Questa riflessione prende le mosse dalla risposta di Aldo Cazzullo alla mia letterina del 3 febbraio 2018 su Putin uscita sul "Corriere della sera". Entrambe le lettere si possono trovare in rete. Prego il lettore di andare a guardare perlomeno la risposta del noto giornalista per seguire la mia attuale riflessione. Non commenterò la risposta del buon Cazzullo nel suo insieme. Mi limiterò alle parti più significative. E lo farò ispirato - e spesso guidato - soprattutto dall'ottimo libro del celebre scacchista Garry Kasparov (nonché oppositore dell'attuale presidente russo) intitolato "L'inverno sta arrivando" (Fandango, 2015), un libro che mi ha convinto per diverse ragioni.
So perfettamente che quello di Kasparov è un punto di vista di parte, e con un interesse preciso: ma è una parte, ed un interesse, da dissidente serio, coraggioso e brillante che mi piace condividere. Anzi, ne vorrei trovare di libri come il suo, scritti contro i dittatori dai loro stessi connazionali, a partire da testi composti contro il secondo Grande Politico Internazionale del momento, ovviamente antidemocratico, ossia il turco Tayyp Erdogan. Presto mi metterò alla loro ricerca, sebbene il saggio di Kasparov sia caratterizzato dalla chiara presenza di una mente lucida e penetrante, da stratega del pensiero, oltre che da una voce viva, credibile e appassionata.
Cazzullo, posto di fronte alla mia diffidenza nei confronti della Russia, mi esorta a mettermi nei panni di un suo cittadino, che non ha mai visto la democrazia, quella vera: il punto, però, è che un tentativo di democratizzazione era stato fatto con Eltsin, e Putin non solo non ha provato a irrobustirlo, ma l'ha subito attaccato in vari modi per escludere, di fronte al suo popolo, che fosse, quello democratico, un sistema di governo adatto al paese.Cazzullo scrive che Eltsin non si decideva a trovare il premier giusto, per cui ci fu un forte turn over in tale posizione, sino alla scelta - vincente secondo il giornalista? - di Putin. Dopodiché Cazzullo parla dei successi del Vladimir planetario, e mette in cima alla lista la guerra di Cecenia: più precisamente, la guerra cecena fu il primo, vero motivo per cui Eltsin scelse l'attuale presidente, il quale dimostrò di possedere la ferocia necessaria per far diventare la piccola repubblica la regione più disastrata del mondo in quel periodo, e questa è una definizione non mia, bensì di un'agenzia internazionale.
Tra gli altri successi di Putin - "successi" dal punto di vista del governo russo immagino - Cazzullo segnala tutta una serie di eventi che però avrebbe senso citare nel contesto di uno scontro tra democrazie e rispettive sfere di influenza: qui, invece, stiamo parlando di tutt'altra cosa, e ogni "successo" russo va interpretato in funzione del successo che Putin voleva e vuole ottenere a vantaggio personale, non del suo popolo. E' questo, insomma, il punto fondamentale: non capire che i cosiddetti "successi" di Putin non sono gli stessi della Russia. Purtroppo il principale soggetto che non comprende, o sembra non comprendere, questo è innanzitutto il popolo russo agli occhi di molti osservatori: i quali, per tale motivo, sembrano confusi quando si tratta di giudicare lo "zar" e la sua politica.
La mia attuale posizione è che in realtà i russi non siano stati, e non siano messi nelle condizioni di poter scegliere a ragion veduta il meglio per se stessi - preferendo diffidare della liberaldemocrazia, tanto per incominciare -, la qual cosa è ancora più cinica di qualsiasi altra operazione volta a conquistare il potere da parte di un dittatore: e il fatto che Putin abbia provato in tutti i modi a delegittimare una neonata democrazia che non si poteva ancora difendere, essendo nata fragile e incerta ai tempi di Eltsin, è solo un aspetto del problema. Detto ciò, nessuno è nelle condizioni di poter valutare il pensiero attuale del popolo russo a proposito del presidente, come vedremo.
Secondo Kasparov, Putin all'inizio non mirava a diventare dittatore, non avendo ancora chiaro dove volesse o potesse arrivare: poi, nel corso del tempo, ha fatto in modo di sistemare le cose affinché accadesse l'impensabile. Per cui, ripeto, anche gli altri "successi" di Putin nella lista stesa da Cazzullo vanno interpretati sotto una luce simile. Il giornalista parla del blocco dell'avanzata della Nato nell'Est da parte di Putin, blocco che è gli è servito per gestire al meglio il suo spazio di infuenza, ossia quello delle ex repubbliche sovietiche. Peccato che tra queste repubbliche ci fosse l'Ucraina, la quale non ha mai potuto davvero decidere da che parte andare (tutta intera), se verso l'Occidente o verso la Russia, perché solo l'idea di una svolta sgradita ha spinto Putin ad agire militarmente, esattamente come in Crimea. La quale - pare - si era già pronunciata, ed in senso negativo, a proposito della sua autonomia dall'Ucraina: cosa, questa, peraltro ben diversa dall'adesione ad uno stato straniero, fatto ritenuto illegale da molti osservatori dal punto di vista del diritto internazionale, quale che siano il risultato e, soprattutto, le promesse ottenute per raggiungerlo.
