L'organizzazione ritiene che le numerose denunce sul coinvolgimento delle aziende nella soppressione dei diritti umani richieda un'assunzione di responsabilità più seria da parte delle stesse aziende e dei governi. Amnesty International chiede a questi ultimi di porre fine alla repressione on line, abrogare le legislazioni restrittive e rilasciare tutti i prigionieri condannati per l'espressione delle proprie opinioni tramite Internet. I governi dovranno anche impegnarsi a varare una serie di standard comuni per prevenire le violazioni dei diritti umani on line.

Amnesty International chiede alle aziende di usare tutti i mezzi tecnici, politici e legali, a livello locale e internazionale, per evitare che diventino complici dei governi nelle violazioni dei diritti umani.
"Nei 12 mesi trascorsi dall'ultimo Igf di Atene, c'è stata la crisi di Myanmar, che ha dimostrato la potenza di Internet per inviare immagini e informazioni all'estero e mobilitare la gente in ogni parte del mondo" - ha dichiarato Nick Dearden, delegato di Amnesty International all'Igf di Rio de Janeiro. "D'altro canto, però, abbiamo anche riscontrato un aumento della censura e del ricorso al filtro e al blocco dei siti".

"Questo Forum si svolge in un momento cruciale nella storia di Internet" - ha aggiunto Dearden. "Il suo potenziale è enorme ma può essere facilmente demolito. È fondamentale che i diritti umani siano al centro di ogni accordo sulla governance di Internet e che sia le aziende che i governi rispettino gli impegni in materia di diritti umani".

Due anni dopo l'accordo raggiunto a Tunisi sui principi che dovrebbero governare Internet, sempre più paesi filtrano i contenuti delle pagine web, intimidiscono e arrestano i "cyberdissidenti". In Cina sono in prigione almeno 60 "cyberdissidenti", tra cui Shi Tao, Wang Xiaoning, Li Zhi e Jiang Lijun, condannati per aver pubblicato on line denunce e commenti politici.
In Siria, sette studenti e un dipendente di un salone di bellezza sono stati condannati, al termine di un processo iniquo, per aver invocato on line pacifiche riforme politiche. In Viet Nam, Truong Quoc Huy, arrestato nell'agosto 2006 e da allora detenuto in una località sconosciuta, rischia di finire sotto processo per "abuso delle libertà democratiche", solo per aver preso parte a una chat-room.

Amnesty International ha ricevuto notizie di recenti arresti di "cyberdissidenti" in diversi paesi, tra cui la Thailandia, dove nell'ultimo anno sono entrate in vigore due nuove leggi per limitare la libertà d'espressione on line.

Secondo una ricerca condotta da Open Net iniziative, mentre cinque anni fa il filtro dei contenuti di Internet era applicato in soli tre paesi (Arabia Saudita, Cina e Iran), oggi vi ricorrono ben oltre 20 paesi, tra cui Marocco, Myanmar e Thailandia.

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