“Non sappiamo cosa accade, e questo è ciò che accade” Ortega y Gasset
La riforma in atto stimola un processo di rafforzamento dei modelli di governance degli ETS volti a produrre migliori performance sul piano dell’efficienza gestionale, dell’efficacia operativa, del raggiungimento degli obiettivi, della comunicazione e della trasparenza/accountability. Ovviamente tutto questo non è scontato, passa attraverso l’implementazione di cambiamenti organizzativi che riguardano diverse aree dell’operato degli ETS.
La “buona” organizzazione, che mira a costruire solide strutture operative (capacity building), è un fattore determinante per l’implementazione della riforma, in quanto sta alla base della capacità degli ETS di attuare i cambiamenti di carattere normativo, amministrativo/contabile e rendicontativo, che a loro volta non garantiscono solo la conformità normativa e la compliance dell’ente, ma vogliono essere anche il presupposto per la realizzazione della mission e degli obiettivi istituzionali. Tutto questo all’interno di un contesto sociale di grandi trasformazioni che esprime una forte domanda di innovazione sociale.
Il cosiddetto Terzo settore fin dalla sua nascita ha rivendicato un ruolo nella nascita del welfare state che con il tempo è diventato sistema. Ma oggi questo sistema sembra inadeguato e gli ETS sono nuovamente chiamati a partecipare alla progettazione del “nuovo”. F. Butera in “Organizzazione e Società”, ci insegna che innovare l’azione organizzatrice all’interno delle aziende è indispensabile per portare l’innovazione nei contesti socio-economici entro i quali esse agiscono.
Le organizzazioni sono da sempre impegnate a gestire l’ordinario e efficientare l’operatività, ma anche a scoprire il nuovo e promuovere l’innovazione. Storicamente le due attenzioni si sono alternate a seconda del ciclo di vita aziendale. Oggi c’è qualcosa di nuovo: spesso sono richieste entrambe contemporaneamente.
Viviamo in ambienti turbolenti e complessi (VUCA Volatility – Uncertainty – Complexity – Ambiguity); non è solo retorica. L’esigenza per lo sviluppo si fa sentire maggiormente. La velocità del cambiamento è aumentata e il moltiplicarsi dei fattori che si intrecciano nel determinare un fenomeno (il cosiddetto effetto farfalla) ci fanno perdere la sicurezza trasmessa dai nessi causali (il rapporto chiaro e stabile tra causa ed effetto) e ci espongono maggiormente all’indeterminatezza dei nessi circolari (dove tutto dipende da tutto e per inoltre cambia nel tempo).
Lo vediamo nelle organizzazioni dove il potere della pianificazione viene affievolito e al suo posto guadagna posizioni il monitoraggio continuo (partiamo e vediamo) come processo centrale nella governance aziendale. Si tratta di un vero e proprio cambio di paradigma.
Descrivere a priori il risultato risponde a una logica gestionale ben precisa: poter verificare lo stato di avanzamento e gli output finali e quindi valutare non tanto la buona riuscita di un progetto (risolvere il problema) quanto la “corretta” realizzazione che corrisponde alla conformità rispetto al progetto. Schematizzando un po’ si potrebbe dire che il successo era insito nella bontà progettuale, quindi ex ante. Ora l’imprevedibilità del contesto sposta l’attenzione al controllo del processo e alla necessaria continua ridefinizione delle azioni e degli output intermedi. L’imperativo è risolvere il problema non essere conformi a un piano definito a priori.
Molto spesso, si parte anche se non si sa ancora di preciso quale è la meta, si chiarirà e prenderà forma strada facendo. Servono occhi aperti e orecchie tese (monitoraggio appunto) per percepire ogni segnale e cambiamento dell’ambiente circostante. la metafora è quella della navigazione a vista dove per non perdersi serve una bussola forte quale può essere la mission e/o il codice etico. Sono strumenti che servono non per indicare una meta a priori, ma per darci gli elementi utili per valutare di volta in volta le nuove mete “scoperte” (logica di patchwork e di evoluzione a bricolage).
Lo stesso concetto dell’organizzazione è in continua trasformazione. L’attenzione si sposta dalla “produzione” al “servizio-prodotto” e soprattutto all’impatto generato sia sul fruitore/destinatario sia sul contesto più ampio. È questo cambiamento di paradigma nel rapporto organizzazione e ambiente che può agevolare il raggiungimento dell’obiettivo di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
L’azienda può sopravvivere solo se è in simbiosi con il suo ambiente. Progettando lo sviluppo non si è vincolati dalle risorse disponibili già in “magazzino”, semmai si fanno strategie e si sviluppano partnership per le nuove risorse da metterle a disposizione del “proposito”. Le organizzazioni oggi hanno bisogno di dialogare con il contesto sociale per definire il proprio agire e delineare il futuro. Ciò significa rivedere i modelli di collaborazione e di costruzione delle sinergie tra diversi attori, costruire network che partono davvero dai bisogni-soluzioni e modulare l’impianto organizzativo più adatto. Siamo abituati a partire dalle soluzioni organizzative già repertoriate come funzionanti, ma oggi dobbiamo chiederci se queste possano di continuare a funzionare. Il paradigma lineare nel progettare i servizi è obsoleto. Si devono sviluppare e sperimentare modelli progettuali evolutivi, a bricolage, dove non sempre è possibile conoscere a priori quali saranno con precisione gli output e i relativi indicatori.
Dal modello unico ottimale - one best way - siamo passati ai modelli differenziati a seconda delle tipologie della tecnologia e degli ambienti e, adesso, a quelli "adhocratici’" (ideati da decenni); dalle strutture ai processi e ora ai comportamenti. L’organizzazione - intesa come prassi - non serve solo a garantire un risultato, ma anche a creare le condizioni per lo sviluppo, valorizzando il potenziale delle risorse disponibili.
Al centro di questo scenario evolutivo troviamo l’informazione. Il processo ciclico di costruzione, reperimento, validazione, trattamento, archiviazione, trasmissione, condivisione, valorizzazione e aggiornamento, diventa centrale per qualsiasi modello organizzativo si vuole costruire e implementare.
L. Floridi in La quarta rivoluzione, parla di "infosfera", che, al pari della biosfera, è vitale per la nostra sopravvivenza. Siamo esseri che scambiamo informazioni con altri soggetti, singoli o collettivi, e con altri dispositivi. Le tecnologie e le soluzioni digitali con la loro forza pervasiva non possono che essere al centro di questi processi evolutivi, ma talvolta anche alla loro stessa origine.
In un prossimo articolo svilupperemo più dettagliatamente il tema del rapporto tra digitalizzazione e organizzazione. Di tutto questo e di molto altro ancora, se ne discuterà nel corso online in partenza martedì 1 marzo: Processi organizzativi e digitalizzazione: come farli dialogare?
A questo link maggiori dettagli sul corso e sulle modalità di iscrizione