Chiunque si sarà iscritto di recente alla nostra newsletter, avrà notato nel nostro messaggio di benvenuto una piccola e capovolta "ə". Sapete cos'è lo schwa? Noi abbiamo scelto di rendere la nostra comunicazione totalmente inclusiva e di raccontarvi da dove nasce questa "idea".

La lingua è in continua evoluzione e soprattutto "la fanno i parlanti". Per quanto ciclicamente polemizzato, l'uso dello schwa "ə" al posto del maschile plurale indifferenziato, rappresenta a livello linguistico e socio-culturale la maniera più semplice per includere tutti, o meglio tuttə! Ci rifacciamo alle parole di  Vera Gheno, una delle più influenti sociolinguiste, impegnata da diverso tempo nella ricerca di un linguaggio adatto alle questioni di genere, per riflettere come un utilizzo più inclusivo della lingua non sia poi così difficile.

«Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!», diceva Nanni Moretti nell'indimenticabile film "Palombella rossa". 
La lingua, il nostro modo di comunicare, determina in parte il nostro modo di agire. In un'epoca di rapidi, continui e sempre più attivi sommovimenti sociali, politici e culturali, parlare di inclusività, vuol dire andare verso una reale convivenza delle differenze, ossia avere gli occhi svegli su un'infinità di aspetti della nostra socialità. E quando parliamo di socialità, ci riferiamo anche a tutti i mutamenti e gli utilizzi della comunicazione nel digitale. Il web è un mondo parallelo che meriterebbe un'apposita educazione linguistica, scevra dalla convinzione dell'anonimato e incline al più politicamente e socialmente corretto modo di utilizzare le parole.

Quello da cui partiamo è l'utilizzo dello schwa al posto del maschile o femminile plurale o anche dello stesso utilizzo di asterischi e diversivi altri. 
Vera Gheno è una sociolinguista specializzata in comunicazione digitale e traduttrice dall’ungherese, ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca nella redazione della consulenza linguistica e gestendo l’account Twitter dell’istituzione. Attualmente collabora stabilmente con la casa editrice Zanichelli. Insegna all’Università di Firenze, al corso di laurea di Scienze Umanistiche per la Comunicazione, dove tiene da molti anni un Laboratorio di italiano scritto. La sua proposta, di sostituire, per lo meno in certi contesti, il maschile generalizzato con l’uso dello schwa, ha trovato dei sostenitori specialmente tra la comunità LGBTQIA+, ma non manca di scatenare, di tanto in tanto, le ire dei sedicenti amanti della tradizione. 

Le discussioni che nascono sulle questioni linguistiche, come anche quella sui "femminili", sono chiaramente più connotate da aspetti sociali, politici e culturali che linguistici. E, sebbene sia chiaramente stretto il legame tra lingua e società, Vera Gheno sostiene che sia una tendenza del tutto connaturata dell'essere umano, quella di essere "renitenti al cambiamento", ossia avvertire ogni cambiamento come un piccolo trauma.
I cambiamenti linguistici, quindi, espressione della vitalità della lingua, sono visti come una "rovina dell'italiano", e, in alcuni contesti, percepiti quasi come una minaccia dello status quo.

In un'intervista la sociolinguista sottolinea "Vedo la consueta difficoltà a misurarsi con un argomento “caldo”, che riguarda settori della società che, per motivi vari, sono secondo me lontani dall’aver raggiunto una parità in termini di diritti civili o forse, ancora più latamente, di possibilità all’interno della società civile. Mi riferisco sia alle donne – a proposito delle quali spesso viene negato tout court che esista un problema di mancata parità – sia alle categorie rappresentate dalle varie lettere della sigla LGBT+." e aggiunge - "Una questione parzialmente collegata al tema dei femminili professionali è quella di come rivolgersi a una pluralità mista. Normalmente, l’italiano prevede che anche in presenza di un solo maschio si passi al maschile sovraesteso: “I ragazzi sono tutti qui” (magari sono quaranta ragazze e un ragazzo)."

Approfondendo le questioni di genere, Vera Gheno si è poi posta la domanda, se esiste un modo alternativo per rivolgersi a una moltitudine mista che magari comprenda anche persone non-binarie, ossia che non si identificano né con il maschile né con il femminile. Nel libro Femminili singolari, a chi obiettava che l’asterisco (car* tutt*) ponesse un problema di pronuncia, Gheno aveva ribattuto scherzosamente che si sarebbe potuto introdurre, invece dell’asterisco, l’uso dello schwa, che almeno ha un suono. "Lo schwa o scevà (nome italianizzato) è un simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale, o IPA, che è un alfabeto che permette di rappresentare per iscritto tutti i suoni presenti nelle varie lingue usate da noi esseri umani. Il simbolo dello schwa è una piccola "e" rovesciata, ə. Non lo si trova, di norma, nelle tastiere standard, ma nella mappa dei caratteri sì. Il suo è “un suono neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità” (ci dice Treccani); sta al centro del quadrilatero vocalico, cioè tra A, E, I, O, U, e, come dico spesso, corrisponde al suono che si emette se non si deforma in alcun modo la bocca, “a bocca rilassata”. Esiste naturalmente in diversi dialetti meridionali (/Nàpulə/). Per quanto io stessa ne veda i limiti fortissimi, ogni tanto, quando scrivo per contesti nei quali le questioni di genere sono particolarmente sentite, scrivo cose come “Carə tuttə”. Per inciso, non sono stata io a coniare la proposta: la questione risale a diversi anni fa; più informazioni si possono trovare sul sito Italiano Inclusivo".

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