Una recente pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Campania segue l’orientamento tracciato dalla Cassazione.
Un ente religioso non è esente dall’Imu per gli immobili in cui si svolge un’attività sanitaria, convenzionata con la Pubblica Amministrazione, a fronte del pagamento di un corrispettivo: lo ha ribadito la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania con la sentenza 26 giugno 2023, n. 4008/16, riportata e massimata sul portale della Giustizia Amministrativa. Tale principio – si legge nella massima – era già stato espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 10124/2019. I giudici campani hanno sottolineato tra l’altro che per la giurisprudenza di legittimità, con riferimento alla esenzione Imu per l'attività sanitaria convenzionata, “(…) anche in questo settore non vi è alcun profilo che consenta di affermare che l'attività sia svolta in forma gratuita o semigratuita, dovendosi ritenere che le tariffe convenzionali siano comunque, dirette a coprire i costi e a remunerare i fattori della produzione, salvo che in ragione di specifiche circostanze fattuali aventi, nel caso di specie assenti, possa dirsi che l'immobile viene destinato ad attività sanitaria svolta con modalità non commerciali escludendo la logica del profitto e del mercato. Né assume rilievo ai fini in questione l'osservazione che la prestazione sanitaria sia stata svolta in un mercato non concorrenziale dal momento che la qualifica dell'attività non dipende dal suo essere esercitata in regime di libero mercato. Né è dirimente il fatto che l'attività sanitaria svolta in regime di convenzionamento si inserisca nel servizio pubblico (Servizio Sanitario Nazionale) gestito direttamente da una Istituzione pubblica. Il Servizio Sanitario infatti è attività pubblica ed eventualmente gratuita per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione e i suoi rapporti con il cittadino utente ma nel caso in cui la P.A. si avvalga dell'opera di privati l'attività svolta da questi ultimi è attività commerciale ove sia prestata dietro corrispettivi pattuiti o stabiliti in funzione dei costi e dell'adeguata remunerazione dei fattori di produzione dei servizi demandati al privato stesso. Non può avere effetto vincolante la contraria qualificazione enunciata nella circolare 26.1.2009 secondo cui lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse (...) sono accreditate, e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte (...) in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico trattandosi di una circolare amministrativa che ha una valenza interna e non può influire sulla qualificazione giuridica dell'attività che è invece demandata al giudice. Per completezza di esposizione può osservarsi che nessun valore vincolante può essere attribuito sul punto al D. del Ministero dell'Economia e delle Finanze 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 2. Esso non ha valore di legge, tanto più che lo stesso appare, per questa parte, essere stato emanato ultra vires, dato che il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91-bis, non demandava al decreto ministeriale il compito di definire autoritativamente il concetto di ‘modalità non commerciali’ ma solo il compito di stabilire modalità e procedure da seguire in caso di utilizzazione mista di un immobile, al fine di individuare il rapporto percentuale tra utilizzazione commerciale e utilizzazione non commerciale dell'immobile stesso”. (Cass. 11 aprile 2019, n. 10124). Il testo della sentenza n. 4008/16 è consultabile al presente link.