Il tessile europeo è «furioso» e chiede ad alta voce l'intervento di Bruxelles perchè freni l' invasione dei prodotti cinesi. La recente approvazione delle linee guida sulle misure di salvaguardia da parte della Commissione europea non sembra aver placato le polemiche e, anzi, ha spinto le associazioni di categoria a rilanciare la accuse contro l'immobilismo di Bruxelles e a chiedere l'applicazione urgente di misure di tutela del settore. Decine di rappresentanti della Federazione sindacale europea del tessile, abbigliamento e cuoio (Etuf), e dell'Associazione europea dei produttori tessili (Euratex), si sono riuniti ieri nella capitale belga, dove hanno inscenato una manifestazione di protesta davanti alla sede del Parlamento europeo. Sotto due dirigibili in miniatura, che sorreggevano grandi drappi con lo slogan «No alle importazioni indiscriminate di prodotti tessili cinesi», i manifestanti hanno esposto un lungo striscione con la scritta «165.000 posti di lavoro persi nel 2004. Dov'è il presidente Barroso?». Altri partecipanti hanno mostrato cartelli contro il commissario Ue al commercio, Peter Mandelsen con le scritte «Fuori Mandy, dentro le salvaguardie» e «Non si tratta di cricket, Mandy, servono salvaguardie», con un riferimento allo sport preferito del commissario britannico. Davanti alla sede della biblioteca Solvay, che fronteggia la sede dell'Europarlamento, sono state esposte 25 bacheche, una per stato membro, contenenti copie della petizione, firmata ormai da 500.000 persone, che lavoratori e industriali hanno inviato al presidente dell'esecutivo Ue, Josè Manuel Barroso, invitandolo ad intervenire in difesa dell'industria europea. L'evento clou della manifestazione è stata la liberazione di migliaia di palloncini colorati tra nuvole di fumo, a simboleggiare «il milione di posti di lavoro andati in fumo in Europa». L'invio dei palloncini è stato accompagnato da due striscioni giganti con le scritte «Un milione di posti di lavoro persi» e «L'Europa non lavora». Per il presidente di Euratex, Filiep Liebert «l'industria Ue del tessile e dell'abbigliamento è furiosa». A titolo di esempio, Liebert ha osservato che nei primi due mesi del 2005 le esportazioni cinesi nell'Ue sono cresciute dell'893% per i pullover, del 201% per i pantaloni e del 1940% per le calze e i collant, mentre i prezzi per questi prodotti sono scesi rispettivamente del 37%, 8,3% e 38%. «Prezzi ridicoli e predatori - ha sottolineato - possibili solo attraverso pratiche di dumping o altre pratiche commerciali sleali, che alimentano la rabbia dell'industria europea». Di fronte a queste pratiche «è urgente e indispensabile adottare misure di salvaguardia», altrimenti, ha osservato «ci sarà un numero crescente di imprese in chiusura e di posti di lavoro persi, con una media che si aggira intorno ai 1.000 al giorno per l'anno in corso, e che potrebbe tradursi in un milione di posti persi entro la fine del 2006». Anche i sindacati hanno chiesto l'intervento di Bruxelles per garantire «un commercio equo, trasparente, sostenibile e paritario». Valeria Fedeli, presidentessa dell'Etuf e segretaria generale della Filtea Cgil Italia, ha messo l'accento sulle misure di reciprocità più che sull'applicazione di misure tariffarie o doganali, chiedendo di imporre alla Cina il rispetto delle stesse regole commerciali a cui sono soggette le imprese Ue, e, in particolare, «l'istituzione immediata dell' etichettatura obbligatoria sull'origine dei prodotti e della tracciabilità dei processi produttivi, a salvaguardia della libertà di scelta consapevole di cittadini e consumatori Ue». Datori di lavoro e sindacati hanno chiesto tre misure immediate a Bruxelles: un monitoraggio affidabile e in tempo reale delle importazioni dalla Cina; un sistema chiaro di linee guida per il ricorso a misure di salvaguardia». La Gazzetta del Mezzogiorno, 10 aprile 2005

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