Oltre alle storie di vita sono state realizzate 30 interviste semistrutturate a esponenti dei sindacati, associazioni per la tutela dei migranti, forze dell'ordine, assessori, centri per l'impiego, sindacati, docenti e studiosi. Le testimonianze dei migranti hanno permesso di ricostruire il vissuto, le speranze, le aspettative, il viaggio e l'arrivo in Italia, il rapporto con le istituzioni. Si tratta di 6 persone tra i 24 e i 43 anni, due domiciliati ad Ancona, uno nella provincia di Macerata, tre nell'ascolano presso il confine con la provincia di Teramo. Per quanto riguarda il paese d'origine, due provengono dal Marocco, gli altri da Romania, Costarica, Pakistan e Bangladesh. Il periodo di permanenza va da un minimo di due mesi a un massimo di 5 anni; tutti sono arrivati da soli, lasciando la famiglia nel paese d'origine; nessuno dei sei è in regola con il permesso di soggiorno. L'indagine è stata condotta nelle province di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno.

Il viaggio e l'arrivo in Italia sono avvenuti in quasi tutti i casi attraverso un sedicente intermediario che solo alla fine si è rivelato complice degli sfruttatori. Tutti hanno raccontato di aver subito prevaricazioni e di essere stati costretti a firmare contratti-capestro scritti in una lingua sconosciuta.
In alcuni casi i viaggi sono stati lunghi, pericolosi e in condizioni disumane e sono state richieste cifre altissime per l'espatrio con il conseguente indebitamento del migrante e della sua famiglia. Generalmente la situazione di partenza non è necessariamente caratterizzata da povertà estrema, nella maggior parte l'iniziativa di emigrare è supportata dalla famiglia.

Il lavoro è caratterizzato da orari massacranti, paga modesta, irregolarità contrattuali, assenza di formazione su salute e sicurezza, assenza di un vero contratto, continui soprusi e ricatti; spesso si approfitta della non conoscenza delle leggi italiane da parte del migrante come quando ad esempio si chiedono 400 euro per un permesso di soggiorno e della condizione di subalternità e ricattabilità dovuta alla clandestinità. In due casi i migranti non hanno trovato nulla di quanto promesso dal "mediatore" complice dei trafficanti: niente alloggio, né lavoro, nessun permesso di soggiorno. Il che significa dover vivere ai margini della collettività. Tutti hanno raccontato di essere preda di sentimenti di paura e angoscia. Solo un migrante ha tentato un percorso di riqualificazione.

Il rapporto con le istituzioni è pressoché nullo prima e durante l'attività lavorativa non in regola. Il primo contatto avviene quando il migrante conosce per caso qualcuno che lo aiuta o è convinto da connazionali a rivolgersi a enti e associazioni di tutela. Solo in un caso il migrante si è rivolto da solo prima a un legale e poi a un sindacato. In un caso c'è stato un rapporto traumatico con le istituzioni. Tutti gli intervistati chiedono una rete capillare di servizi per facilitare il rapporto con le istituzioni. Le loro speranze consistono nella regolarizzazione della posizione lavorativa per poi poter avviare il ricongiungimento familiare, inviare denaro e ripianare i debiti della famiglia d'origine. Solo due su sei vogliono tornare nel loro paese. Nessuno ripeterebbe l'esperienza, tutti la sconsigliano. La loro quotidianità non prevede nessun passatempo, e quindi nessuna socializzazione. Imparare la lingua italiana è considerato importante per autotutelarsi.

I testimoni privilegiati intervistati nell'indagine sono convinti che il lavoro nero si diffonde innanzitutto per il deficit di illegalità, poiché la cultura della regolarità del lavoro fatica a farsi strada nei settori del lavoro stagionale, agricolo e edilizia. Unanime l'individuazione dei migranti come gruppo sociale maggiormente a rischio. E' emersa anche però una capacità limitata di cogliere il "lavoro grigio", fenomeno più diffuso di quello nero e di distinguere nettamente tra tratta e traffico specialmente legato al lavoro.
L'indagine è stata condotta nelle province di Ancona, Macerata e Ascoli Piceno. Queste aree sono state scelte per la presenza di un elevato numero di distretti produttivi costituiti da piccole e medie imprese, che rendono il sistema economico vulnerabile a pratiche irregolari, soprattutto a causa di subappalti e imprese contoterziste, ma anche di competitors aggressivi nel contenimento dei costi di produzione, che a loro volta utilizzano pratiche irregolari. A questo tessuto si affiancano altri settori a rischio di manodopera irregolare, come l'agricoltura, l'edilizia, quelli del turistico-alberghiero e dei servizi alla persona, in particolare gli anziani, dato che le Marche sono ai primi posti in Italia per invecchiamento demografico.

Le associazione On the road e Free women, che da anni si occupano della tratta ai fini di sfruttamento sessuale hanno voluto focalizzare l'attenzione sullo sfruttamento lavorativo dei migranti. Proprio perché su questo tema gli studi sono molto più sporadici. Si tratta quindi di superare il paradosso di una minore visibilità rispetto alla tratta per sfruttamento sessuale, unita però all'urgenza socioeconomica di un settore sfaccettato e sfuggente, legato anche alla clandestinità, alla povertà estrema, al possibile coinvolgimento con la microcriminalità. (ab)

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