Condividiamo con voi un interessante articolo di Bernardino Casadei, pubblicato per noi su Il Sole 24 ORE.
Negli ultimi decenni l'inquadramento legale e fiscale degli enti filantropici è radicalmente migliorato. Il Codice del Terzo Settore ha introdotto una categoria specifica riservata a una tipologia di enti che, solo trent'anni fa, era quasi sconosciuta e che molti non consideravano neppure facente parte del mondo non profit. I benefici fiscali per i donatori sono diventati interessanti e l'attività erogativa ha acquisito piena legittimazione sociale.
Manca ormai solo un ultimo passaggio per adeguare la normativa italiana a quella della maggior parte degli altri Paesi occidentali: defiscalizzare le rendite finanziarie delle gestioni patrimoniali degli enti filantropici. Un'analisi comparativa della normativa delle fondazioni realizzata dall'European Foundation Centre mostra come, oltre all'Italia, solo Belgio, Bulgaria, Grecia, Malta, Romania, Russia e Serbia tassino, peraltro in modo parziale, le rendite dei patrimoni degli enti filantropici, mentre per la stragrande maggioranza dei Paesi europei queste rendite sono esenti da qualsiasi forma di imposizione.
Offrire interessanti benefici fiscali ai donatori e poi tassare gli enti che investono tali somme per ricavarne una rendita con cui perseguire nel tempo i propri fini d'utilità sociale non sembra molto lungimirante, soprattutto se si vuole aiutare il Terzo Settore che, nel nostro Paese, è fortemente sottocapitalizzato, a dotarsi delle risorse necessarie per garantire la propria sostenibilità. Favorire la creazione di capitali destinati al perseguimento di finalità d'utilità sociale può rivelarsi strategico per il futuro del nostro welfare, soprattutto in un momento storico in cui stiamo assistendo al più imponente trasferimento intergenerazionale di ricchezza.
L'attuale normativa ha degli effetti distorsivi abbastanza evidenti. Diventa infatti fiscalmente molto più conveniente per un donatore fare donazioni annuali che possono essere dedotte dal proprio reddito, piuttosto che trasferire capitali più consistenti in un’unica soluzione. Certo la donazione del capitale potrà eventualmente avvenire in un secondo momento, magari attraverso un lascito testamentario, ma la cosa è molto più complessa e il rischio che sorgano contestazioni o che comunque tali somme non vengano più destinate per finalità d'utilità sociale è molto più consistente.
Inoltre, il fatto che nella maggior parte dei Paesi europei i capitali filantropici non vengano tassati spinge diversi donatori a costituire i propri fondi filantropici all'estero. Soprattutto oggi che, almeno in Europa, vige la libera circolazione dei capitali, non è raro incontrare fondazioni straniere che sono state costituite con capitali italiani. Del resto perché uno dovrebbe rinunciare al 26% delle rendite di un capitale che ha destinato per realizzare iniziative di finalità d'utilità sociale, se può perseguire esattamente gli stessi scopi trasferendo legalmente i propri capitali all'estero?
Infine l'attuale normativa rischia di avere un impatto sulle strategie di investimento degli enti filantropici. Da un lato la mini Ires permette di ridurre del 50% l'imposizione sui dividendi, mentre dall'altro non sono più tassate le rendite derivate dagli investimenti immobiliari. Se queste norme fossero spinte dal desiderio di disincentivare gli investimenti obbligazionari, oggi assolutamente prevalenti nel mondo della filantropia istituzionale, esse potrebbero avere un senso, ma sappiamo bene che le logiche che ne sono alla base rispondono a ben altri criteri.
Per quanto possa sembrare un tema marginale, è importante rivedere la tassazione delle rendite degli enti filantropici. Solo così l'Italia potrà di dotarsi della infrastruttura fiscale necessaria per far decollare un settore che può avere un ruolo strategico per lo sviluppo dell'intero terzo settore e nel contempo garantire la sostenibilità del welfare della nostra società, evitando anche la fuga di capitali, che invece sarebbe importante trattenere in Italia, perché finalizzati al bene comune.