Cosa ci ha insegnato questo primo anno di esperienza nel campo del BS dopo l’applicazione della riforma?
Le riflessioni che seguono non si basano su dati derivati da un’indagine scientifica mirata, ma nascono semplicemente dall’esperienza diretta del sottoscritto e dalle evidenze empiriche raccolte nel corso dello svolgimento della propria attività professionale consulenziale e formativa in materia di BS.
Per iniziare a rispondere al quesito posto, direi che un anno sicuramente sia un tempo molto limitato per poter parlare di risultati. Le esperienze maturate non ci consentono di dire qualcosa di significativo sugli effetti che l’introduzione del BS ha prodotto sui modelli di governance e sulle pratiche organizzative e operative degli ETS. Tuttavia, se spostiamo l’attenzione dai risultati al processo e ci concentriamo, quindi, più alle fasi di “elaborazione” e di “adozione” del BS, possiamo fare qualche riflessione proficua. Per “elaborazione” intendiamo, evidentemente, il lavoro dedicato alla redazione e alla stesura del documento, mentre per “adozione” intendiamo il lavoro, svolto prima e dopo la stesura, finalizzato a rendere il BS uno strumento operativo di gestione dei processi organizzativi.
Un primo “dato” interessante constatato è che del BS si sono occupate, prevalentemente, figure con una preparazione “amministrativa” (economico-gestionale e/o giuridica). Ciò significa che c’è stata una maggiore attenzione alla raccolta e catalogazione del dato obbligatorio e una minore alla ricerca del “dato utile” per misurare il valore sociale generato. Attenzione che si è tradotta alla ricerca della tabella da compilare possibilmente precostituita e prevista dalle linee guida ministeriali. Le domande frequenti erano quelle del tipo “oltre al totale dei dipendenti è obbligatorio distinguere anche per sesso o per titolo di studio?” oppure “è richiesto anche distinguere le ore lavorate per servizio?” Esempi che esprimono molto bene lo spirito con il quale è stato affrontato il lavoro di stesura del BS in queste prime esperienze. Ciò dimostra che l’attenzione è stata rivolta principalmente alla raccolta e sistemazione del dato minimo obbligatorio da comunicare e solo marginalmente all’opportunità di esprimere attraverso il dato una strategia comunicativa e, quindi, di affrontare il processo in termini di adozione dello strumento. Tutto ciò può essere giustificato dal fatto che le attività si sono svolte, come molto spesso succede, sotto lo spauracchio delle varie scadenze.
Sia chiaro che non si vuole esprimere una critica rivolta alle figure amministrative, quanto piuttosto una constatazione relativamente all’approccio con il quale gli ETS hanno affrontato la sfida del BS. Credo che rientri nello spirito più generale che ha a che fare con la “naturale” reazione di fronte alla percezione di un rischio di burocratizzazione insito nei modelli di governance e di compliance aziendale che, negli ultimi anni, avanzano in maniera sempre più insistente. Che le aziende rendano conto del proprio operato sul piano economico, sociale e ambientale sta diventando, di fatto, obbligatorio. Non mi riferisco solo all’obbligo previsto dalla riforma per alcune categorie di ETS, ma, in generale, anche al mondo delle aziende for profit che sono sempre più chiamate, per obbligo normativo e/o per opportunità di valorizzazione del proprio capitale reputazionale, a dimostrare la sostenibilità del proprio operato (approccio Environment, Social, Governance – ESG), rispettando parametri e criteri stabiliti a livello internazionale, in base ai quali si ottengono valutazioni e rating di responsabilità sociale (per alcune tipologie di aziende esiste già l’obbligo normativo), oltre a quelle più note e consolidate riguardanti la sfera economico-finanziaria.
Tutto questo ha un comune denominatore: la progettazione e implementazione di processi operativi in grado di raggiungere i risultati stabiliti, anche in termini di sviluppo e, allo stesso tempo, di produrre dati da comunicare a fini rendicontativi in termini strategici o di compliance (su questo punto si rimanda a precedenti riflessioni: Compliance, Etica e Organizzazione e La narrazione come azione organizzatrice). Il rapporto tra produzione e comunicazione non è più lineare e unidirezionale; non ci si limita, infatti, a comunicare i dati disponibili in base alla produzione, ora si progetta la produzione (cosa e come) in modo tale da generare dati sulla base di quello che si vuole comunicare. La comunicazione è intesa come un momento di dialogo con gli stakeholders e, in quanto tale, è la nuova frontiera del marketing.
La reazione difensiva di fronte alla minaccia della burocratizzazione è comprensibile che sia quella più immediata ed emotiva, ma non è certamente l’unica possibile. Passato il primo periodo di adattamento, si dovrebbe spostare l’attenzione dall’elaborazione all’adozione del BS e, quindi, riflettere sul modello di governance che si vuole sviluppare e implementare. A tal proposito, servirebbe un metodo per ricostruire la catena di valore sociale, gestire le relazioni con gli stakeholders e pianificare la gestione dei processi di rendicontazione sociale. Sono i primi passi per iniziare un percorso che veda la responsabilità sociale e la sostenibilità non solo come vincoli burocratici ma come occasioni per ripensare il welfare e il futuro delle nostre comunità.
Theofanis Vervelacis
Consulente e docente del prossimo corso in partenza "Dal bilancio sociale all'innovazione della governance".