Economia solidale e riuso: sono queste le parole cardine che hanno guidato il protocollo d'intesa tra Itea Spa e Consolida per il recupero dei beni comuni abbandonati nella provincia autonoma di Trento. Un concetto ancora molto dibattuto e non perfettamente definito quello dei beni comuni, che, al netto di qualsivoglia paradigma neoliberista, lascia spazio a una riflessione sulla possibilità di ridare un valore a beni che, per chi li ha abbandonati, non lo avevano più.
Il tema dei “beni comuni” non ha ancora una chiara disciplina giuridica, mancando una sua precisa definizione. Sono infatti i concetti di «Stato comunità», di «proprietà pubblica», di «demanio» e della «partecipazione» dei cittadini a definirne il contesto.
Il tentativo di definire il concetto di beni comuni è stato effettuato con il disegno di legge elaborato a suo tempo da una commissione ministeriale di esperti presieduta da Stefano Rodotà . Nel disegno di legge, essendo impossibile definire a priori tutti i «beni comuni», vengono dati all’interprete tutti gli elementi in base al quale un bene deve definirsi «comune». In sostanza si definisce tale un bene che, «per natura e funzione» soddisfa bisogni e diritti fondamentali della presente e delle future generazioni e che pertanto deve ritenersi, assolutamente e definitivamente, «fuori commercio», a meno che non si tratti di mutamento della natura e della funzione della cosa.
Resta quindi un concetto complesso da circoscrivere e – come spiega Paolo Cacciari – “se ogni cosa può diventare bene comune nell’azione concreta delle comunità allora il rischio di una catalogazione giuridica è quello di lasciare fuori qualche cosa”.
Anche all'interno del Codice del Terzo Settore non si parla mai esplicitamente di “beni comuni”, tuttavia, sono presenti alcune disposizioni che pongono attenzione ai cittadini che si prendono cura dei beni comuni. L’art. 5, 1° comma del Codice dispone che sono enti del Terzo Settore quelli che “esercitano in via esclusiva o principale una o più attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”. Subito dopo vi è un elenco delle attività da considerarsi di interesse generale. All’ultima lettera di questo elenco, la lettera z), vi è anche la riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata, cioè due categorie di beni che, in modi diversi, rientrano fra i beni comuni.
Ed è proprio a una riqualificazione dei beni che punta l'iniziativa di Consolida e Itea Spa, che lo scorso 27 aprile, hanno siglato il protocollo di intesa per l’attivazione della collaborazione nell’ambito delle operazioni di sgombero degli alloggi, che rientrano nella disponibilità della Società, occupati da beni mobili. L’operazione risponde agli obiettivi del Distretto Economico Solidale (DES) della rete provinciale del riuso, a cui entrambe le realtà hanno aderito ed è una sperimentazione del DES solidale e sociali in quanto è finalizzato all'inserimento lavorativo di soggetti deboli. C'è una definizione chiara infatti del DES, assunta dalla Provincia Autonoma di Trento e riportata nella sezione dedicata del sito dell'Economia Solidale Trentina.
Si tratta di un progetto che assume non solo un valore dal punto di vista sociale e comunitario, ma anche ambientale. Ridare nuova vita a oggetti e beni che altrimenti andrebbero smaltiti come rifiuti.
Il protocollo promuove l’Economia Verde, come ambito di inserimento lavorativo per persone in difficoltà occupazionale, e, per Consolida e le cooperative sociale aderenti, l’opportunità di recuperare quanto viene rinvenuto in buono stato negli alloggi che rientrano in disponibilità di Itea Spa per rimetterlo in uso.
“Nel corso dell’anno, mediamente, sono circa una quarantina le operazioni di sgombero degli alloggi Itea occupati da beni mobili abbandonati dagli inquilini stessi o dai familiari. Al fine di consentire quanto più celermente di reimmettere l’alloggio liberato nel mercato della locazione, Itea Spa provvede allo smaltimento di quanto rinvenuto presso gli appositi centri di recupero materiali (CRM) – ricorda il presidente della Società, Salvatore Ghirardini, ripercorrendo le considerazioni che hanno portato Itea Spa alla firma del protocollo - Molto spesso si tratta di beni in buono stato di conservazione: arredi, elettrodomestici, abiti, scarpe, biancheria da letto, decorazioni e altri oggetti che, anziché essere qualificati come “rifiuto urbano”, potrebbero ancora essere riutilizzati da chi ne ha bisogno”.
Oltre all’aspetto economico, per il fatto che si riducono i costi legati al trasporto e allo smaltimento dei beni rinvenuti nel corso degli sgomberi, qualificati come “rifiuto urbano”, ciò che spinge la
Società di edilizia residenziale pubblica a sperimentare la strada del “riuso” è la possibilità di dare nuovamente valore a beni che, per chi li ha abbandonati, non lo avevano più. Da qui è nata l’idea di segnalare tale opportunità a Consolida che, insieme ad altri enti territoriali provinciali, aderisce all’accordo volontario per lo sviluppo del Distretto, a cui poi ha aderito anche Itea Spa.
L’opportunità è poi diventata una collaborazione, seppur sperimentale, tra Itea Spa e Consolida che, con impegni reciproci, è finalizzata al recupero e riuso dei beni rinvenuti. “Questo accordo va ad implementare quanto già facciamo e corrisponde alla nostra mission in termini di sostenibilità economica e ambientale” ricorda la presidente Serenella Cipriani alla guida di Consolida, il consorzio delle cooperative sociali.
Il protocollo disciplina le responsabilità, in termini di sicurezza, nonché la procedura da adottare per le operazioni di asporto di quanto destinato al riuso da parte delle cooperative sociali che, di volta in volta, Consolida individua tra le sue consorziate. Dal canto suo, Itea Spa, come proprio apporto al DES, potrà mettere a disposizione di Consolida o delle cooperative socie, in comodato gratuito, uno o più locali da adibire a magazzino/deposito dove conservare alcuni beni che non sono immediatamente inseribili nella rete del riuso.
Il protocollo, avendo ancora carattere sperimentale, avrà una durata di due anni, nel corso dei quali le parti concorderanno dei momenti di confronto per valutare gli effetti dell’accordo.
Fonte: Ufficio Stampa Provincia autonoma di Trento