Ufficio stampa e fundraising? Gemelli diversi, ma poi non così tanto diversi… a cominciare dalla call to action.
L’ufficio stampa è uno dei cardini della visibilità di un’organizzazione non profit è parte del piano di comunicazione e pubbliche relazioni: forse però non tutti sanno che oltre ad essere al servizio della raccolta fondi esso ha davvero moltissimi punti in comune con il fundraising.
Eh si proprio così, ci sono elementi dell’attività di media relations che somigliano molto alla raccolta fondi e che non si possono ignorare per far giungere a destinazione un messaggio così importante come un progetto di un’organizzazione non profit.
Cosa? - Vi starete chiedendo - ebbene sì, una buona attività di ufficio stampa porta con sé elementi indispensabili alla visibilità di un ente del terzo settore, elementi peraltro che si ritrovano anche nel fundraising, come ad esempio: il rispetto per l’altro, la cura delle relazioni, la call to action, una visione strategica e pianificata che sia olistica e coordinata, un messaggio condiviso che sia onesto, chiaro, rispondente alla missione del progetto o dell’organizzazione e infine quella parolina così tanto importante per la raccolta fondi che è il grazie.
Affronteremo ognuno di questi elementi nel corso dei prossimi articoli, ma oggi mi preme partire dalla call to action per comprendere come essa sia una caratteristica che accompagna sempre la raccolta fondi e le attività di ufficio stampa ad esso legate. Per fare ciò partiamo da alcune riflessioni preliminari che ci consentiranno di comprendere meglio perché la call to action è un elemento in comune a fundraising e media relations.
E’ un dato di fatto che sempre più le organizzazioni non profit hanno un ruolo importante nella società contemporanea: esistono per portare un beneficio alle persone, alle comunità, ai territori. Con i loro beneficiari e i loro donatori coltivano un interesse, dialogano con essi per il bene comune, ed è per questo che spesso si parla di fundraising di comunità. La loro attività infatti deve essere generativa, leale, trasparente e deve puntare al ben-essere delle intere comunità. Esattamente come il redattore che, come viene definito nell’articolo 2 del Testo Unico dei doveri del giornalista, “Difende il diritto all’informazione e la libertà di opinione di ogni persona; per questo ricerca, raccoglie, elabora e diffonde con la maggiore accuratezza possibile ogni dato o notizia di pubblico interesse secondo la verità sostanziale dei fatti…” , ma anche come “L’ufficio stampa che ha il compito di costruire o rafforzare il sistema di relazioni tra un’organizzazione e i suoi principali stakeholder, creando e gestendo la veicolazione di flussi di informazioni finalizzati a obiettivi specifici e pubblici mirati” (come ci raccontano Emanuele Invernizzi, Stefania Romenti, nei loro volumi intitolati “Relazioni pubbliche e corporate communication”). Ognuno di essi dunque esiste per portare valore alle comunità, ciascuno per il ruolo che ricopre nella società in cui opera e tutti insieme dovrebbero lavorare per il cosiddetto bene comune.
Se dunque i benefici del lavoro di un’organizzazione non profit sono a favore della crescita di tutta la comunità, e tutti devono poterne usufruire, allora all’ufficio stampa è demandato il grande compito di rendere accessibili questi risultati, interagendo in modo proattivo e sinergico appunto con i giornalisti e le redazioni, i veri megafoni della notizia. Nell’articolazione dei ruoli dunque l’addetto stampa è come il fundraiser: crea spazi di sviluppo relazionale e di visibilità, per il successo dell’organizzazione non profit, dei suoi progetti e per incrementare quella sostenibilità che permette di aumentare sempre di più i servizi erogati. Ma attenzione è importante caricare di senso la parola successo, ossia attribuirle il vero significato che essa possiede, o dovrebbe avere, per le organizzazioni non profit. Il successo per un ente del terzo settore significa raggiungere quanti più beneficiari possibili e per fare questo sono necessari una comunicazione pianificata e coordinata, e con essa anche le attività di ufficio stampa, e i donatori.
E nelle media relations per un’organizzazione non profit, se l‘addetto stampa è come il fundraiser, il giornalista è come il donatore. Esso è un donatore di relazioni, competenze, visibilità poiché ha tutti i mezzi e le possibilità per rendere accessibile l’esito di un progetto e avvicinare la missione di un’organizzazione non profit a quante più persone possibili, affinché il lavoro dell’ente non profit sia non soltanto conosciuto, ma anche e soprattutto sostenuto da sempre più sostenitori che si identificano nella buona causa e decidono di contribuire a farla crescere. Dunque la visibilità in questo caso non deve essere finalizzata a gratificare il board o la dirigenza, ma è funzionale a raggiungere quanti più interlocutori possibili, ad accrescere la sostenibilità, a confermare il ruolo generativo e comunitario dell’organizzazione non profit e dei suoi donatori ed è imprescindibile non soltanto dal lavoro dell’ente, ma anche da quello dell’ufficio stampa e del giornalista. E’ proprio sulla volontà di dar voce a progetti e iniziative per la comunità, che si sostanzia uno dei punti di contatto fra ufficio stampa, giornalisti e organizzazioni non profit. L’importante è che tutti e tre ne siano consapevoli. Visti in questa dimensione questi tre interlocutori sono parte di uno stesso grande processo: lo sviluppo delle comunità. Tutti sappiamo che il fundraiser non ragiona mai per se stesso, ma a favore dei beneficiari della propria organizzazione, esattamente come l’ufficio stampa, che esiste per dar visibilità ai progetti della propria organizzazione, così come il giornalista la cui missione in primis è raccontare i fatti affinché un numero sempre maggiore di cittadini e lettori possa conoscerli nella loro veridicità.
