La cosa più importante - comunque - è cercare di cambiare l'approccio alle questioni sul tappeto. Si tratta infatti di lavorare insieme per inserire le azioni che si fanno in sostegno di chi sta peggio in un progetto complessivo. "Dobbiamo porci degli obiettivi - dice il prefetto Mosca - sapere dove si vuole arrivare per superare gli interventi puramente emergenziali che inevitabilmente mettono una toppa, ma non danno soluzioni strutturali".
Si devono pensare interventi diversificati perché i problemi sono tanti e sono molto differenti tra loro. Il prefetto pensa dunque alle questioni sociali nella loro complessità: dai campi rom, agli sfratti (per ora sospesi), dalle persone senza un tetto, agli immigrati che hanno bisogno di lavorare. Una delle ipotesi è riavviare la costruzione di abitazioni di edilizia popolare, appaltando magari i lavori al cooperative di immigrati o di Rom. In ogni caso quello che conta è mettersi intorno a un tavolo per cominciare a definire i termini esatti dei problemi e cominciare ad abbozzare un progetto. "Ci vuole un'idea comune di un cammino da percorrere che non è sicuramente facile, ma è possibile".
Uno degli esempi che sta a cuore al prefetto, oltre il problema dei senza fissa dimora che riguarda solo a Roma migliaia di persone (si dice almeno 5000 mila, ma sono solo stime approssimative), è la questione dei campi Rom. Ci sono gli sgomberi che si attuano nelle situazioni limite, ma poi dove andrà tutta questa gente? "Io mi rifiuto di pensare - spiega il prefetto - che tutte queste persone siano delinquenti. Dobbiamo quindi differenziare i nostri interventi e dare risposte alla maggioranza". Ovviamente nessuno si illude di trovare la bacchetta magica, anche perché il problema dell'alloggio riguarda gli immigrati, i Rom, ma anche molti italiani. Tutti problemi che si intrecciano e che si potranno discutere in un tavolo istituzionale che il prefetto ha intenzione di lanciare a breve. Ci sono stati già i primi incontri interlocutori con le associazioni cattoliche e con alcuni politici. Si tratta ora di passare alla fase più operativa, con un tavolo a cui dovranno partecipare tutti gli assessori del Comune di Roma competenti delle materie in ballo. Secondo il modo di vedere del prefetto Mosca gli interventi prioritari dovranno comunque essere sviluppati nel campo del lavoro e degli alloggi. Sono le questioni emergenti e le più esplosive. In ogni caso si deve andare alla concretezza. Si devono cioè dare risposte sostanziali e non formali, altrimenti potremmo essere destinati anche noi a un futuro di banlieus. In Francia, spiega Mosca, la ribellione è nata proprio dalla contraddizione tra la cittadinanza e la realtà dei fatti. Chi si è ribellato sapeva di essere un cittadino francese, ma senza avere poi la possibilità di accedere ai diritti come tutti gli altri. Cittadini senza una cittadinanza effettiva.
"Don Vincio Albanesi ha ragione e la sua provocazione sull'indecenza delle morti tra i senza fissa dimora non va lasciata cadere. Anzi, è arrivato il momento di rilanciarla e di cercare di capire insieme che cosa si può fare" ha affermato padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli di Roma e responsabile nazionale del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati. Secondo padre La Manna i problemi sociali sono sempre più gravi e le risposte politiche sono invece sempre più deboli e frammentarie. "Ci dicono che non sono state tagliate le risorse per il sociale - spiega padre La Manna - e che sono stati messi in campo nuovi interventi. Sarà anche vero, ma è evidente a tutti che le risposte sono assolutamente insufficienti rispetto alla radicalità dei problemi. Basta vedere a quello che sta succedendo nel mondo dei rifugiati". Il numero delle persone che si rivolgono al centro sono infatti in preoccupante aumento. Fino all'agosto del 2007, racconta il presidente, c'erano tra le 250 e le 300 rifugiati che venivano a chiedere da mangiare alla mensa. Da agosto in poi, il numero è cresciuto fino a toccare punte di 400 ogni giorno.
In ogni caso, padre La Manna, ci tiene a ribadire due o tre concetti. Da una parte è necessario spiegare all'opinione pubblica, dice, che chi vive per strada non lo fa per sua scelta o tanto meno perché gli piace. Nessuno sceglie di essere un barbone, anche se molte sono le ragioni che possono portare a situazioni estreme. E nessuno sceglie di essere un rifugiato. Tutte queste persone sono in fuga da situazioni disumane e cercano un'accoglienza. Per questo è necessario fare di più ed è importante raccogliere tutte quelle proposte che mirano a uno stesso progetto di inclusione sociale. E' possibile quindi mettere in contatto la rete degli ordini religiosi e cercare di lavorare insieme e in modo coordinato con le istituzioni dello Stato. "Non si tratta quindi di dare soldi a pioggia, ma di studiare insieme i progetti. Altrimenti facciamo solo assistenza". Ed è anche importante sapersi dividere i compiti: ogni parrocchia potrebbe prendersi cura di due o tre gruppi familiari, sarebbe già molto meglio che sgomberare in blocco centinaia di persone. (pan)