"Le comunità più esposte sono proprio quelle più povere, dove gli standard delle infrastrutture e dei sistemi di prevenzione sono più bassi e quindi l'intensità dell'impatto dei cambiamenti del clima è più rilevante - ha spiegato Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente -. I Paesi industrializzati, che sono i principali responsabili delle emissioni climalteranti, non potranno più limitarsi a intervenire con aiuti umanitari a valle dei disastri ambientali, ma dovranno farsi carico molto presto degli interventi di prevenzione e infrastrutturazione delle aree più vulnerabili del mondo. Ed è proprio la creazione di un fondo per l'adattamento, creato con i soldi dei Paesi più ricchi, a essere in discussione ai negoziati sul clima in corso a Bali".

Il IV rapporto dell'Ipcc stima che nella migliore delle ipotesi entro il 2100 la temperatura media mondiale salirà tra 1,1 e 2,9°C, nella peggiore fino a 6,4°C. Nello stesso lasso di tempo il livello dei mari dovrebbe crescere tra i 9 e gli 88 centimetri. Oltre il 75% delle persone a rischio per l'innalzamento del mare vive in Asia, lungo le coste, ma anche in prossimità dei grandi fiumi: i più esposti sono i cinesi, seguiti da indiani e bengalesi. Bangkok, con i sui 9,5 milioni di abitanti, è una delle città a più alto rischio di inondazione perché gran parte del suo territorio è posto tra 1 e 1,5 metri sul livello del mare e l'innalzamento delle acque è di 25 millimetri all'anno, a cui va aggiunto lo sprofondamento dovuto all'uso intensivo delle risorse idriche del sottosuolo.
Lo stesso discorso vale per Mumbai in India, Lagos in Nigeria, Giacarta in Indonesia e Shanghai in Cina che è posta nella pianura alluvionale dello Yangtze e Rio in Brasile. Secondo uno studio USA negli ultimi 35 anni gli uragani più violenti sono quasi raddoppiati, passando da una frequenza media di 10 a una di 18 all'anno. E le conseguenze in perdite umane e devastazioni sono state altissime nei paesi meno attrezzati in prevenzione e contenimento dei danni. Il ciclone Sidr, che il mese scorso si è abbattuto sulle coste del Bangladesh causando la morte di oltre 3mila persone, ha esposto la popolazione di Dacca a malattie quali tifo e dissenteria a causa dell'inquinamento delle acque potabili. L'Africa è il continente più esposto alla desertificazione che minaccia oltre 100 Paesi e 1 miliardo di persone nel mondo. Si ritiene che entro il 2020 circa 60 milioni di persone potrebbero trasformarsi in profughi ambientali costretti a migrare a causa dell'inaridimento dei terreni, in particolare nel Corno d'Africa e in alcune zone dell'Africa australe. Ma anche nell'Asia centrale il 60% delle terre è toccato dal fenomeno: le regioni più degradate sono in Cina, in India, in Mongolia e in Pakistan. La crescente urbanizzazione e le falde inquinate stanno mettendo a dura prova la disponibilità di acqua potabile di una città come Il Cairo: secondo la FAO potrebbe ridursi del 50% entro il 2025, con gravi ripercussioni in termini di diffusione di malattie infettive come la malaria.

Sorte simile per gli oltre 12 milioni di abitanti di Karachi in Pakistan, dove le risorse idriche sono a rischio inquinamento a causa delle inondazioni, e per Città del Messico.

Ma non ci sono solo gli effetti devastanti sulle megalopoli più povere, anche l'Europa sta già verificando il cambiamento climatico. Dal 1960 al 2007 le città del Vecchio Continente hanno visto la temperatura nelle aree urbane aumentare sensibilmente: è il fenomeno dell'isola di calore che concorre a generare nelle città dei micro-climi con differenze rispetto alle aree rurali circostanti anche di diversi gradi. Il dato più eclatante riguarda Londra, Copenaghen, Sofia e Zurigo che hanno fatto registrare uno scarto di oltre 2,5°C (nel confronto tra la media estiva del ventennio 1960-1980 e l'estate di quest'anno).

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