È corretto denunciare l’incongruenza della politica per cui si spendono “parole di miele nei confronti dei soggetti sociali. Ma i fatti e le politiche quasi mai sono stati coerenti con gli impegni presi”. Però forse potrebbe essere opportuno chiedersi il perché di tutto ciò e magari domandarsi se gli enti del terzo settore possono, invece di limitarsi a lamentarsi, fare qualcosa per cambiare questa situazione.
Oggi la maggior parte delle persone che operano all’interno del non profit identifica il proprio valore coi beni e coi servizi erogati. Non è raro che la stessa missione dell’ente venga confusa con quanto l’organizzazione produce. Ora non occorre essere Peter Drucker per sapere che confondere la propria missione con le attività svolte è uno degli errori peggiori che un’organizzazione possa fare.
Nel contempo, al di là della tanta retorica che circonda chi opera nel terzo settore, è innegabile, come del resto ha denunciato il pontefice, che questi beni e servizi si rivelano, nella maggior parte dei casi, dei meri palliativi che “non sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare”.
Infine bisogna riconoscere come, di norma, questi beni e servizi, per quanto fondamentali per il nostro benessere, vengono compensati in modo inadeguato. Non è infatti raro che le risorse messe a disposizione non coprano neppure il costo dei fattori produttivi.
Privo di una chiara identità; funzionale a conservare un sistema che denuncia come profondamente ingiusto e avente come unico vantaggio competitivo quello di pagare poco e male i propri collaboratori, non ci si deve stupire se il terzo settore venga considerato l’ultima ruota del carro, quella cioè che viene utilizzata esclusivamente quando una delle altre si rompe e che quindi si spera di non dover impiegare mai.
Il tentativo di uscire da questo vicolo cieco migliorando la propria efficienza gestionale non ha dato i risultati sperati e forse non li poteva dare, considerato che i beni e servizi prodotti, a causa delle esternalità positive che li contraddistinguono, tendono ad avere un prezzo di mercato molto inferiore a quello che, probabilmente, è il loro valore sociale.
Sembra che non ci siano vie d’uscita. Se però analizziamo la capitalizzazione in borsa, scopriamo come questa dipenda in maniera crescente da fattori intangibili: il brand, la rete, il know-how. Del resto le persone sono sempre più spesso alla disperata ricerca di senso, appartenenza, relazioni, emozioni. Si tratta di risorse che sono ben presenti nella maggior parte degli enti non profit. Imparare a valorizzarle potrebbe rivelarsi una modalità estremamente efficace, non solo per garantire la propria sostenibilità economica, ma anche e soprattutto per perseguire la propria missione ed affermare un ruolo sociale che sia decisivo per il futuro di tutti.
Si tratta, in altri termini, di rovesciare l’approccio vigente. Non dobbiamo raccogliere risorse con cui cercare di tamponare i problemi sociali, ma, al contrario, usare tali problemi per soddisfare il bisogno di senso, appartenenza, relazioni ed emozioni di un crescente numero di cittadini. Non è una missione impossibile, soprattutto se impariamo a cogliere le opportunità che ci offre la promozione del dono.
Il dono, infatti, a differenza di quello che si è usi pensare, non è un atto di rinuncia, ma uno scambio fondato sulla libertà. Nel dono ciò che importa non è la cosa scambiata, ma la relazione che si crea. La donazione non è il fine della promozione del dono, ma l’indicatore che una relazione autentica è stata effettivamente creata. Promuovere il dono significa offrire ai propri interlocutori la concreta opportunità di diventare parte della soluzione di un rilevante problema sociale; di appartenere a qualcosa più grande; di dar vita a relazioni che non sono fondate sulla strumentalizzazione reciproca; di vivere delle emozioni autentiche. In altre parole promuovere il dono significa offrire ai propri interlocutori una via, pienamente praticabile, per affermare la propria umanità.
Nel contempo promuovere il dono costringe l’ente a sviluppare tutte quelle attività che sono indispensabili per il perseguimento della propria missione, ma che spesso vengono trascurate in quanto non immediatamente funzionali all’erogazione dei beni e dei servizi che l’ente produce. Non è possibile promuovere il dono senza comunicare in un linguaggio adatto ai nostri interlocutori, curare le relazioni, approfondire la propria identità, riscoprire lo straordinario nel proprio ordinario, valutare l’effettivo impatto del proprio operare. Per questo decidere di dedicare una risorsa alla promozione del dono, significa dotarsi di una struttura che ci costringa a fare le attività che tutti riconoscono come fondamentali, ma che spesso rimandiamo alle calende greche, per concentrarsi sulle emergenze operative, magari per poi lamentarci che siamo stati lasciati soli.
Decidere di fare della promozione del dono una parte integrante della propria identità potrebbe quindi rivelarsi una delle più importanti decisioni strategiche per qualsiasi ente che persegua finalità d’utilità sociale, soprattutto se non può contare su grandi budget da destinare al marketing e alla comunicazione. Del resto studi sul fundraising negli Stati Uniti, hanno mostrato come siano proprio queste le organizzazioni ad avere maggiore successo nella raccolta fondi.
Una via per approfondire tale prospettiva e nel contempo iniziare a testarla concretamente è la partecipazione al Master per promotori del dono realizzato dalla sede di Como dell’Università dell’Insubria. Si tratta di un Master Universitario di primo livello offerto online che è arrivato alla sesta edizione e che è pensato per quelle organizzazioni, soprattutto medio piccole, che vogliono riqualificare un proprio dipendente o assumere una nuova risorsa, eventualmente sfruttando le opportunità che offrono i tirocini curriculari. Il corso è strutturato per accompagnare lo studente nell’elaborazione e implementazione di una vera campagna di raccolta fondi e nella predisposizione di un piano annuale di promozione del dono pensato per la propria organizzazione.
Fondazione Italia per il dono onlus, consapevole del ruolo fondamentale che gli enti benefici possono svolgere nel promuovere il dono e quindi nel contribuire a creare una società più umana, è diventata partner di questa iniziativa e ha deciso di mettere a disposizione di tutti quegli enti che decideranno di sfruttare questa opportunità un contributo di 1.000 euro.
Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito del Master o scrivermi a bernardino@perildono.it.