Il nostro formatore e consulente Paolo Tomasin, esperto di politiche sociali, progettazione e valutazione d'impatto, nonché di “Teoria dei sistemi a rete”, è stato intervistato da Radio InBlu per parlare dei cambiamenti in atto nel Terzo settore: dal Runts, alle comunità energetiche, dalle nuove espressioni del volontariato alle forme di coprogettazione e coprogrammazione tra Non profit e amministrazioni pubbliche.
È vero, è un momento di grande fermento per il Terzo settore, ma in realtà esso è da sempre in movimento. C'è un processo di trasformazione che nasce prima dell'avvento della Riforma e del Codice del Terzo settore; sono tanti aspetti che stanno cambiando, la società, i bisogni, e con questi anche il Terzo settore, che ha “le antenne” e in un certo qual modo si adegua e si trasforma.
Il Terzo settore è un comparto fatto di tante realtà diverse tra loro, ad esempio, da un lato ci sono le imprese sociali, le cooperative, che sono delle imprese tout court e che contribuiscono in maniera significativa ed evidente allo sviluppo economico, dall'altro ci sono una varietà di organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale. Sussistono più anime dentro questo comparto che sta crescendo molto. Il Runts porterà a una sorta di definizione di quello che sarà il Terzo settore propriamente detto, e di tutte le realtà esistenti alcune entreranno dentro questi confini, altre c'è il rischio che rimangano fuori. Piccoli gruppi, realtà poco formalizzate, che, però, sono comunque una vitalità nelle nostre comunità e parte attiva del Terzo settore.
Questo discorso è interessante da analizzare anche in relazione alla trasformazione - ormai in atto da diversi anni – che riguarda la donazione del tempo e delle competenze del volontariato. Si sta assistendo a una crescita sempre maggiore del numero di persone che non vogliono appartenere a un'organizzazione di volontariato o a un'aps, ma vogliono comunque dedicare del tempo, magari in modo limitato o discontinuo, per fare qualcosa per la comunità, soprattutto nei momenti di difficoltà, ma senza avere vincoli associativi. È un fenomeno crescente e interessante che chiede anche all'organizzazione di ripensarsi.
Durante la pandemia molte realtà hanno lamentato un calo della disponibilità di tempo da parte delle persone e una difficoltà del ricambio generazionale e dei vertici delle associazioni, ma al contempo ci sono state tante manifestazioni spontanee, specie laddove c'era più necessità, per la tenuta della comunità e della coesione sociale. Molte organizzazioni hanno colto questa occasione proprio per ripensarsi.
Da un lato ci sono realtà che faticano ad attrarre nuovi volontari, soprattutto giovani, e faticano a creare un ricambio dei vertici. Dall'altra ci sono realtà che, forse perché hanno tematiche più interessanti, hanno, invece, una forza attrattiva verso i giovani fortissima. Ne sono un esempio organizzazioni come Libera, che si occupa di legalità o le organizzazioni che si occupano di ambiente, dove negli ultimi anni c'è stato un protagonismo dei giovani davvero molto forte.
Ci sono entrambe queste varietà. Certo è, che le organizzazioni più tradizionali dovrebbero ripensarsi.
Il volontariato sta cambiando, è sempre più discontinuo, viene infatti definito “intermittente”, proprio perché il volontario è poco propenso a partecipare alla vita associativa, alle forme assembleari, alle riunioni e pensa di perdere tempo. La vita associativa, di fatto, è un po' pesante. Catturare oggi un giovane non lo si può fare invitandolo a partecipare alle forme assembleari, perché queste non sempre sono effettivamente “partecipate”, anzi sono spesso guidate, sono noiose ecc. Nasce la necessità di creare una forma di adesione capace di mettere insieme divertimento e donazione di tempo. La convivialità c'è sempre stata in quest'ambito, anche tra le vecchie generazioni che la ritrovavano e la trovano ancora proprio nell'espressione assembleare. Le nuove generazioni richiedono un adattamento.
Un altro aspetto moto importante a riguardo è la formazione. Alcune organizzazioni fanno formazione per le fasce più giovani, li preparano, li coinvolgono, molte altre invece dicono di avere bisogno dei giovani ma fanno fatica poi ad aprirsi.
Di questa capacità di engagement delle organizzazioni se ne continuerà a parlare, la pandemia ha diviso tutto in un prima e un dopo e ha fatto emergere tante necessità di cambiamento. Tra queste c'è stata anche quella di fare rete, coinvolgere il pubblico e il privato, le amministrazioni e gli enti del Terzo settore. Questo ha fatto emergere probabilmente anche la necessità di ripensare i modelli con cui costruiamo le comunità.
Fare rete, fare sinergia, fare squadra è un mantra che si ripete ormai da tanto ed è sempre più importante. Da alcuni anni però si ha anche la consapevolezza della necessità di formare delle figure specifiche, capaci di prendere le redini di questo strumento. Con ConfiniOnline abbiamo appunto realizzato un corso per il networking negli enti del Terzo settore. C'è un bisogno di fare rete innanzitutto tra gli stessi enti del Terzo settore. Ad esempio, quando si tratta di acquisire dei finanziamenti attraverso un bando, questo networking nasce dalle partnership, che vanno poi attivate, ma non sempre gli enti dialogano così tanto come ci si aspetterebbe, c'è anche un po' di competizione. Poi c'è bisogno di fare rete tra gli enti del Terzo settore e la Pubblica amministrazione: oggi si stanno diffondendo, soprattutto dopo la Sentenza n.131/2020 della Corte Costituzionale, tutte le possibilità di coprogettazione e coprogrammazione, che avranno uno slancio sempre maggiore negli anni futuri.
E in ultimo è sempre più frequente anche la capacità di fare rete tra gli enti del Terzo settore e gli enti for profit. Si pensi alle società benefit, sono delle Spa che vogliono avere un impatto positivo sia sul sociale, sulle comunità con cui lavorano, che sull'ambiente. Molte di queste dialogano già con gli enti del Terzo settore, mettono a disposizione anche il loro personale che si distacca e va a lavorare con questi enti. Anche una vera e propria forma di volontariato si sta diffondendo nelle imprese private for profit che hanno una certa responsabilità sociale.
La necessità di fare rete e quindi sempre più imperante, ma dobbiamo avere degli strumenti per attuarla e renderla efficace.
L'importanza di avere e condividere degli strumenti sta emergendo tantissimo nell'attuale contesto dell'emergenza della guerra in Ucraina. E a tal proposito si parla sempre più di un tema che riguarda un nuovo modo di fare comunità, e che coinvolgerebbe la coprogettazione, la coprogrammazione, imprese profit, non profit e amministrazioni locali: sono le cosiddette comunità energetiche.
Creare una comunità energetica corrisponde alla capacità di mettere insieme pubblico e privato nel produrre e condividere energie. Si stanno diffondendo in tutta Italia e mettono in luce molti aspetti interessanti per il Terzo settore, come la capacità di unire sempre di più gli aspetti relazionali e sociali all'aspetto ambientale. Persone e contesti ambientali. È un indirizzo importantissimo per il futuro, perché mettono assieme moltissimi aspetti, compresa l'innovazione digitale e tecnologica.
Per tornare al punto di partenza, le comunità energetiche rappresentano un po' l'emblema di quel “fermento” che coinvolge tutto, non solo il Terzo settore.