribuiti sono in prevalenza donne (64,6%); in elevata percentuale sono giovani (età media tra i 30 ed i 39 anni) e con titolo di studio elevato (laureati pari al 27,2%).
Carlo Borzaga, concludendo il proprio intervento, ha auspicato che le organizzazioni nonprofit adottino "politiche di fidelizzazione che valorizzino i lavoratori attivi da più tempo, ma anche i lavoratori con elevato titolo di studio": la spinta motivazionale, forte al momento dell'inserimento, deve essere "coltivata" e rafforzata nel tempo dall'organizzazione.
"Sono convinto che ogni organizzazione debba avere molta cura dei propri dirigenti - aggiunge Johnny Dotti, presidente Cgm - Welfare Italia - Da parte, nostra abbiamo sempre predisposto percorsi formativi per i cooperatori della rete: i risultati sono stati importanti sia per qualità che per quantità e cioè per numero dei partecipanti. In questo periodo, stiamo cominciando a immaginare nuovi percorsi grazie ai quali formare nei dirigenti Cgm un comune habitus. Siamo convinti che ci si riconosca in un ethos, più che in una rappresentanza. Incontrare l'uomo è, secondo noi, costruire comunità. Welfare Italia, il marchio che abbiamo appena creato, intende sostenere i territori dando una risposta ai molteplici bisogni dei cittadini. Di conseguenza, il profilo del dirigente dovrà soddisfare caratteristiche molteplici, innestando i saperi specifici sull'habitus cooperativo".
Analizzando le prassi retributive degli enti no profit, l'Indagine dell'Osservatorio ha realizzato un confronto intersettoriale - tra no profit, pubblica amministrazione, industria/commercio, finanza - dei livelli retributivi di dirigenti, quadri e impiegati, dal quale è emerso che le retribuzioni possono essere definite complessivamente "frugali". La forbice, non così evidente al momento dell'inserimento, si allarga progressivamente negli anni, e diventa più ampia soprattutto con riferimento ai dirigenti. La differenza retributiva rispetto ad altri settori si accompagna, d'altra parte, anche col fatto che un numero ancora molto limitato di organizzazioni ha adottato piani formalizzati di incentivazione economica, e i benefici addizionali, benché concessi in misura crescente, si limitano a quelli di base (es. ticket mensa).
Oltre ad approfondire le prassi gestionali e retributive, l'Indagine si è focalizzata sull'identificazione dei profili di competenze, cioè le "caratteristiche personali che danno luogo a comportamenti organizzativi valutabili in termini di risultati". Cinque le figure professionali studiate dall'indagine: il responsabile delle risorse umane, l'educatore, fundraiser, manager di rete, responsabile area/progetti.
Carlo Borzaga, concludendo il proprio intervento, ha auspicato che le organizzazioni nonprofit adottino "politiche di fidelizzazione che valorizzino i lavoratori attivi da più tempo, ma anche i lavoratori con elevato titolo di studio": la spinta motivazionale, forte al momento dell'inserimento, deve essere "coltivata" e rafforzata nel tempo dall'organizzazione.
"Sono convinto che ogni organizzazione debba avere molta cura dei propri dirigenti - aggiunge Johnny Dotti, presidente Cgm - Welfare Italia - Da parte, nostra abbiamo sempre predisposto percorsi formativi per i cooperatori della rete: i risultati sono stati importanti sia per qualità che per quantità e cioè per numero dei partecipanti. In questo periodo, stiamo cominciando a immaginare nuovi percorsi grazie ai quali formare nei dirigenti Cgm un comune habitus. Siamo convinti che ci si riconosca in un ethos, più che in una rappresentanza. Incontrare l'uomo è, secondo noi, costruire comunità. Welfare Italia, il marchio che abbiamo appena creato, intende sostenere i territori dando una risposta ai molteplici bisogni dei cittadini. Di conseguenza, il profilo del dirigente dovrà soddisfare caratteristiche molteplici, innestando i saperi specifici sull'habitus cooperativo".
Analizzando le prassi retributive degli enti no profit, l'Indagine dell'Osservatorio ha realizzato un confronto intersettoriale - tra no profit, pubblica amministrazione, industria/commercio, finanza - dei livelli retributivi di dirigenti, quadri e impiegati, dal quale è emerso che le retribuzioni possono essere definite complessivamente "frugali". La forbice, non così evidente al momento dell'inserimento, si allarga progressivamente negli anni, e diventa più ampia soprattutto con riferimento ai dirigenti. La differenza retributiva rispetto ad altri settori si accompagna, d'altra parte, anche col fatto che un numero ancora molto limitato di organizzazioni ha adottato piani formalizzati di incentivazione economica, e i benefici addizionali, benché concessi in misura crescente, si limitano a quelli di base (es. ticket mensa).
Oltre ad approfondire le prassi gestionali e retributive, l'Indagine si è focalizzata sull'identificazione dei profili di competenze, cioè le "caratteristiche personali che danno luogo a comportamenti organizzativi valutabili in termini di risultati". Cinque le figure professionali studiate dall'indagine: il responsabile delle risorse umane, l'educatore, fundraiser, manager di rete, responsabile area/progetti.
Affari Italiani, 24 maggio 2005