Foto tratta dalla rete e tradotta in italiano
Non riesco a capire se sono sulla strada giusta:
sono io a condurre la mia organizzazione o è l’organizzazione a condurre me? Devo cambiare modello organizzativo?
Queste sono le domande che ricevo frequentemente dai partecipanti dei corsi di formazione o da chi mi chiede un servizio di consulenza organizzativa. Si tratta spesso di persone che occupano ruoli direzionali o di coordinamento. Proviamo a trovare una risposata assieme!
Non siamo tutti uguali
Devo confessare che, in questi casi, invidio tanti altri professionisti quando vedo che nel loro lavoro sono sempre di più aiutati dalla tecnologia. Un geometra, grazie ai rilevatori laser, calcola le dimensioni di un appartamento con la massima precisione in pochi minuti. In ancor meno tempo, un medico è in grado di misurare il livello di glicemia nel sangue. Esempi semplicissimi di quanto apparecchi, spesso acquistabili facilmente sul mercato, rendono il lavoro del professionista più veloce e più preciso (e quindi più efficiente e più efficace).
Purtroppo
non è stata ancora scoperta nessuna strumentazione elettronica in grado di rilevare la “qualità” di una organizzazione e non penso che lo sarà mai. La ragione risiede nel fatto che
le organizzazioni sono fatte di persone, la cui caratteristica principale è quella di
creare un senso sul proprio operato. Tale senso, individuale o collettivo, è allo stesso tempo
prodotto e produttore delle azioni strategiche che persone singole o gruppi mettono in atto all’interno delle organizzazioni. E
ciò le rende uniche. Sono oramai diversi anni che gli studiosi ci dicono che l’
one best way è morto e che
ogni impresa deve elaborare il proprio modello di governance.
Per dare risposte alle domande iniziali, prima di ricorrere a check list e strumenti diagnostici sofisticati (che magari approfondiremo in qualche articolo futuro), è forse meglio partire da una domanda semplice:
come distribuiamo il nostro tempo lavorativo tra le varie attività? In altri termini
quali tipi di attività ci richiedono maggiore attenzione e tempo?
Cosa intendiamo per processi organizzativi?
Per poter comprendere meglio il significato delle domande, proviamo a distinguere diverse categorie di attività lavorative e di processi aziendali.
Senza perdersi in dibattiti teorici utilizziamo la classica distinzione tra “line” e “staff”. A livello generale possiamo dire che i primi sono processi dedicati alla produzione/erogazione, mentre i secondi sono di supporto e creano le condizioni affinché i primi possano essere svolti in modo efficace ed efficiente.
Tra le attività di “staff” possiamo distinguere quelle specifiche che riguardano
i processi organizzativi in quanto tali. Mintzberg ha dato il nome di
tecnostruttura a quella
funzione aziendale che studia come si deve lavorare (procedure, istruzioni tecniche, regole, specifiche tecniche, ecc). Attenzione, non è detto però che debba esserci per forza un’apposita unità organizzativa: nelle piccole imprese e nelle organizzazioni è una funzione trasversale che viene svolta da più persone e/o gruppi di lavoro (ad esempio, una riunione di équipe in cui gli educatori stiano definendo come gestire le attività per i singoli soggetti, agisce di fatto sui processi organizzativi).
L’aggettivo “organizzativo” può indicare che i processi:
- sono "dell’organizzazione": e allora quali non lo sarebbero?
- sono “rivolti all’organizzazione”: in altri termini che i loro output risultano utili all’organizzazione stessa.
Ed è proprio per questa sua seconda dimensione che essi si differenziano dai processi "operativi”, che invece possono invece essere di “line” o di “staff”.
Un processo organizzativo può e deve essere implementato in modo che le attività di "staff" e di "line" siano efficacemente coordinate e pianificate.
Non deve sfuggire il fatto che spesso queste funzioni (come l’esempio della riunione appena citato) possono essere espletate in maniera inconsapevole.
Nelle piccole realtà i processi organizzativi spesso non sono consapevoli e, per questo, sono più difficili da individuare essendo pervasivi e potendo avvenire in qualsiasi momento. Ad esempio due colleghi che, mentre bevono il caffè durante una pausa, prendono delle micro-decisioni su aspetti lavorativi quotidiani agiscono sull’organizzazione in modo inconsapevole. Stessa cosa vale per il caso di un dirigente che, per tamponare una situazione di urgenza e/o di emergenza, trova una soluzione, nelle intenzioni temporanea che però poi di fatto diventa permanente.
Bisogna imparare ad agire sui processi organizzativi
Per capire meglio su cosa si intende per "agire sui processi organizzativi2, diciamo che l’organizzazione va intesa come il sistema di relazioni che si sviluppano, all’interno di un'ente, tra i diversi elementi che la compongono (risorse umane, tecnologiche, fisiche, finanziarie, conoscitive, simboliche ecc.).
Il suo fluido funzionamento sta alla base del buon operato di tutte le singole componenti dell'organizzazione. In termini più pratici vuol dire, a titolo di esempio:
- attivare azioni rivolte al miglioramento continuo senza necessariamente pensare a tecniche codificate e strutturate, proposte di volta in volta dalle scuole di management.
- "istruire" e allo stesso tempo "ascoltare", le persone che ogni giorno lavorano nei processi "line" e dello "staff" (quante volte si sente la frase "qui ognuno fa a modo suo...")
Certo, questi processi richiedono tempo! Ma attenzione,
non vuol dire che il direttore/coordinatore deve fare tutto da solo. È proprio su questo che il concetto dell’organizzazione ci viene di aiuto: ridistribuzione dei compiti, deleghe, lavoro di gruppo, sono ad esempio degli strumenti per ripensare il sistema organizzativo.
Il buon funzionamento organizzativo non è un fatto naturale, quanto piuttosto un artefatto sociale di cui chi svolge compiti direzionali si deve occupare con ruolo da protagonista.
A questo punto ritorniamo alla nostra domanda leggermente riformulata. Quanto tempo dedichiamo a pensare tale sistema di relazioni, in altri termini, a curare i processi organizzativi? E quanto di questo tempo lo passiamo invece a riparare i danni piuttosto che a prevenirli?
Spesso il problema è proprio questo: la quota di tempo utilizzata per curare eccede quella che dovrebbe essere invece impegnata a prevenire!
Personalmente ho partecipato a diverse ricerche di rilevazione del tempo dei manager in diversi contesti organizzativi. In moltissimi casi i risultati hanno evidenziato che
il tempo lavorativo dei manager è prevalentemente dedicato a risolvere problemi e ad affrontare tematiche definite come urgenti, ma non necessariamente strategiche. Allo stesso modo anche il tempo dedicato a trovare soluzioni per far funzionare meglio il sistema di relazioni risulta per lo più non sufficiente, pur se ritenuto rilevante dal punto di vista strategico.
Insomma immaginiamo l’organizzazione come se fosse il globo, quanto tempo passate cosi...
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... e quanto così?
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Se non abbiamo mai il tempo di guardare dall’alto la nostra organizzazione,
le soluzioni sono due soltanto:
- dobbiamo trovarlo
- dobbiamo smettere di interrogarci se siamo organizzati bene
Allo stesso tempo, come ci insegna il grafico seguente, può essere opportuno non esagerare troppo con la riflessione.
D'altronde dirigere è l’arte di costruire equilibri!
Ps: da questo articolo prenderanno vita una serie di ulteriori mie pubblicazioni-riflessioni, ognuna delle quali sarà dedicata a specifici aspetti della vita organizzativa, fornendo di volta in volta consigli pratici per una autodiagnosi delle competenze organizzative.