In un nuovo rapporto pubblicato oggi, l'organizzazione ha rivolto un appello urgente al governo iraniano chiedendo di modificare il codice penale del paese e, nel frattempo, assicurare il rispetto della moratoria sulla lapidazione imposta dal Capo dell'autorità giudiziaria nel 2002.
"Accogliamo con favore i recenti passi verso le riforme e la notizia che il parlamento sta esaminando emendamenti al codice penale che permetterebbero la sospensione di alcune condanne alla lapidazione nei casi in cui sia ritenuto opportuno", ha affermato Malcom Smart, Direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International. "Tuttavia, le autorità devono andare oltre e adottare le misure necessarie per assicurare che il nuovo codice penale non permetta la lapidazione né contempli l'esecuzione per il reato di adulterio con altri metodi".
Il codice penale iraniano prevede l'esecuzione tramite lapidazione. Secondo l'articolo 102, gli uomini devono essere sotterrati fino alla vita, le donne fino al petto. Con riferimento al reato di adulterio, l'articolo 104 afferma che le pietre da usare dovrebbero essere "non così grandi da uccidere la persona con uno o due colpi, e nemmeno così piccole da non poter essere definite pietre".
Il sistema giudiziario iraniano presenta gravi lacune che spesso sfociano in processi iniqui, anche nei casi di pena capitale. Nonostante la moratoria del 2002 e le smentite ufficiali sulle esecuzioni tramite questa pratica crudele, Amnesty International è venuta a conoscenza di alcuni casi di lapidazione. Ja'far Kiani è stato lapidato il 5 luglio 2007 ad Aghche-kand, nella provincia di Qazvin. Era stato condannato a morte per aver commesso adulterio con Mokarrameh Ebrahimi, condannata alla lapidazione per lo stesso reato, dalla quale aveva avuto due figli. La condanna è stata eseguita nonostante un ordine di sospensione dell'esecuzione e in spregio alla moratoria del 2002.
Si è trattato della prima lapidazione confermata in via ufficiale dopo la moratoria, sebbene esistano notizie sulla morte per lapidazione di un uomo e una donna a Mashhad, nel maggio del 2006. Si teme che Mokarrameh Ebrahimi possa subire la stessa sorte. La donna è rinchiusa nella prigione di Choubin, nella provincia di Qazvin, sembra con uno dei suoi figli.
Amnesty International è ugualmente preoccupata per otto donne e due uomini che rischiano la lapidazione e i cui casi sono evidenziati nel rapporto diffuso oggi.
Sono le donne a essere più di frequente condannate a morire per lapidazione, spesso a causa del diverso trattamento che subiscono davanti alla legge e nei tribunali, in aperta violazione degli standard internazionali sul giusto processo. Sono in particolar modo vittime di processi iniqui perché meno istruite rispetto agli uomini e per questo motivo indotte più facilmente a firmare confessioni di crimini mai commessi. Inoltre, la discriminazione cui vanno incontro in altri aspetti della loro vita fa sì che siano più soggette a condanne a morte per adulterio.
Nonostante questa cupa realtà, ci sono fondate speranze che la morte per lapidazione venga completamente abolita in Iran. Sforzi coraggiosi sono stati compiuti dai difensori iraniani dei diritti umani che, in seguito ai due casi del 2006, hanno lanciato la campagna "Stop alla lapidazione per sempre!". La loro azione ha contribuito a salvare quattro donne e un uomo: Esmailvand, Soghra Mola'i, Zahra Reza'i, Parisa A e suo marito Najaf. Inoltre, un'altra donna, Ashraf Kalhori, ha ottenuto una sospensione temporanea dell'esecuzione.
"Sollecitiamo le autorità iraniane a prestare attenzione alle nostre richieste e a quelle degli iraniani che si stanno battendo senza tregua per mettere fine a questa orrenda pratica", ha dichiarato ancora Malcom Smart.
Questi sforzi, però, hanno un prezzo elevato. Gli attivisti per i diritti umani in Iran continuano a subire pressioni e intimidazioni da parte delle autorità.
Asieh Amini, Shadi Sadr e Mahboubeh Abbasgholizadeh, esponenti di "Stop alla lapidazione per sempre!", erano tra le 33 donne arrestate nella prima settimana di marzo 2007 a Teheran durante le proteste contro il processo di cinque attivisti per i diritti delle donne; 31 di esse sono state rilasciate il 9 marzo. Dieci giorni dopo, anche Mahboubeh Abbasgholizadeh e Shadi Sadr sono state rilasciate dietro il pagamento di 200 milioni di tuman (più di 145.000,00 euro). È probabile che le due donne verranno processate con accuse quali "disturbo dell'ordine pubblico" e "atti contro la sicurezza dello Stato".
I difensori dei diritti umani in Iran ritengono che la pubblicità internazionale e la pressione a sostegno degli sforzi locali possano contribuire a portare un cambiamento nel paese.