Come hai conosciuto SOS Villaggi dei Bambini?
Nell'estate del 1973 mi è stato chiesto di lavorare per due mesi nel Villaggio SOS di Caldonazzo, in Italia, dove i bambini provenienti da tutti i Villaggi SOS d'Europa passano le loro vacanze. Quello stesso anno Hermann Gmeiner, fondatore dei Villaggi SOS, desiderava anche realizzare un altro suo sogno: costruire una squadra SOS di emergenza, una specie di ?corpo dei vigili del fuoco' per SOS Villaggi dei Bambini nel mondo. L'obiettivo: guidare e preparare dei giovani capaci di lavorare nel mondo in situazioni difficili e impegnative, costituendo nuovi Villaggi SOS e promuovendone la mission. Hermann Gmeiner mi ha contattato direttamente e poi mi ha assunto. Ricordo che mi sono subito entusiasmato, anche se non sapevo esattamente dove mi avrebbe portato questa decisione. Fu come se qualcuno avesse acconsentito per mio conto e avesse parlato con la mia voce. Questo è stato l'effetto che Hermann Gmeiner ha avuto su di me quando l'ho incontrato per la prima volta.
Sei stato in luoghi che sono diventati punti caldi dell'Africa: Sierra Leone, Liberia, Somalia. Allora come era la situazione?
Quando ero in Sierra Leone e Liberia i tempi erano ancora tranquilli. Ho passato là alcuni dei giorni migliori della mia vita . Ora sono diventati invivibili, ma SOS Villaggi dei Bambini sta ancora facendo un importante lavoro.
Sei andato in Somalia nel 1984?
Sì. Mi chiedo ancora oggi se era il mio destino. Nel 1989 sono stato nominato direttore regionale per l'Africa Orientale e mi sono trasferito ad Addis Abeba dove avevamo aperto l'Ufficio Regionale. Il 31 dicembre, io e la mia famiglia avevamo un volo per Mogadiscio. Sono andato presto in aeroporto per fare il check-in dei nostri bagagli. Mia moglie e mia figlia stavano aspettando al villaggio. Quando ho cercato di tornare al villaggio per prendere la mia famiglia, carri armati pattugliavano le strade. Era iniziata una rivolta popolare. Non potevo più raggiungere il Villaggio SOS, così sono ritornato in aeroporto per tentare un'altra strada. Ma tutte le strade erano bloccate. Così sono salito su un'automobile dell'ambasciata scortata da militari che passava attraverso la città, fino a che sono riuscito a raggiungere la casa di un amico che lavorava all'ambasciata italiana. Più tardi quella sera sono stato in grado di comunicare a mia moglie per dirle che ero al sicuro. I primi 16 giorni abbiamo vissuto in una situazione di guerra veramente spaventosa. Non era possibile evacuare la popolazione dalla zona. Poi, i ribelli hanno assunto il controllo e l'ambasciata italiana è riuscita ad evacuare e persone dalla spiaggia con gli elicotteri. Mia moglie e mia figlia sono partite, ma io sono rimasto poiché l'ospedale SOS già riceveva migliaia di feriti tutti i giorni. Non avevo mai visto prima carri armati in azione e neppure avevo esperienza di bombardamenti di tale brutalità. Il cielo era nero per il fumo. Quando mia figlia è arrivata in Italia, era inverno e dai camini delle case usciva il fumo. Domandava spesso se anche in Italia c'era la guerra. E' così che i bambini percepiscono la guerra?
Così sei rimasto anche quando si è presentata l'occasione di evacuare?
Eravamo in 20. Uomini, donne e bambini, tutti rifugiati nel Villaggio SOS. E i bombardamenti non finivano mai. Anche l'evacuazione era molto difficile e non pianificabile.
E in quei giorni il villaggio non aveva un servizio di sicurezza come adesso?
Fino ad allora non c'era mai stato veramente bisogno di guardie per la sicurezza. Soltanto quando bande armate hanno cominciato a bussare alle nostre porte nel mezzo della notte, minacciandoci, mi sono reso conto che bisognava fare qualcosa. Sono uscito fuori per la strada ed ho fermato il primo mezzo che passava: un veicolo a 4 ruote motrici senza tetto con un mitra e dieci guerrieri ribelli pesantemente armati. Ho chiesto loro di incontrare il capo. Ho raccontato del nostro ospedale SOS a Mogadiscio che poteva curare feriti se le nostre strutture fossero state al riparo. Ha funzionato. E' stata la cosa più pazza che io abbia mai fatto, ma ha fatto la differenza.
E hai convertito la scuola elementare in corsie di ospedale?
All'inizio le dodici aule della Scuola SOS sono state usate come corsie per i feriti. Con oltre 3.000 operazioni e centinaia di amputazioni eseguite nel nostro ospedale durante i primi cinque mesi, puoi immaginare come era in quei giorni. Dopo sei mesi, la scuola è stata convertita in un'unità pediatrica di emergenza per bambini. Così è ancora oggi.
Quando hai lasciato la Somalia? E come vedi oggi la Somalia, dopo 17 anni di anarchia?
Abbiamo aperto un ufficio logistico di emergenza a Nairobi immediatamente dopo lo scoppio della crisi somala. Sono rimasto a Mogadiscio per altri tre anni fino alla fine del 1993, quando è stato avviato il programma USA "Restore Hope". Abbiamo sempre saputo che ci sarebbero voluti anni per risolvere le controversie tra clan in Somalia. Ma avevamo speranza e molte possibilità per riportare la pace nel paese. Ma tutte le iniziative e le mediazioni sono finora fallite. Così adesso, dopo quasi 17 anni, ci sentiamo scoraggiati. E mentre ne parliamo la situazione peggiora.
Prima hai detto che in qualche modo SOS Villaggi dei Bambini è stata fortunata nonostante questa situazione?
Sì. Abbiamo forzato la mano alla fortuna o qualcuno ha vegliato su di noi. Abbiamo avuto la nostra dose di avvenimenti orribili (gente uccisa e case distrutte), ma siamo stati anche molto fortunati. Negli anni ci siamo guadagnati un tale rispetto che la gente vede SOS Villaggi dei Bambini come qualcosa di valore e protegge i nostri progetti.
Che cosa ti è piaciuto di più?
Direi vivere e lavorare in un Villaggio SOS. Realizzare un progetto e vedere bambini bisognosi crescere in un ambiente felice è la ricompensa. Penso che sia un privilegio avere l'opportunità di lavorare con passione in un'organizzazione come SOS Villaggi dei Bambini. Durante tutti questi anni mi è sempre piaciuto immensamente il lavoro con SOS Villaggi dei Bambini.
Cosa diresti a qualcuno che sta iniziando ora?
Rimani come sei, continua a credere nella gente e non rinunciare mai a ciò che porti nel cuore; inizia il tuo viaggio con la passione, il coraggio e i tuoi sogni.
Chi è stata la persona più influente per te?
Fino ad oggi sicuramente Hermann Gmeiner stesso, ma ci sono molte altre persone nell'organizzazione che ammiro e da cui traggo motivazione. Lavorare in Africa è diventato più stimolante negli anni. Ma ho bei ricordi e credo che la mia vita lavorativa sia stata finora molto soddisfacente.