Nel suo rapporto "Rhetoric and reality: the Iraqi refugee crisis", basato su recenti ricerche e interviste ai rifugiati iracheni, Amnesty International denuncia che gli Stati più ricchi del mondo non stanno fornendo la necessaria assistenza a persone che, nella maggior parte dei casi, si trovano ormai in una situazione disperata e stanno scivolando verso la totale indigenza.
"I governi" - si legge nel rapporto - "stanno facendo poco o niente per aiutare i rifugiati iracheni, venendo così meno al loro obbligo morale, politico e legale di assumere una responsabilità comune nei loro confronti. Disinteresse e retorica contraddistinguono in misura schiacciante la risposta a una delle peggiori crisi dei rifugiati dei nostri tempi".
Il governo iracheno e quelli degli Stati coinvolti nell'invasione del 2003, in particolare Usa e Regno Unito, stanno pubblicizzando, per ragioni politiche, il "miglioramento" della sicurezza e i ritorni "volontari" per dimostrare che il loro impegno militare è stato un successo.
"Ma la retorica non può nascondere la realtà, e cioè che la situazione dei diritti umani complessivamente considerata rimane agghiacciante" - ribatte Amnesty International. "I mesi passano e i gruppi armati, i soldati della Forza multinazionale, le forze di sicurezza irachene e il personale delle compagnie private militari e di sicurezza continuano a uccidere. I rapimenti, le torture, i maltrattamenti e gli arresti arbitrari dominano la vita quotidiana degli iracheni che cercano una via di fuga, diventata sempre più difficile a seguito delle recenti restrizioni sui visti imposte da Giordania e Siria".
Secondo le ultime stime dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, il numero degli iracheni che hanno lasciato le proprie case è salito a 4,7 milioni, il dato più alto dall'invasione guidata dagli Usa e dal successivo conflitto armato interno.
Giordania e Siria, che hanno sostenuto l'impatto maggiore dell'afflusso di rifugiati, hanno ora introdotto misure drastiche, anche a causa della mancanza di sostegno della comunità internazionale, come le restrizioni all'ingresso e la deportazione di persone che, in questo modo, rischiano di subire persecuzioni.
Dopo aver esaurito ogni risparmio, molti rifugiati vivono attualmente nella più completa indigenza e vanno incontro a nuovi pericoli, come il ritorno "volontario" forzato o il lavoro minorile: molte famiglie, infatti, non hanno altra scelta se non far lavorare i propri bambini nelle strade, in un disperato tentativo di sopravvivenza.
Le difficoltà incontrate nei paesi ospitanti stanno spingendo molti rifugiati a prendere una decisione ardua e coraggiosa: ritornare in Iraq, temporaneamente per riscuotere la pensione, una razione alimentare o per ulteriori motivi oppure definitivamente, a causa della disperata situazione in cui si trovano all'esterno, non perché ritengano di essere al riparo da nuove violazioni dei diritti umani una volta rientrati in patria. Stanno prendendo questa decisione perché non hanno alcun'altra possibilità.
Il rapporto di Amnesty International racconta, tra le tante, la storia di Majid, 62 anni, sciita, ufficiale dell'esercito in pensione. Vedovo con sette figli adulti, è fuggito da Baghdad nel febbraio di quest'anno, dopo che due suoi nipoti, Mansour (17 anni) e Sami (19) erano stati decapitati da un gruppo armato in un quartiere settentrionale della città. È arrivato con meno di un euro in tasca in Siria, ma dopo poco tempo è stato costretto a rientrare in Iraq. Intervistato da Amnesty International, spaventato e in lacrime, ha spiegato di non avere alternative e di aver perso ogni speranza: "Se devo morire, che muoia!"
Molti Stati europei stanno cercando di deportare i rifugiati iracheni talvolta persino verso le regioni centrali e meridionali dell'Iraq, le più pericolose. Oltre a procedere a espulsioni dirette, i governi europei stanno adottando misure indirette, come il taglio dell'assistenza e dei servizi in favore di coloro cui è stata respinta la domanda di asilo politico, per spingerli a tornare "volontariamente" in Iraq.
La Svezia, il paese europeo che ospita il maggior numero di rifugiati iracheni e che in passato è stato un esempio positivo, ha cambiato atteggiamento e sta ora negando protezione alla maggior parte dei rifugiati, obbligando alcuni di essi a rientrare in zone estremamente pericolose dell'Iraq.
Amnesty International nutre grande timore che l'assenza di risposte alla crisi dei rifugiati iracheni peggiorerà una situazione già drammatica. Per questo l'organizzazione per i diritti umani chiede alla comunità internazionale di:
aumentare urgentemente e significativamente l'assistenza finanziaria disponibile;
porre fine ai ritorni forzati, che mettono ulteriormente a rischio vite umane;
porre altresì fine ai ritorni "volontari" imposti con la forza;
consentire ai singoli rifugiati di cercare impieghi retribuiti;
individuare un numero maggiore di luoghi di reinsediamento per i rifugiati più vulnerabili, in modo che possano iniziare una nuova vita in un paese terzo.
Amnesty International chiede inoltre ai governi di Egitto, Giordania, Libano e Siria e di altri paesi della regione medio-orientale di consentire libero ingresso alle persone in fuga dall'Iraq, porre fine alle deportazioni e garantire l'accesso dei rifugiati al mercato del lavoro.
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