Il 10 marzo, centinaia di monaci hanno dato vita a una marcia dal monastero di Drepung verso Barkhor. Un altro gruppo, di cui i 15 monaci ora in carcere facevano parte, ha iniziato a marciare dal monastero di Sera ma è stato subito bloccato dalle forze di sicurezza cinesi. I monaci chiedevano al governo di Pechino di porre fine alla campagna di "rieducazione patriottica", che li obbliga ad abiurare il Dalai Lama e li sottopone alla propaganda governativa.
Le manifestazioni a sostegno dei monaci arrestati si sono estese ad altri monasteri e hanno coinvolto settori più ampi della popolazione, a Lhasa e nelle province vicine del Qinghai, del Gansu e del Sichuan, popolate in larga parte da tibetani. Il 14 marzo le proteste si sono fatte violente; alcuni dimostranti hanno assalito e incendiato esercizi commerciali cinesi e hanno aggredito persone di altri gruppi etnici.
Il governo di Pechino ha sollecitato i manifestanti ad arrendersi entro la mezzanotte del 17 marzo, ora locale, promettendo un trattamento indulgente a coloro che avrebbero rispettato l'ultimatum.
Attualmente le strade di Lhasa sembrano essere per lo più calme e sgombre, mentre giungono notizie di disordini nelle province del Gansu e del Sichuan. La polizia e i militari cinesi stanno rastrellando le case di Lhasa, dalle quali alcuni testimoni hanno visto trascinare via persone con la forza, e pare stiano ricorrendo a un uso eccessivo della forza contro manifestazioni sporadiche ancora in corso a Lhasa e in altri centri del Tibet. Il fatto che un gran numero di truppe sia stato dispiegato nella regione fa temere che possano essere commesse ulteriori violazioni dei diritti umani.
Le autorità cinesi hanno imposto un blocco pressoché totale delle notizie provenienti dal Tibet e dalle zone limitrofe. Dal 12 marzo ai giornalisti non viene più permesso l'ingresso nella regione. Gli inviati che già si trovavano in Tibet sono stati costretti a rimanere alla larga dalle province del Gansu, del Sichuan e del Qinghai.
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