Gli effetti dei mutamenti climatici, sempre più devastanti in alcune aree del pianeta, stanno già costringendo le popolazioni di molte regioni a migrare verso zone più vivibili e secondo l'ultimo rapporto dell'IPCC, entro la metà di questo secolo, 200milioni di persone rischiano di diventare permanentemente sfollati per cause ambientali.

Il problema dei profughi ambientali è già una realtà e alle possibili soluzioni per mitigarlo Legambiente, in occasione del suo VIII Congresso nazionale, dedica oggi l'incontro "Emergenza clima, il dramma dei profughi ambientali". Sulle popolazioni in pericolo per gli effetti dei mutamenti del clima, anche il recente rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, ha lanciato l'allarme: quasi un miliardo di persone rischiano di subire eventi catastrofici. Sarebbero 344 milioni quelle esposte a cicloni tropicali, 521 milioni a inondazioni, 130 milioni a siccità, 2,3 milioni a frane. Ma il dato più preoccupante è che il pericolo maggiore riguarda proprio i Paesi più poveri, dove vivono circa 2,6 miliardi di persone.

Per capire la proporzione basti pensare che se nei Paesi Ocse le catastrofi climatiche colpiscono un abitante su 1.500, in quelli in via di sviluppo il dato è di 1 su 19. A pagare di più le conseguenze dell'effetto serra sono insomma le popolazioni che meno contribuiscono a causarlo.

"Nonostante i dati allarmanti di tutti i rapporti internazionali - sostiene Maurizio Gubbiotti, responsabile del Dipartimento internazionale di Legambiente - la categoria dei rifugiati ambientali non è stata ancora riconosciuta da nessun settore dell'organizzazione delle Nazioni Unite. Invece, è sempre più urgente che lo status giuridico di queste persone sia riconosciuto e vengano destinati fondi alla loro causa con politiche di cooperazione internazionale che favoriscano la costruzione della pace nel mondo e spezzino quel circolo vizioso dove la povertà genera degrado e il degrado produce nuova povertà, costringendo alla migrazione".

In particolare l'Africa è uno dei continenti più vulnerabili alle variazioni e ai cambiamenti climatici a causa di stress multipli e bassa capacità di adattamento. Secondo le proiezioni dell'IPCC al 2020, 75-250 milioni di persone saranno esposte ad un incremento dello stress idrico e anche la produzione agricola, compreso l'accesso al cibo, potrà essere seriamente compromessa. Diminuiranno le aree disponibili per usi agricoli, la lunghezza della stagione di crescita ed il potenziale raccolto, specialmente nelle aree marginali ai territori aridi o semi-aridi. Questo potrebbe influire ancor più negativamente sulla sicurezza alimentare e peggiorare la malnutrizione nel continente africano. In alcuni Paesi, i raccolti agricoli fortemente dipendenti dalle piogge potrebbero ridursi fino al 50% al 2020.

"E' necessario quindi - conclude Gubbiotti - che il problema dei profughi ambientali entri a pieno titolo nell'agenda politica mondiale, che nei Paesi industrializzati si lavori per ridurre l'effetto serra puntando sulle energie rinnovabili, le nuove tecnologie, il risparmio e l'efficienza energetica ma soprattutto che si raggiunga un accordo internazionale per il post Kyoto che comprenda anche i paesi in via di sviluppo".

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Fino al 9 dicembre a Roma ci saranno i "Dieci giorni per l'ambiente", una fitta serie di dibattiti e convegni su clima, economia, sviluppo, scienza e territorio che si concluderanno, dal 7 al 9 dicembre alla ex-fiera di Roma, con l'VIII Congresso Nazionale di Legambiente.

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