ROMA - "Lo stupro che ha subito la ragazza del Lesotho alla periferia di Roma è particolarmente impressionante per molti motivi: per il luogo deserto e buio, alla periferia di Roma, perché a subirlo è stata una donna indifesa, come la signora Reggiani, uccisa qualche mese fa in circostanze simili, perché il delitto è stato commesso da un rumeno clandestino". L'episodio solleva secondo don Vinicio Albanesi, presidente dalla Comunità di Capodarco, "tre grandi ambiguità: la prima sulla violenza sessuale, la seconda sull"immigrazione clandestina, la terza sulla certezza della pena". "Ambiguità - aggiunge - con le quali la nostra cultura (e la nostra politica) convivono tranquillamente".
"Di fronte ai clamori per la ragazza aggredita e violentata, nessun allarme per il 69% degli stupri che avvengono tra le mure domestiche. Un dato tenuto nascosto perché farebbe scoprire la violenza dei maschi prima italiani e poi stranieri. - scrive don Albanesi - Forse anche nel nostro civilissimo paese andrebbe attivata la cultura del rispetto e della pari dignità. I delitti eccellenti di Chiavenna, di Garlasco, di Erba, di Perugia non avevano origine clandestina, né sono stati commessi in periferie urbane degradate. La seconda ambiguità riguarda l'immigrazione clandestina. La nostra politica accetta tranquillamente la clandestinità quando è utile (badanti, lavoratori in edilizia, in agricoltura, nel settore alberghiero, in quello marittimo) perché fa risparmiare; invoca leggi severe quando è delinquenziale. Sarebbe utile sapere qual è la linea scelta, senza ammiccamenti e tolleranze, determinate da convenienze".
Infine l'incertezza della pena "inventata non per stranieri, ma per italiani". "Nel nostro paese non c'è certezza della legge, figurarsi della pena.- sottolinea il presidente della Comunità di Capodarco - Il garantismo contro cui, in circostanze delittuose, molti si scagliano è servito a molti cittadini, anche "eccellenti", a non subire condanne; fa parte del nostro bagaglio giuridico la prescrizione, ultima spiaggia per non subire condanne. Che in questo pressappochismo voluto abbia buon gioco la delinquenza non è di difficile immaginazione".
Ai "falsi censori" don Albanesi chiede di "diventare più coerenti, senza appelli roboanti e falsamente moralistici perché inversamente proporzionali a garantire sicurezza". "Fuor di luogo dunque sono le promesse di giro di vite e gli appelli apocalittici. - scrive - La cultura della legalità è una cosa seria: vale per tutti e sempre. Sono necessarie politiche di integrazione, di rispetto e di efficienza. Vere e non annunciate; sostenute con risorse e non da invocazioni; equilibrate e non discriminanti".
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