La nota ministeriale sottolinea come il Codice del Terzo Settore abbia inteso assicurare la piena trasparenza degli assetti degli enti.

“Si deve escludere che il ramo ETS di un ente religioso possa assumere una denominazione diversa da quella dell’ente religioso medesimo”: lo ha precisato il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con la Nota n. 10376/2023. Al riguardo, in particolare, è stato sottolineato quanto segue: 1. il Codice del Terzo Settore ha inteso assicurare, anche attraverso disposizioni specifiche, l’univocità delle informazioni rese a terzi e la piena trasparenza degli assetti degli enti assoggettati alle regole in materia di Terzo settore. Pertanto – ha sottolineato il Ministero - “è evidente che l’utilizzo di una denominazione 'altra', apparentemente corrispondente ad un soggetto diverso dall’ente religioso di cui trattasi potrebbe condurre ad un effetto anche involontariamente ingannevole nei confronti del pubblico”; 2. nei modelli di regolamento predisposti dalla CEI, Ufficio nazionale per i problemi giuridici, nell’art. 1 si chiede l’inserimento della denominazione dell’ente ecclesiastico; 3. con la sentenza del Tar Campania – Napoli – sez. I, n. 3158/2023, è stato affermato che l’art. 4, comma 3, del D.Lgs. 117/2017 volta a consentire agli enti religiosi, a determinate condizioni, l’ingresso nel Terzo settore, si fonda sul fatto che il “ramo d’ente ecclesiastico... privo di soggettività giuridica propria, per effetto dello stretto collegamento ad un ente religioso – che deve essere ‘civilmente riconosciuto’ gode per proprietà transitiva della personalità di quest’ultimo”; ciò significa che “è comunque individuabile un soggetto giuridico certo, ossia l’ente ecclesiastico”.

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