Quella persona ha un bell’intuito, quell’altra è abile nelle relazioni, io la qualità delle persone la riconosco a occhio (qua siamo nell’autovalutazione autoreferenziale), quell’altra invece è precisa…
Sono tutte espressioni che probabilmente abbiamo sentito almeno una volta nella vita. E se non proprio quelle, alcune di simile struttura e intendimento. L’emergere di simili frasi o anche solo di simili pensieri sta a significare che stiamo valutando, stiamo cioè riconoscendo del valore a determinate caratteristiche e comportamenti della persona che abbiamo di fronte. Valutare dunque è un fatto naturale e spontaneo. Ragionare sulla valutazione come strumento gestionale nelle organizzazioni non può prescindere da questa considerazione, perché ci aiuta a comprendere alcune cose: 1) per quale motivo è importante passare dalla valutazione spontanea a un sistema di valutazione; 2) in che modo un sistema di valutazione può migliorare il clima interno, fornire linee guida, costituire uno strumento nella gestione della risorsa più importante che sono le persone.
Andiamo dunque con ordine e partiamo dal punto 1: perché la valutazione è uno strumento importante (in particolare in una cooperativa)?
Siccome valutiamo sempre e siccome le decisioni organizzative su ruoli, percorsi di carriera, su come rimediare alle eventuali disfunzioni organizzative, su come strutturare un gruppo di lavoro dipendono da come valutiamo le competenze delle persone, tanto vale che tale processo risulti meno arbitrario, meditato, basato su variabili esplicite e trasparenti; innanzitutto perché chi è valutato sappia su cosa è valutato, ma anche affinché chi è escluso da una promozione, da un cambio di mansione, da un gruppo di lavoro, sappia che la motivazione della scelta dipende da variabili note a tutti che rendono un profilo più adatto di un altro e non da considerazioni arbitrarie basate sulla capacità di risultare simpatici ai capi.
Non che avere uno strumento di valutazione a disposizione elimini del tutto l’arbitrio, ma lo limita, né convince necessariamente chi è escluso di meritare l’esclusione, ma riduce le aspettative mal riposte e le delusioni generatrici di risentimento.
In poche parole, la valutazione rende le relazioni di lavoro più democratiche, nel senso che la trasparenza delle variabili coinvolte e dei criteri scelti per valutare, riducono l’arbitrarietà dei capi, rendono l’aspirazione a un percorso di carriera dipendente da un sistema di relazioni chiare e non dal tentativo di ingraziarsi il potente di turno.
In una cooperativa, per arrivare alla seconda parte della domanda, basterebbero già queste considerazioni per spiegare perché instaurare un sistema di valutazione è importante. Ma c’è anche dell’altro, e cioè la storia delle cooperative e delle cooperative sociali: il fatto che nascono spesso da sistemi di relazione informali, talvolta amicali, che con il crescere del numero di soci e dei lavoratori, non sono più sufficienti a tenere insieme la compagine. Né ci si può appellare solo ai valori condivisi, altrimenti si finisce per negare che di lavoro si tratta e per quanto sia importante condividere i valori e le aspirazioni che hanno motivato la nascita e lo sviluppo della cooperativa, non di soli valori è costituita la qualità della vita di lavoro. Perché tutti noi abbiamo bisogno di strumenti che contengano la nostra ansia, che incanalino le nostre aspirazioni e le nostre aspettative.
E arriviamo qui alla seconda domanda: in che modo un sistema di valutazione può migliorare il clima interno, fornire linee guida, costituire uno strumento nella gestione della risorsa più importante che sono le persone?
Parto da un assioma: il clima interno è tanto migliore quanto più alta è la percezione di equità e giustizia*. Il senso di ingiustizia ci rende meno inclini a cooperare per raggiungere un fine comune, crea cioè distanza, riduce il senso di appartenenza a un gruppo. Il senso di appartenenza e la motivazione non sono fattori estrinseci, che possono essere instillati in un individuo o in un gruppo, sono intrinseci all’individuo e si alimentano e sviluppano nell’ambito di contesti sociali generativi, capaci di riconoscere la motivazione e il desiderio di cui ogni individuo è portatore. Un sistema di valutazione non è un sistema per giudicare le persone, piuttosto è un sistema per riconoscerle, dando loro valore rispetto agli obiettivi dell’organizzazione.
Infine, un sistema di valutazione non esaurisce la sua funzione nella compilazione di una scheda una volta all’anno o nello svolgimento di formali colloqui di monitoraggio, costituisce invece un formidabile strumento attorno a cui costruire le schede di ruolo, che diventano anche la base per avviare campagne di recruiting e la base su cui costruire i percorsi formativi che accompagnano i percorsi di carriera e la banca dati delle competenze interne nel caso si renda necessario sostituire qualcuno, anche temporaneamente, oppure nel caso di evoluzioni organizzative che generano posizioni nuove, non previste e dunque non esplorate nel momento in cui si seleziona una persona che magari avrebbe le caratteristiche giuste per occupare quel ruolo ma della quale non sappiamo abbastanza, finendo così per sprecare le risorse interne già disponibili e motivate.
Mi fermo qui. Per semplificare la mole di assunti di cui, mi rendo conto, ho infarcito le righe precedenti, aggiungo solamente che il percorso: “Chi non valuta svaluta” proverà a rendere ancora più esplicite le questioni proposte e a tradurre il tutto in indicazioni precise sulla strumentazione necessaria ad attivare il processo della valutazione in una organizzazione. Si tratta di un processo evolutivo che richiede del tempo e un po’ di fatica, ma che è possibile tradurre in step, riducendo il senso di vertigine che prende i vertici di qualsiasi organizzazione quando si trovano a prendere decisioni strategicamente rilevanti. Sappiate che amo lavorare su questo tema e non vedo l’ora di ragionarci insieme a chi vorrà partecipare al percorso.
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(*) Nel 2003, “Nature” pubblicò una ricerca da cui si evinceva che il senso di giustizia è innato ed è presente anche nei primati non umani: https://www.nature.com/articles/news030915-8. Afferma Sarah Brosnan, una delle autrici della ricerca: “You need a sense of fairness to live in large, complex groups."
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