E dunque come nel fundraising, anche nelle attività di media relations esiste una call to action: in un comunicato, nell’invito a una conferenza stampa, in una cartella stampa, così come in una campagna di fundraising, c’è sempre la chiamata all’azione. Il giornalista, la testata, la redazione diventano i megafoni dell’organizzazione non profit verso stakeholder e donatori ed è importante che chi si occupa di relazione con i media ne sia consapevole e costruisca con i propri interlocutori una relazione duratura, rispettosa dei ruoli, leale e trasparente. Tutti e tre hanno un compito importante, ossia raccontare alla collettività i benefici di un dato progetto: l’organizzazione quale protagonista dell’impatto, i giornalisti come cronisti e narratori di questa crescita, e l’ufficio stampa come tramite di questo processo comunicativo. Proprio per questo se si lavora bene, il giornalista si sentirà un vero e proprio “amplificatore” della notizia, un moltiplicatore della visibilità, un aiuto fondamentale per l’attività di comunicazione e seguirà l’organizzazione con maggiore interesse e partecipazione, sentendosi parte attiva di questo processo di crescita collettiva.
Per il fundraising l’ufficio stampa e i giornalisti il senso di appartenenza fa sentire bene, come racconta Mariagrazia Villa nel suo ultimo libro intitolato “Il giornalista digitale è uno stinco di santo. 27 virtù da conoscere per sviluppare un comportamento etico”. In molte sue considerazioni mi ci ritrovo, ma quella che qui calza più a pennello è il concetto che il vero senso di appartenenza sia biunivoco, “ossia il sentirsi appartenente al gruppo corrisponde al sentire che il gruppo ti appartiene….” E a mio avviso è proprio vero: è questo il principio di reciprocità che troviamo anche nel fundraising e senza il quale non può esistere il dono, ma come lo intese Marcel Mauss che nel suo “Saggio sul dono” già 1923 sottolineava come “Nel dono ciò che occupa l’importanza fondamentale non sono tanto le cose scambiate, bensì il legame che grazie alle pratiche del donatore come tale, si va a generare, a coltivare a rafforzare.” Ecco allora che alla base del dono c’è una relazione di fiducia e uno scopo condiviso, il bene comune, e che la call to action è la miccia che accende le azioni delle persone. Si proprio così, un atto di lealtà, lo stesso che si sigla fra un’organizzazione non profit e il suo ufficio stampa, e fra questo e il giornalista.
Fundraiser, addetto stampa, giornalista, oggi hanno tutti bisogno di sentirsi parte di un insieme relazionale più ampio, di un progetto di senso con cui dare valore alla propria vita, al proprio ruolo e al proprio lavoro e ciò è possibile anche grazie alla call to action, a quella vocazione che viene loro attribuita o che si riconoscono in virtù della posizione e delle aspettative che ciascuno di essi nutre nei confronti della comunità alla quale si sente di appartenere.
Perché di fatto la comunicazione deriva dalla parola latina Cum-munire ossia costruire valore insieme all’altro, per questo fundraiser, addetto stampa e giornalista sono tutti parte di uno stesso processo di crescita che non può iniziare che dal riconoscimento reciproco dei ruoli e proseguire con il coinvolgimento, sentito e sereno, di ciascuno di essi. La richiesta di pubblicazione di un comunicato stampa non è per l’organizzazione non profit un mero atto di visibilità fine a se stessa, ma ha una funzione ben precisa, quella di avvicinarsi alle comunità per trovare sempre più donatori ed essere sempre più a servizio della società.
L’organizzazione però da sola non sempre è in grado di aprirsi spazi di visibilità, ma ha bisogno dell’addetto stampa e del giornalista e viceversa anche giornalista e ufficio stampa nel non profit non possono lavorare senza gli enti del terzo settore che offrono i loro progetti alla narrazione di senso pubblicata a favore del coinvolgimento delle comunità.
E’ proprio ai donatori e ai partner che un’organizzazione non profit parla, lo fa attraverso il piano di comunicazione, l’attività di ufficio stampa e i giornalisti che donano le proprie competenze in favore di un progetto per la collettività. Quindi quando un addetto stampa inizia a scrivere un comunicato, si siede al tavolo con i partner della propria organizzazione per scegliere la data di una conferenza stampa, pensa di coinvolgere giornalisti in un press preview o in qualsivoglia evento o iniziativa a loro dedicato, è fondamentale che si ricordi del fatto che l’attività di media relations può e deve diventare uno strumento potentissimo che però non può prescindere, esattamente come succede nel fundraising dagli altri, dagli stakeholder, dai giornalisti, dai partner, dai donatori.
Non è mai un agire da soli, ma una condivisione di senso e di valore. Una buona attività di ufficio stampa per il successo di un’organizzazione non profit non può dunque essere slegata dalla costruzione di una sana relazione con il giornalista, perché è anche grazie a ciò che al progetto viene riconosciuta quella funzione sociale che per sua stessa natura esso ha, e in virtù della quale è possibile gratificare, fidelizzare donatori e trovare nuovi sostenitori.
articolo scritto da Elisa Bonini
Emiliana d’origine, fiorentina d’adozione, una laurea in conservazione dei beni culturali un master in marketing e comunicazione per il turismo, si è specializzata alla Fundraising School di Bologna. Libera professionista, è fundraiser e consulente di fundraising e comunicazione, con una naturale predilezione per l’arte e la cultura e un mantra in testa “Se cresci tu, cresco anche io”. Socia Assif di cui è ufficio stampa, fra le sue esperienze collabora con ConfiniOnline, con il team di Fundraiser per Passione, con la Fondazione Orchestra Regionale Toscana, ed è l’ufficio pubbliche relazioni e media in Italia per la Fondazione americana Friends of Florence.