"Come in molti altri Paesi europei, anche in Italia il welfare state si trova oggi soggetto a due grandi pressioni che condizionano l’efficacia delle sue azioni. La prima proviene dai vincoli di bilancio che, oltre a impedire incrementi di spesa, impongono misure di contenimento dei costi che molto spesso vanno a colpire il fronte degli interventi sociali. La seconda è invece connessa alle rapide trasformazioni della struttura dei bisogni sociali, in particolare per quel che riguarda dei cosiddetti “nuovi rischi” - non autosufficienza, precarietà lavorativa, mancato sviluppo o obsolescenza del capitale umano (capacità, conoscenza), esclusione sociale e difficoltà di conciliazione fra responsabilità lavorative e familiari, soprattutto per le donne – cui il welfare pubblico pare oggi incapace di fornire risposte adeguate. Una strategia promettente oggi appare essere quella del secondo welfare: un mix di protezioni e investimenti sociali a finanziamento non pubblico, fornite da una vasta gamma di attori economici e sociali collegati in reti caratterizzate dal forte ancoraggio territoriale, ma aperte al confronto e alle collaborazioni trans-locali, che vanno progressivamente affiancandosi al primo welfare di natura pubblica ed obbligatoria"(1). Tra questi, stanno assumendo un ruolo centrale e particolare, le imprese sociali di comunità.

"Primo e secondo welfare non devono essere visti come due compartimenti stagni, ma come due sfere fra loro intrecciate, che sfumano l’una nell’altra a seconda delle politiche e delle aree di bisogno e in cui la seconda si configura come integrativa rispetto alla prima. Il secondo welfare mobilita risorse aggiuntive per rispondere a bisogni e aspettative crescenti in un contesto socio-economico sempre più complesso. Tali risorse possono essere fornite a diverso titolo da un'ampia gamma di attori: assicurazioni private e fondi di categoria, il sistema delle imprese, i sindacati, il variegato mondo del terzo settore, gli enti locali, fondazioni bancarie e altri soggetti filantropici"(2). 

In tutto ciò il Terzo Settore, e particolarmente le imprese sociali di comunità, stanno assumendo un ruolo centrale. 

Ormai consolidate anche da un punto di vista normativo, le imprese sociali di comunità hanno la possibilità di aggregare persone, enti pubblici e privati ed enti del Terzo Settore che, con motivazioni diverse, possono contribuire a costruire risposte innovative ai bisogni emergenti, integrando le azioni del welfare state. Vanno ricercate anche nuove forme di collaborazione tra impresa sociale e imprenditoria locale, volte a creare valore aggiunto per la comunità promuovendo percorsi di inclusione sociale e lavorativa delle persone più fragili. 

Tali collaborazioni potrebbero avere una duplice valenza: da un lato le imprese sociali di comunità diventano un presidio territoriale per l’individuazione e la gestione dei rischi sociali emergenti in collaborazione con la Pubblica Amministrazione; dall’altro le imprese profit, anche sostenendo economicamente alcuni progetti, hanno la possibilità di sviluppare la responsabilità etica e sociale d’impresa e di migliorare il clima organizzativo attraverso possibili azioni di welfare aziendale. 

La composizione della base sociale di un’impresa sociale di comunità è formata da lavoratori e dirigenti ma anche da fruitori di servizi, loro familiari e volontari e altri possibili portatori di interesse. I temi che riguardano la loro organizzazione, dunque, sono variegati e complessi e richiedono per i loro dirigenti competenze trasversali di natura molto diversa. 
Già per definizione queste organizzazioni devono coniugare fattori materiali, orientati all’economicità e all’efficienza (fattori d’impresa), con altri immateriali, ad esempio la solidarietà umana, l’altruismo, in parte la gratuità (fattori sociali). 

Per tenere uniti sia elementi concreti che idealistici, è necessario definire valori di riferimento, obiettivi di missione, dare forma ad una visione di come ci si immagina il futuro. Inoltre, va elaborata una “filosofia organizzativa” che contraddistingua uno stile di servizio alla comunità inclusivo, collaborativo, basato sulla rassicurazione, arricchendo di senso le varie azioni progettuali. È anche importante porsi degli obiettivi che si aggancino alla crescita culturale, sociale ed economica della comunità: il coinvolgimento di persone fragili assistite, solitamente beneficiarie di aiuti, accresce la loro dignità se diventano protagoniste attive nel prestare servizio a favore di altri. 

Attraverso il corso “Gestire un’impresa sociale di comunità, tra governance e partecipazione”, organizzato da ConfiniOnline e in partenza martedì 14 marzo, si intende proporre una serie di spunti derivanti dall’esperienza diretta di gestione di cooperative sociali di comunità, cercando di evidenziare pregi e criticità conseguenti all’operare contemporaneamente sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione con un controllo costante sui costi.  

 

Qui maggiori dettagli sul programma del corso e per iscriversi.

(1) SecondoWelfare

(2) ibidem

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