Siamo sicuri che si possa gestire il personale? Si possono definire e gestire le policy, le regole, i contratti, un negozio, il denaro, ma possiamo gestire il personale?
Possiamo al più gestire il processo o i processi che coinvolgono il personale. Possiamo sostenere, accompagnare, aiutare l’evoluzione, ma difficilmente possiamo gestire qualcosa di vivente, perché l’essere vivente può essere gestito (condotto), solo a seguito di un percorso negoziale, di una danza che aiuti a definire le giuste distanze, i ruoli e i compiti.

Ecco, gestire il personale ha a che fare forse più con la danza che con la possibilità di dotarsi di un joystick con il quale far girare gli omini sullo schermo della playstation.

E che danza possiamo danzare quando ci accingiamo a questo improbo compito? 
Dipende dalla musica, dalla pista da ballo, dagli altri ballerini. Uscendo dalla metafora, dipende dal contesto e altresì dipende dal contenuto di lavoro. 

In sintesi:

1. Il motivo per cui esiste l’organizzazione (il suo compito primario);
2. Gli obiettivi o l’obiettivo per cui le persone sono chiamate a lavorare;
3. Il contesto storico, culturale e organizzativo;
4. L’orientamento strategico dell’impresa; 
5. I vincoli del mercato del lavoro. 

Quando tali processi sono inseriti in un contesto cooperativo o comunque nel non profit, le variabili in gioco crescono ancora: come si fa a gestire un socio quando magari le sue prestazioni risultano insufficienti? Come si fa a conciliare l’esercizio dell’autorità in contesti che hanno come primo scopo la creazione di lavoro? Come è possibile indirizzare qualcuno che ha messo a disposizione volontariamente il proprio tempo? Come faccio a valorizzare un talento prima che scappi? Come faccio ad attrarre un talento con il magro salario che possiamo concedergli? 
E con che stile procedere? Quale è la cultura del management, quella del governo attraverso il controllo o attraverso la responsabilità? C’è coerenza nel management o è necessario intervenire per costruirla?

Abbiamo forse bisogno di un piccolo passo indietro, di accettare innanzitutto che non siamo onnipotenti, che quando abbiamo a che fare con le persone abbiamo bisogno di tutto, di strumenti, di processi, di percorsi di carriera, di buone capacità relazionali, di buone indicazioni strategiche, di un buon livello di autonomia.
È difficile, se non impossibile, immaginare una situazione ideale che prevede tutti questi elementi al loro giusto posto. Dunque, come accade in tutti i mestieri del mondo, quando non so da dove acchiappare un problema, ricominciamo daccapo, dalla domanda: e in questa situazione, con i vincoli e con le possibilità concrete che mi si presentano, cosa posso fare? Qual è il risultato a cui posso realisticamente aspirare? Le domande sono un faro, indicano una direzione. Non assicurano un facile approdo, ma aiutano a costruire senso. Ripartire dalle domande, dunque, e scoprire dove ci portano.

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