La riflessione in apertura di Massimo Recalcati

La Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus, nell'ambito dell'iniziativa nazionale In Farmacia per i Bambini, presenta un ciclo di webinar in cui verrà affrontato il tema della salute dei minori alla luce della pandemia. Ad aprire il primo appuntamento, intitolato "Esiste una Generazione Covid19 e una Generazione Dad", lo psicanalista Massimo Recalcati, con una riflessione sul mondo della scuola e dei giovani al tempo del Covid-19. 

«Vi parlo in doppia veste», ha esordito Recalcati. «Vi parlo come padre di due figli adolescenti alle prese con la Dad e come clinico che ha visto esplodere il disagio giovanile in diverse forme: dagli attacchi di panico, alla dipendenza tecnologica. Dai disordini alimentari fino al ritiro sociale».

Il Covid non ha colpito tutti allo stesso modo: «Ogni tempo di crisi», spiega Recalcati, «tende a pesare di più su chi è più fragile. La violenza del Coronavirus non si è diffusa allo stesso modo nelle nostre vite, il Covid non è democratico. E quindi ha colpito di più i deboli, chi ha meno risorse e possibilità».

Il Coronavirus è stato un trauma per tutti, in modo particolare per gli adolescenti. «Ma se noi identifichiamo un soggetto con il trauma che ha subito», spiega Recalcati, «involontariamente consolidiamo la posizione di quel soggetto, e nel nostro caso degli adolescenti, nella posizione di vittima. Questo atteggiamento è fatale perché porta alla deresponsabilizzazione dei ragazzi».

E alla domanda “Allora esiste una generazione Covid e una generazione Dad?” «No, non esiste. Noi dovremmo sostenere che non esiste», dice Recalcati. «È indubbia la presenza di un trauma, il Covid, che ha colpito con grande forza la nostra vita individuale e la nostra vita collettiva. Ed è indubbio che, in un tempo come questo, se non ci fossero state le istituzioni, prima tra tutte la famiglia, noi saremmo stati spiazzati via da questa violenza. Veniamo da una cultura populista che ci vuole far credere che le istituzioni danneggino la vita. Invece istituzioni e vita sono due facce della stessa medaglia. I bambini forse sono la fascia che ha sofferto meno proprio per questa ragione: il mondo dell’infanzia coincide con quello della famiglia. Gli adolescenti, al contrario, sono tra quelli che hanno sofferto di più perché è l’adolescenza stessa che esige di oltrepassare il recinto della famiglia. La vita dell’adolescente è destinata “all’aperto”, è una domanda di viaggio. La chiusura invece ha imposto una restrizione della loro libertà a causa dell’emergenza sanitaria».

In questi mesi il sistema scuola, o almeno il sistema così come lo conoscevamo, è venuto a mancare. Ma demonizzare la Dad non è una soluzione: «La Dad non è il miglior sistema didattico possibile», spiega Recalcati. «Ma è una supplenza necessaria alla vita della scuola che non è solo il luogo della didattica, ma una comunità dove i corpi dei nostri figli si incontrano, si innamorano, si toccano. In questi mesi è mancata l’esperienza della scuola come esperienza di comunità. Ma l’educazione si fa sempre con ciò che c’è, non con quello che avrebbe dovuto esserci. È facile criticare la Dad, ma per molti insegnanti, per esempio, insegnare così ha significato spendersi fino in fondo. Poter far arrivare la parola tramite uno schermo è uno sforzo importante. Mi auguro che la Dad venga superata dal ritorno alla vita della scuola, ma demonizzarla non è giusto. E no, non è necessario vittimizzare i nostri figli perché hanno dovuto sopportare la Dad».

Ma se da un lato i ragazzi hanno bisogno di ritornare alla vita nel modo più ostinato possibile dall’altro: «qualcuno manifesta la difficoltà di ritornare in quella libertà», spiega Recalcati. «L’esperienza del Covid ha rafforzato dei comportamenti fobico sociali. Ci troviamo nel campo dei disturbi post traumatici di adattamento: la pandemia ci ha insegnato che abbiamo bisogno degli altri ma che gli altri possono anche essere fonte di pericolo, rischio, infezione. Questa doppiezza si scava nei nostri figli che allora trasformano la prigione del sconfinamento in uno scudo protettivo: la depressione dei nostri figli investe il futuro».

Ma in un mondo che ha smarrito i rituali di passaggio e non ha un dispositivo simbolico per indicare l’ingresso nell’età adulta, il ruolo del vaccino è fondamentale. «Il vaccino ai maturandi, ai giovani, è una possibilità per i nostri figli. C’è in gioco qualcosa di fondamentale e non riguarda solo l’aspetto sanitario. Il vaccino agli adolescenti è prima di tutto una grande esperienza civile. Non è solo un gesto legato al mio benessere o al benessere di chi vive con me. Ma è appunto un rituale civile straordinario per sensibilizzare i nostri figli. Ragionare con loro in questa direzione, piuttosto che dargli la posizione delle vittime, è un gesto di grande cultura. Se fai il vaccino salvi delle vite e l’idea di appartenere ad una comunità è il contrario del confinamento. Gli adolescenti devono capire che la vaccinazione è un rituale civile, una prova collettiva da sostenere insieme. Che cosa ci ha insegnato il Covid? Che la libertà non è fare ciò che si vuole, non è una proprietà individuale, non coincide con il libero arbitrio. Ma è sentirsi parte di un insieme, di una comunità».

Fonte: Vita 

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