Una recente elaborazione di Assocamerestero su dati della Commissione Europea, ha sottolineato il buon posizionamento dell’Italia nell’utilizzo dei fondi europei a gestione diretta: i risultati mostrano come siano le imprese ad aver sfruttato al meglio le opportunità ma anche l’ampio margine di miglioramento per il Terzo Settore. Più che i dati e la teoria, è l’esperienza diretta di un’organizzazione, che ha fatto dei fondi europei un caposaldo della propria attività, a mettere in evidenza le reali opportunità che i fondi europei rappresentano in termini economici e di sviluppo a lungo termine. Marzia Stenti e Lara Mastrogiovanni, project manager, raccontano l’esperienza di Work in Progress (WIP4EU), organizzazione pugliese con sede a Galatone (Lecce) che dal 2008 promuove progetti per la partecipazione giovanile e la cittadinanza attiva, la mobilità internazionale, l’alternanza Scuola Lavoro in Europa, America Latina, Asia e Africa. Il cuore delle attività si svolge però nell’Hub di progettazione di Galatone (#EuProjectHub), connettore territoriale di enti locali, imprese, associazioni non profit e che permette l’incontro tra domanda e offerta di progettazione orientata al Social Business.   Siete attivi da 9 anni, ma com’è nata l’idea di Work in Progress? L’idea di creare l’associazione è nata in Africa, a Capo Verde, quando una studentessa 23enne si trovava lì per la tesi sulla cooperazione internazionale tra l’università capoverdiana, appena nata, e l’Unisalento. Dalla necessità di creare un ponte tra culture e la bellezza della diversità, Lara e Giuseppe Invidia fondano Work in Progress, iniziando ad avviare piccole iniziative sul territorio leccese. C’era un’idea ben chiara alla base: quella di considerare la progettazione europea come strategia dal basso per trasformare un’idea in un progetto concreto per il territorio. Quel 23 Maggio 2008 non è nata solo un’associazione, ma un nuovo mondo per tante persone che ci seguono e hanno riconosciuto che le competenze e la partecipazione sono la base di qualsiasi processo di cambiamento.   Qual è stato il primo approccio con i finanziamenti europei e in quali ambiti avete sviluppato progetti grazie ai finanziamenti europei diretti e indiretti? Inizialmente abbiamo spaziato un po’ ovunque: inclusione dei ROM, dialogo tra i giovani dell’euromediterraneo, partecipazione attiva, servizio volontario europeo. Con il passare del tempo, a seguito del nostro posizionamento sul territorio e la sua osservazione da una parte, e l’evolvere delle politiche e strategie europee dall’altra, è venuto naturale rivolgere le nostre attività come associazione, e di conseguenza il contenuto dei progetti, a esigenze e settori specifici. In questo passaggio abbiamo cercato di mantenere chiara la nostra vision associativa, e, senza buttarci su progetti o iniziative spot, ci siamo concentrate su quello che più rappresentava per noi un’opportunità di crescita:
  • la mobilità internazionale finalizzata all’apprendimento, l’educazione all’imprenditoria per gli studenti di scuola superiore (WIP4SCHOOL);
  • la mobilità e partenariati internazionali per lo sviluppo di pratiche d’innovazione e sperimentazione sociale (WIP4EUROPE);
  • la formazione imprenditoriale per giovani e opportunità europee per le imprese;
  • di recente, il modello per favorire l’incontro tra domanda ed offerta di progettazione (EuProjectHub).
