Per affrontare questo tema credo sia necessario premettere quello che tutti sappiamo, ma da cui deve necessariamente partire ogni nostra considerazione e ragionamento: la forma cooperativa è nata nella metà del diciannovesimo secolo con lo scopo di migliorare le condizioni di vita delle fasce più deboli della popolazione, con l’idea di aumentare il livello di giustizia sociale. È nata come forma di resistenza al dilagare dell’industrialismo capitalistico che comportava e comporta ingiustizie spaventose. Quindi uno strumento pensato per essere a disposizione del proletariato operaio, dei migranti dalle campagne, delle famiglie povere: la cooperazione è nata dalle esigenze dei più deboli con l’obiettivo di difenderne il reddito e il ben-essere sociale e culturale.
Attraverso queste forme associative i soci, riconoscendosi e condividendo alcuni principi rivoluzionari come la mutualità, la sussidiarietà, la solidarietà, la reciprocità e l’equità, sarebbero riusciti ad affrontare le avversità portando mutuo beneficio a tutti i consociati e le consociate. Oltre a ciò, facendo ricadere elementi positivi sulla comunità circostante.
I temi della governance e della partecipazione sono quindi dei tratti identitari delle imprese cooperative: i soci sono i “proprietari” di queste imprese e, per questa ragione, hanno il dovere-diritto di intervenire nella loro gestione e nel controllo. A loro dev’essere sempre garantita la possibilità di informarsi, di partecipare e di esprimersi liberamente. Sia la gestione che il controllo presuppongono una forte consapevolezza che è costruita dalle relazioni positive all’interno della compagine societaria ma che è anche e forse principalmente derivata dai livelli culturali dei singoli soci. Il costante lavoro formativo per mettere tendenzialmente tutti nelle condizioni di avere cognizione di causa e di poter esprimere pareri competenti diventa la chiave di una vera gestione collettiva. Accanto a questo è altrettanto importante una formazione culturale ampia circa la storia del cooperativismo accanto alla storia sociale. Ciò è indispensabile per essere in grado di interpretare le “interconnessioni” (come dice papa Francesco) che regolano la vita di tutti.
Gli organi dirigenti di una cooperativa sono eletti dall’assemblea dei soci, questo significa che è sempre necessario che il consiglio d’amministrazione abbia il consenso avveduto della base sociale per poter governare. A questo proposito va sottolineato il fatto che è consigliabile che il Consiglio non si serva di tutte le competenze che l’ultima riforma del Codice Civile gli ha attribuito. È cosa buona e giusta che decisioni rilevanti “passino” per l’assemblea perché ciò fa crescere sia in termini di capacità di consapevolezza sia sotto il profilo dell’amore per la propria avventura.
In questo ragionamento Il tema dell’informazione (sulle attività, i servizi, l’andamento di bilancio, prospettive di sviluppo,…) e della conoscenza sono dirimenti e strettamente legate a quello della partecipazione attiva e della governance, perché ogni socio ha diritto a concorrere al governo dell’impresa cooperativa.
Inoltre, l’impresa sociale deve, sempre più frequentemente, coordinarsi con attori diversi, sia pubblici che privati e, assieme a loro, co-costruire servizi territoriali che mettano al centro i bisogni delle persone e della comunità in un’ottica integrata. Per quanto riguarda l’interlocutore pubblico va ricordata la rivoluzionaria sentenza della Corte costituzionale n°131 del 2020, che sostanzialmente ribalta la logica mercatista che è stata storicamente adottata per l’affidamento dei servizi sociali indicando la strada della coprogrammazione e della coprogettazione come quelle da seguire.
In poche parole, le cooperative sociali devono relazionarsi anche con una pluralità di interlocutori esterni, dando vita a un patrimonio di competenze strettamente correlate al territorio di appartenenza. Non è sempre possibile immaginarlo, ma anche la partecipazione degli stakeholder alla definizione delle strategie o alle iniziative di un’impresa sociale appare oggi come un percorso che bisognerebbe intraprendere decisamente per arrivare alle co-realizzazione di soluzioni di problemi comuni e condivisi.
Le relazioni di fiducia che si creano all’interno e fuori dalle nostre organizzazioni, anche tra entità molto diverse tra di loro: cooperative di credito, di consumo, imprese private for profit, enti pubblici, fondazioni… rappresentano un grande potenziale di linfa vitale per le nostre imprese sociali e per le nostre comunità. Se non si riuscirà a raggiungere questa consapevolezza il futuro del welfare si annuncia ancora più difficoltoso di quello che immaginiamo.
Le cooperative sociali solo se sono aperte, partecipate e democratiche sono in grado di creare quell’indispensabile “senso di fiducia” e quel senso di responsabilità che, partendo dal basso, potrà allargare i propri orizzonti alla ricerca del bene comune.
Di tutto questo e molto altro se ne parlerà durante il corso online "Gestire un’impresa sociale di comunità, tra governance e partecipazione" organizzato da ConfiniOnline, che si terrà a partire da martedì 14 marzo.
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