Oggi vi proponiamo un'interessante riflessione sulla formazione che ha scritto per noi Flavio Antolini, esperto di formazione e comunicazione in diversi settori, che collabora con ConfiniOnline per alcuni progetti sviluppati in territorio Trentino.
Quando scoppia una guerra, c’è chi si dedica ad elaborare armi sempre più efficaci e sofisticate, e chi si adopera per la mediazione e per la pace.
Quest’ultima è una scelta assolutamente perdente a breve e per nulla redditizia.
Presuppone la rara capacità di elaborare scenari incerti ed invisibili e, contemporaneamente, di sopravvivere ad un presente che impone concretezza e risposte immediate.
La prima, al contrario, rende bene e crea velocemente nuovi e stupefacenti strumenti di cui ci si invaghisce in fretta e che poi, come tutto ciò che piace e che funziona bene risolvendo problemi immediati, diventano un bisogno che inverte la relazione: prima si inventano le armi per sopravvivere ad una guerra e poi, pressoché inevitabilmente, si inventano le guerre per utilizzare le armi che sono state create.
È la storia della nostra “civiltà”…
Questi ultimi due anni hanno visto, inevitabilmente, “fisiologicamente” lievitare l’uso e la conseguente produzione di strumenti di comunicazione e di formazione che sapessero soddisfare il bisogno improvviso di sopravvivere all’isolamento, all’impossibilità di incontro, alla chiusura delle aule, al lockdown (quando mai abbiamo utilizzato questo termine prima?).
E gli strumenti hanno funzionato bene, e sì, siamo sopravvissuti tutto sommato bene..
Tuttavia il progressivo innamoramento degli strumenti informatici non nati, ma sviluppati e perfezionati in rapidissima sequenza per tamponare un’emergenza inattesa, mi turba, mi disturba, mi inquieta….
Non si tratta di demonizzare il mondo tecnologico e suoi canali e tantomeno di caldeggiare e promuovere un ritorno a “quando ci si incontrava”… Non si tratta, peggio, di contrapporre una comunicazione “falsa” ad una “vera”!
Si tratta di non perdere il baricentro della relazione formativa che è, nella mia visione, il cambiamento delle persone, non degli strumenti e dei processi, dell’azienda, del progetto, del rapporto fra efficacia ed efficienza, del raggiungimento dei risultati (neppure di quelli formativi!).
Il baricentro ruota attorno all’approccio, non al “metodo”.
I metodi si imparano più o meno in fretta e (anche) da soli. L’approccio è flessibilità, è dinamicità, è intensità, è creatività, è dubbio, è complessità, è vivo, è relazione umana.
La relazione umana, a mio avviso, o è estetica o non è.
Per entrare nel significato profondo di “estetico” (che abbiamo perso) dobbiamo partire dal suo contrario (che abbiamo enfatizzato): anestetico.
L’anestesia elimina la…sensibilità dei sensi!
Una relazione estetica accende la sensibilità dei sensi, di tutti i sensi che rappresentano l’unica possibilità di comunicazione fra individuo e il circostante. Aumentare la sensibilità dei sensi significa ampliare la possibilità di comprensione e di azione.
Quando la formazione (…i formatori?) sa lasciarsi affascinare dalla sensibilità dei sensi, interviene inevitabilmente sugli approcci di tutti i soggetti coinvolti e allora sì, può tranquillamente utilizzare qualsiasi strumento desideri che a quel punto resta, appunto, strumento.
Se spostiamo il baricentro del nostro amore (altra parola che abbiamo banalizzato) dalle metodologie agli approcci, dagli strumenti alle persone, dalla verifica dei risultati alla gestione consapevole della relazione, ci potremmo, vergognare un po’ di ostentare frequentemente, ad esempio, la parola storytelling senza sapere chi fossero Paulo Freire o Ivan Illich, due signori che cinquant’anni fa hanno avuto il coraggio di chiamare la formazione “un atto d’amore” che si sviluppa e cresce solo dentro il racconto condiviso.
Flavio Antolini