Le cooperative di comunità sono evocate come uno degli aspetti più dinamici, attuali e fecondi del movimento cooperativo Non Profit e del Terzo Settore.

Le imprese di comunità si collocano al centro di un cluster di temi, tra loro collegati, che raccolgono molto interesse in questi anni:

  • la centralità dei luoghi, che si popolano di senso e relazioni diventando elementi importanti dell’identità collettiva di una comunità;
  • l’emergere della dimensione della prossimità – non necessariamente in forma imprenditoriale – come orientamento dei cittadini ad attivarsi in forma collettiva su problemi comuni;
  • l’innovazione sociale, soprattutto nelle accezioni (più autentiche) che evitano di identificarla come mera collocazione di servizi sul mercato, considerandone invece le peculiarità dal punto di vista del processo sociale sottostante;
  • l’attenzione a specifici settori di attività come l’agricoltura sociale, il turismo sociale, la gestione di beni comuni artistici e naturalistici, il commercio di prossimità, le energie rinnovabili, ecc.: tutti ambiti che catalizzano un particolare interesse per l’intreccio di potenziale sviluppo economico e di benessere sociale che portano con sé; e ancora, la rigenerazione urbana, le politiche di sviluppo locale e altro ancora.

Se nella narrazione prevalente questi fenomeni sono rappresentati come uno sviluppo innovativo relativamente recente, si evidenziano le origini remote, richiamando la storia delle cooperative per la produzione dell’energia elettrica sviluppatesi nel nostro Paese e in altri già da fine Ottocento e più in generale la mission storica della cooperazione nella cura della comunità. A ben vedere le stesse cooperative sociali, nate come noto per perseguire “l’interesse generale della comunità” si collocano in questo movimento. 

Mentre in passato le cooperative si preoccupavano in via prioritaria di soddisfare i bisogni di specifici gruppi all’interno della società, spesso individuati sulla base delle funzioni economiche svolte (lavoratori, consumatori, ecc.), le cooperative di comunità sono al servizio di un’intera comunità.

Un recente rapporto sulle cooperative di comunità elenca tra esse imprese che offrono servizi alla persona e ricreativi destinati ai residenti di una determinata area attraverso la gestione di negozi, bar, ristoranti, centri per la comunità, ecc., ovvero promuovono servizi all’infanzia, attività all’aperto, sport, recupero urbano, ecc. Una diversa categoria di cooperative di comunità è quella delle community finance society, la cui attività consiste nel raccogliere fondi e finanziare progetti/imprese a beneficio della comunità locale. Una terza categoria è quella delle cooperative nel campo dell’energia.

Non ci sono dubbi sul fatto che, indipendentemente dalle caratteristiche particolari che possono assumere, alla base delle cooperative di comunità ci sia il legame con una comunità ben definita. Il problema è cosa si intende per comunità. In realtà dietro ogni cooperativa c’è una comunità di un tipo o di un altro – per esempio i soci lavoratori di una cooperativa di lavoro costituiscono in un certo senso una comunità – ma questo non implica che tutte le cooperative siano di comunità e, infatti, si distingue tra quelle che lo sono e quelle che non lo sono. Di fatto, quando si parla di cooperative di comunità, si ha in mente qualche tipologia specifica di comunità e la comunità è spesso associata al territorio.

Le cooperative di comunità sono quelle che rispondono a tre requisiti: sono controllate dai cittadini (comunità), offrono o gestiscono beni di comunità, garantiscono a tutti i cittadini un accesso non discriminatorio.

Le vecchie cooperative di comunità erano concentrate in un numero ristretto di settori, tra cui i più rilevanti erano l’energia elettricità, il credito, la produzione agro-alimentare, i servizi idrici. Le nuove cooperative di comunità sono invece presenti in un numero molto maggiore di settori, dai servizi alla persona – come i servizi di welfare, assistenziali e di istruzione – fino ai servizi di vicinato (lavanderie e similari) e i servizi classici già offerti dalle vecchie cooperative di comunità (ancora: elettricità, servizi bancari, ecc.). 

L’idea di impresa di comunità rimanda a iniziative dal basso, che vedono la compartecipazione di più soggetti, a volte utenti, in generale finanziatori, che svolgono funzioni di disegno e mantenimento di un’infrastruttura organizzativa in grado di durare nel tempo, la quale mette la comunità al centro della propria mission e del proprio modello di business, secondo però un’accezione costruttivista.

I terreni su cui le cooperative di comunità esercitano l’innovazione sono numerosi. A puro titolo di esempio:

  • co-produzione dei servizi: utenti come erogatori del servizio nei quartieri difficili delle città;
  • riciclo di spazi e immobili in disuso, in via di dismissione, solo parzialmente occupati, attivi solo poche ore al giorno;
  • gestione dell’housing e coesione sociale, con la diffusione di gestori sociali, capaci di associare alle funzioni tradizionali di property e facility management, progetti di coesione e rigenerazione, potendo disporre di spazi per erogare servizi urbani e beni immobili da valorizzare;
  • servizi per la mobilità alternativa nelle aree a domanda debole;
  • servizi ambientali ed energie rinnovabili: filiera bosco-legno-energia, contrasto ai rischi ambientali e cura del paesaggio;
  • sostegno alla nascita e al consolidamento di imprese di comunità in campo culturale, creativo, sociale, educativo;
  • promozione di laboratori urbani come presìdi per avvicinare domanda e offerta locale di servizi alla persona e alla comunità;
  • abitabilità urbana, con interventi per la qualificazione delle attrezzature e per l’intensificazione dell’uso dello spazio collettivo delle città;
  • active living;
  • agricoltura urbana e periurbana-filiera corta.

Il ruolo atipico della comunità mette in luce il tema della co-produzione, infatti i membri delle cooperative di comunità partecipano alla produzione degli stessi servizi o beni che poi acquistano. Il concetto di co-produzione è stato utilizzato inizialmente da studiosi di pubblica amministrazione per definire l’impegno dei cittadini nella produzione.

Le cooperative di comunità in Italia hanno avuto un processo di formazione totalmente volontario e sono nate dai bisogni della comunità. L’evoluzione di questa tipologia di impresa è stata di tipo adattativo, partendo da forme aggregative semplici; al crescere delle attività e della complessità delle situazioni la comunità si è trasformata in un imprenditore cooperativo.

Da un punto di vista teorico, per interrogarsi sulle implicazioni che una nuova regolamentazione o nuove istituzioni possono comportare, è necessario valutarne le implicazioni pratiche e la necessità che nuovi scenari amplino le possibilità di azione, invece che rischiare - al contrario - di generare ostacoli o di turbare equilibri di per sé fragili. Discutere oggi di cooperative di comunità significa interrogarsi anche su cosa la presenza di una nuova forma giuridica (o qualifica) di questo tipo possa avere nel movimento cooperativo e per l’azione pratica delle organizzazioni già esistenti.
Ad oggi, sono ormai numerose le leggi e le proposte di legge regionali e nazionali al riguardo, ma nessuna sembra avere colto in modo convincente tutti gli elementi indispensabili per contraddistinguere queste imprese e garantire che operino realmente nell’interesse e a favore delle rispettive comunità locali.

Fonte: Impresa Sociale

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