C'è un Italia altamente contaminata, infetta, appestata. Carica di amianto, diossina, mercurio, ddt, solventi e via inquinando: aree dove la nostra industria più aggressiva e obsoleta ha compromesso terra, aria e falde acquifere per milioni di metri cubi. C'è anche un Programma nazionale per bonificarle. O meglio ci sarebbe. Dal 1998 gli interventi programmati e annunciati sono al palo. È la denuncia fatta da Legambiente nel dossier "La chimera delle bonifiche" presentato oggi a Roma. Il territorio contaminato è vastissimo: 154.000 ettari, pari all'estensione dei comuni di Milano, Napoli, Genova, Torino, Palermo, Firenze, Bologna, Bari, Cagliari e Catania, di cui poco meno della metà (74.000) solo a Casal Monferrato, circa 14.000 nel litorale dominio-flegreo e nell'agro aversano, 5.800 a Brindisi e 3.500 a Porto Marghera. Il monitoraggio realizzato da Legambiente è dedicato alle aree da bonificare e allo stato di attuazione del Programma di bonifica approvato dal ministero dell'Ambiente che, partendo dai primi 15 siti di interesse nazionale della legge 426 del 1998, oggi conta ben 50 siti su cui intervenire.
I rifiuti, non solo industriali, all'origine di queste contaminazioni richiedono interventi complessi. Anche per le quantità in gioco. Si va dai 7 milioni di metri cubi di sedimenti contaminati da dragare nella laguna di Venezia al milione e mezzo di metri cubi di rifiuti da rimuovere nelle 110 discariche non controllate della provincia di Frosinone, ai 600.000 metri cubi di terreni contaminati da ddt, arsenico e mercurio di Pieve Vergonte in Piemonte, passando per i 140.000 metri cubi di sali sodici ancora da rimuovere dai cosiddetti lagoons, i bacini che raccolgono i rifiuti liquidi dell'Acna di Cengio. Ma ci sono anche le emissioni in atmosfera dell'Ilva di Taranto, che da sola produce il 70% delle emissioni nazionali e il 10% di quelle europee di monossido di carbonio da attività industriali. E i rischi sanitari, con i sarcomi dei tessuti molli di Mantova nei pressi dell'inceneritore ex Enichem, le malformazioni congenite nel triangolo Augusta-Priolo-Melilli e il mesotelioma pleurico degli abitanti di Biancavilla.
Molte le questioni ancora irrisolte. A cominciare da quelle di carattere impiantistico, come i ritardi nell'adozione di tecnologie migliori negli stabilimenti Syndial di Priolo (Sr), al centro dello scandalo del mercurio in mare che portò all'arresto dei vertici del petrolchimico siciliano nel gennaio 2003. Al problema di come migliorare lo svolgimento delle attività industriali più a rischio contaminazione si somma quello dello stentato avvio del risanamento delle aree già inquinate, come già denunciato dalla Corte dei Conti all'inizio del 2003. Ma a due anni da quella bocciatura lo scenario non cambia. Qualche avanzamento c'è stato, visto il tempo trascorso, ma il ministero dell'Ambiente non è riuscito ad accompagnare la crescita del numero di siti contaminati (15 nel 1998, 18 nel 2000, 41 nel 2001, 50 nel 2002), dimostrando un'inefficace gestione delle istruttorie aperte con le conferenze dei servizi nazionali. In alcuni casi con l'inserimento nel Programma nazionale l'iter istruttorio già avviato in sede locale ha subito paradossalmente un forte rallentamento dei lavori.
Anche quello dei rifiuti è un capitolo sostanzialmente irrisolto. Vale la pena ricordare come il Dm 471/99 privilegi il trattamento in situ oppure on site per ridurre i rischi derivanti dal trasporto e dal conferimento in discarica dei rifiuti e delle terre contaminate. Ma i rifiuti prendono sempre più spesso la via dell'estero, soprattutto verso la Germania: è il caso delle oltre 70.000 tonnellate di sali sodici essiccati dell'Acna di Cengio, delle 19.000 tonnellate di terre contaminate da cromo esavalente dalla Stoppani o di 300.000 metri cubi di terre contaminate da ddt, arsenico e mercurio di Pieve Vergonte. Ancora più inquietante, inoltre, è quanto sta emergendo da diverse indagini giudiziarie sulle rotte di smaltimento illecito dei rifiuti e delle terre contaminate che provengono da interventi di bonifica, soprattutto quelli di piccole e medie dimensioni. Alla lentezza delle istituzioni, insomma, fa da contraltare la rapidità degli interessi criminali.
10 maggio 2005