Promuovere l’innovazione sociale e valutare l’impatto sono argomenti molto dibattuti nel mondo degli ETS soprattutto dopo la riforma. Ma è compito di attori singoli o forse il frutto di un’azione collettiva? E quale può essere il ruolo di regia delle Pubbliche Amministrazioni? Certo non ci sono risposte facili e univoche. L’articolo senza alcuna pretesa di modellizzazione, racconta due esperienze, “scalabili”, che nella loro “semplicità” offrono spunti di riflessione su come è possibile costruire “senso” e know how” condivisi attorno ad una policy.
Parafrasando il titolo di un celebre libro “La realtà come costruzione sociale” di B. Berger e T. Lukmann, vorrei presentare due esperienze che evidenziano come la “Comunità di pratica” può essere uno strumento di governance per la Pubblica Amministrazione.
Molto spesso gli enti pubblici si trovano, oltreché ad erogare servizi, a svolgere anche una funzione di governance sempre più cruciale per la promozione dell’innovazione in tutti i settori. Ciò implica che, per l’attuazione di una policy e/o l’erogazione di un pacchetto di servizi, è necessario intervenire sul contesto, fare networking e collaborare con altri attori. In questi casi serve un approccio nuovo che superi il tradizionale rapporto “gerarchico” tra centro” (di potere) e periferia, e/o tra committente – fornitore.
Da professionista sono stato coinvolto in due esperienze interessanti che in questa occasione vorrei raccontare.
Il primo caso è l’implementazione del SCUP (Servizio Civile Unico Provinciale) che sia basa sull’accoglienza (di norma di un anno) di giovani che aderiscono al Servizio Civile da parte di Enti accreditati per far crescere le proprie competenze sia in campo lavorativo che in quello della cittadinanza attiva. Dal punto di vista operativo la policy si basa su alcuni passaggi che testimoniano anche la metodologia di applicazione: adesione dei giovani, accreditamento di enti, presentazione di progetti da parte degli stessi enti, valutazione dei progetti da parte dell’USC (Ufficio Servizio Civile della Provincia Autonoma di Trento), matching di giovani, enti e progetti, avvio, monitoraggio, valutazione finale dei progetti stessi.
L’efficacia della policy si misura attraverso la crescita personale e professionale/lavorativa dei giovani che si esplica attraverso l’acquisizione di specifiche competenze durante il percorso SCUP. Si tratta di un processo di apprendimento che necessita una serie di condizioni e fattori: motivazione del giovane, qualità organizzative degli enti, adeguatezza dei processi formativi attivati sia dagli enti (formazione specifica) che dall’USC (formazione generale).
Il successo della policy dipende inoltre dalla qualità del lavoro che sono chiamati a svolgere i diversi attori, ossia USC, enti, giovani in servizio, peer leader e formatori. Più nello specifico il buon esito del lavoro degli enti dipende dalle competenze professionali di due figure chiave: il progettista e l’Operatore Locale di Progetto, che è la figura che accoglie il giovane, coordina e presidia l’attivazione del singolo progetto.
Il secondo caso riguarda l’attivazione del progetto “alternanza scuola-lavoro” che vede coinvolti il dipartimento Istruzione e Cultura della PAT, Tsm-Trentino School of Management, gli istituti scolastici secondari di secondo grado aderenti e i singoli professionisti formatori e tutor chiamati di volta in volta lavorare con gli studenti. Anche in questo caso si attiva un ciclo pianificatore che vede coinvolti i diversi attori in una logica di co-programmazione e co- progettazione.
L’innovatività dell’approccio applicato in entrambi i casi descritti sta nell’aver sviluppato uno specifico modello di regolazione delle relazioni tra i vari soggetti che accresce e finalizza la loro capacità operativa affinché si raggiugano gli obiettivi organizzativi e si realizzi la mission della policy. Un approccio “tradizionale” e “burocratico” avrebbe privilegiato la leva del controllo che l’Ente pubblico eserciterebbe nei confronti di tutti gli altri soggetti (nel ruolo di fornitori o di destinatari). Nei casi illustrati invece la leva principale non è quella del controllo che comunque rimane in quanto rappresenta un mandato istituzionale della PA, ma quella della capitalizzazione di un know how condiviso e generato attraverso il coinvolgimento continuo degli attori coinvolti.
Dal punto di vista metodologico, l’elemento che accomuna le due esperienze è la creazione di fatto di una “comunità di pratica” dove soggetti con competenze diverse condividono le finalità attorno alle quali si sviluppa in termini sinergici un know how specifico che sta alla base del successo delle due policy in questione. I due attori con ruolo di attuatore, ovvero l’USC per lo SCUP e Tsm per l’alternanza scuola-lavoro, prestano molta attenzione a promuovere incontri informativi, formativi e occasioni di confronto tra le figure chiave (progettisti, OLP, formatori, peer leader per SCUP e formatori, tutor e docenti referenti degli istituti scolastici) per l’alternanza), con lo scopo di costruire pratiche condivise che esprimano visione, etica, competenza e metodo.
La creazione delle comunità di pratica si intreccia ovviamente con altri strumenti e azioni tipici del networking e della gestione degli stakeholder per garantire la buona riuscita dei progetti. In questa occasione però volevamo mettere in risalto come la volontà di privilegiare la leva della comunità di pratica a quelle della gerarchia e del controllo abbia generato uno spazio di regolazione dinamica, capace di evolversi e di innovarsi in relazione al contesto in cui opera.
Certamente la promozione di pratiche di coinvolgimento di vari attori nella gestione di servizi pubblici non è una novità assoluta, come non lo è anche l’attivazione di comunità di pratica nella gestione di progetti complessi. All’applicazione di tali metodologie su iniziativa di soggetti pubblici (TSM è un ente strumentale della provincia), tuttavia, non siamo molto abituati. Inoltre l’aspetto innovativo che caratterizza entrambe le esperienze sta nel fatto che gli attori coinvolti sono sempre stati concepiti non come “utilizzatori” di un know how predefinito al quale andavano “addestrati”, ma come “produttori” dello stesso che andavano semplicemente supportati per renderlo “visibile” e intelligibile e quindi condivisibile.
Credo infine che la disseminazione di esperienze simili contribuisca a generare una riflessione su come si possono superare alcune rigidità che il sistema di accreditamento comporta nella gestione dei servizi affidati agli ETS, e a portare le PA a rivedere i modelli di regolazione delle policy anche in una prospettiva di efficace valutazione dell’impatto sociale.
Mettersi insieme è un inizio. Rimanere insieme è un progresso. Lavorare insieme è un successo
Henry Ford