I fondi europei pongono di fronte a sfide e opportunità. Se dovessi tradurre queste due parole nella vostra realtà, quali aneddoti condividereste? Scrivere un progetto è relativamente semplice. La sfida è implementarlo, tradurre in azioni quello che si è pensato. Se il progetto risponde a una specifica esigenza, ed è gestito in maniera corretta, permette di raggiungere risultati eccezionali. Una grande soddisfazione sono stati i 35 tirocini internazionali nel settore dell’Europrogettazione attivati con il programma Leonardo Da Vinci nel 2012, per promuovere il nuovo modello di mobilità circolare: andare all’estero, formarsi e ritornare per applicare sul territorio le competenze acquisite. Per noi un progetto deve creare del valore aggiunto, diversamente, non c’è nessun interesse a farlo! L’opportunità più grande invece ci è capitata nel 2015, quando abbiamo vinto il bando “Mettici le Mani”, che ci affidava in gestione per un anno uno spazio all’interno di un Laboratorio Urbano. Avevamo la possibilità di creare qualcosa in uno spazio tutto nostro. Una grande sfida, ma anche una grande responsabilità nei confronti della comunità. Oggi, dopo quasi un anno dalla fine del progetto, abbiamo fatto evolvere l’idea iniziale per rispondere alle reali esigenze del territorio, affermandoci giorno per giorno come un punto di riferimento per giovani, imprese ed associazioni interessate ad affacciarsi al mondo della progettazione Europea. Imparando tantissimo anche dai nostri errori!   Uno degli ostacoli più grandi che le organizzazioni vedono nell’accedere ai fondi europei, è la costruzione di partenariati internazionali. Voi lo segnalate, invece, come uno dei vostri punti di forza attuali. Come vi siete mossi inizialmente per prendere contatto/interagire con organizzazioni disposte a collaborare con voi nella realizzazione dei progetti? La costruzione del partenariato è un’attività che richiede tempo. Agli inizi è normale che si vada un po’ a caso, cosa che abbiamo fatto anche noi, attingendo a database o contatti di seconda mano. Questo da una parte può facilitare le cose in fase di stesura del progetto, ma dall’altra spesso le può complicare in fase di implementazione: latitanze o sabotaggi involontari sono sempre dietro l’angolo! Abbiamo quindi utilizzato le opportunità di mobilità per creare una rete di contatti basati sulle conoscenze personali dei rappresentanti delle organizzazioni: corsi di formazione organizzati dalle Agenzie Esecutive, partecipazione a seminari ed eventi internazionali nei settori d’azione dell’associazione, inviti ai rappresentanti per partecipare ad attività promosse a livello locale. Le opportunità SALTO in questo senso sono importantissime. L’esperienza ci ha anche insegnato che per un partenariato internazionale (ma anche locale) di successo, è necessaria la condivisione delle metodologie d’azione.   Basandovi sulla vostra esperienza, quali sono, secondo voi, gli elementi che rendono vincente un progetto europeo? Come detto prima, la qualità del partenariato, internazionale e locale: enti con i quali si condividono obiettivi dell’azione e metodologie per portarla avanti. Poi, l’identificazione del problema: il progetto deve rispondere a un’esigenza specifica. Dire cosa si vuole fare non è sufficiente per chi valuta, bisogna spiegare il perché lo si vuole fare. Infine, dev’essere in linea con le strategie europee nei settori in cui si deve intervenire: l’aggiornamento e lo studio della strategia Europe2020 e altre iniziative è fondamentale!   Un’ultima domanda. Ad oggi, siete diventati punti di riferimento sul territorio per la progettazione e i finanziamenti europei, quale suggerimento vi sentireste di dare alle organizzazioni che si avvicinano per la prima volta ai fondi europei? Fate rete. Contaminatevi. Apritevi al territorio. Chiudersi dietro una porta o pensare al proprio orticello, non solo porta a situazioni paradossali e difficili, dove persone che si occupano delle stesse cose non sanno dell’esistenza reciproca, ma è impensabile per chi voglia iniziare a fare progettazione sul serio. Poi osservate. Ascoltate. Identificate i problemi e sforzatevi di trovare delle soluzioni insieme agli altri. In questo passaggio è importante creare una vision condivisa, evitando di calarla dall’alto o aspettare che gli altri si aggreghino una volta iniziate le cose. Infine, non aspettate che ci sia un bando di finanziamento o che vi approvino un progetto per iniziare a testare un’idea, un servizio, un progetto sul territorio: questo vi permetterà di costruire relazioni e acquisire know how. In bocca al lupo!

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