Detto ciò, con la Crimea Putin ha voluto da un lato misurare la reazione occidentale alla sua politica aggressiva, operazione che lo ha convinto ad attaccare pure Kiev di lì a poco: dall'altro ottenere sostegno da parte della popolazione russa. Cazzullo fa poi riferimento agli altri successi putiniani: al rinnovato uso delle base aeree in Egitto, alla ricucitura con la Turchia ma, soprattutto, al ritorno dell'esercito russo in Medio Oriente; e chiude dicendo che una simile iperattività ha però bloccato la crescita economica del Paese, la cui forza imprenditoriale, scarsamente diversificata e in mano ad un pugno di oligarchi, rimane poco più grande di quella spagnola. In realtà l'economia russa è in mano a Putin, il quale, con vari sotterfugi, è diventato forse l'uomo più ricco del mondo (del resto, già Eltsin sotto tale aspetto non era sembrato uno stinco di santo).
Egli non ama un'economia diversificata perché non potrebbe controllarla come riesce a fare adesso: lui è il signore degli oligopoli e del petrolio di cui la Russia è grande paese esportatore, nonché il boss degli "uomini di fiducia", anche quando sulla carta essi siano i proprietari delle poche, enormi aziende russe. Gli oligarchi, che prima erano stati la rappresentazione massima della mediocrità e disonestà del sistema capitalista agli occhi dei russi durante la breve fase di giovane e fragile democrazia, ora svolgono un ruolo altrettanto utile al processo di "sdemocratizzazione" del paese, questa volta a vantaggio personale di Putin.
E' Putin che in qualche modo si fa garante per gli oligarchi agli occhi del popolo, perché righino dritto, quando invece sono uno strumento nelle sue mani perché a rigare dritto sia il popolo stesso. Ovviamente la scelta del Presidente di essere presente in Medio Oriente con l'esercito è inseribile in un quadro coerente, associato come è al suo bisogno di controllare un territorio che non vuole affatto pacificato. Infatti, è proprio quando il Medio Oriente si trova in tensione, quando c'è crisi insomma, che il prezzo del petrolio cresce e, di conseguenza, Putin può pagare gli stipendi ai suoi dipendenti, a partire da quelli dei militari.
Da quando è salito al potere il valore dell'oro nero è schizzato alle stelle, e ciò garantisce al presidente russo la buona tenuta del suo sistema, e del suo governo. Il fatto che Putin abbia deciso di sbarazzarsi dell'Isis, insomma, non è stato fatto con intenti apprezzabili, tutt'altro: il presidente siriano Assad è controllabile e, contemporaneamente, garantisce la spregiudicatezza necessaria a tenere accesi i focolai nella regione, e quindi, ripeto, a mantenere alto il prezzo del petrolio, senza il quale il potere di Putin crollerebbe. Eppure tutti ci ricordiamo l'abilità del presidente russo a farsi portavoce del mondo moderno contro il medioevo rappresentato dall'Isis, con frasi del tipo: "Perdonare i terroristi spetta a Dio, a me spetta mandarceli", frasi peraltro in linea con la volgarità del personaggio. Cazzullo termina segnalando un certo consenso a favore di Putin.
A tal proposito occorre fare alcune precisazioni. La prima è che risulta difficile dare credito a delle elezioni farsa come quelle russe, dove non esistono dei veri avversari, i quali in effetti vengono puntualmente esclusi. Alcuni li ho conosciuti di persona a Milano per motivi di lavoro, come Vladimir Bukovskij, l'autore de "Gli archivi segreti di Mosca", e Boris Nemtsov, già vicepremier ai tempi di Eltsin, ucciso a colpi di revolver nei pressi del Cremlino il 27 febbraio 2015 mentre passeggiava per strada con una persona. Se davvero Putin fosse certo di avere la maggioranza perché - ci chiede Kasparov nel suo bel libro - dovrebbe avere paura degli avversari al punto da impedire loro con ogni mezzo di candidarsi?
Putin non gode di molto consenso soprattutto nelle città più moderne, come Mosca e San Pietroburgo, al punto che qualsiasi candidato forte del suo stesso partito gli viene preferito: non è un caso che il Presidente in persona accetti che i suoi uomini abbiano degli avversari credibili in sfide di secondaria importanza come l'elezione a sindaco di Mosca, per impedire loro di batterlo nella percentuale dei voti ottenuti.
Per quanto riguarda i sondaggi sul consenso al Presidente, a partire da quelli telefonici, è facile capire che non hanno alcun significato in un paese come la Russia di Putin. Sono poi d'accordo con Cazzullo sul fatto che il dittatore russo abbia le idee chiare: peccato che siano tali solo per lui e non per il suo popolo il quale, se ne venisse informato, andrebbe probabilmente a stanarlo dal Cremlino.
Quello che sta facendo Putin è creare un sistema in cui egli possa evitare di fare una brutta fine, come è capitato a molti dittatori prima di lui. Per riuscirci deve garantire ai russi uno standard minimo di benessere, e questo significa da un lato, ripeto, tenere alto il prezzo del petrolio: dall'altro mantenere aperto il mercato europeo, molto più remunerativo di quello asiatico. Ciò significa continuare con la politica estera della tensione, cioè del bastone, a cui affiancare ogni tanto la carota, tenuto conto che il mondo occidentale piace a Putin, come ai suoi oligarchi.
Piace per i lussi che può concedere a gente ricca come loro, lussi difficili da trovare altrove, nonché per la disponibilità delle banche di Londra, Parigi o Francoforte a conservare i loro capitali frutto della truffa ai danni del popolo russo: per non parlare dei diritti civili che pretenderanno di godere in caso di fuga a Parigi, Londra o Roma, diritti che da tempo loro concedono sempre meno in Russia, a partire da quelli a favore delle minoranze, immigrati poveri e omosessuali in primis, nemici, quest'ultimi, della Chiesa ortodossa, ossia il solito, utile "instrumentum regni" in caso di difficoltà già dai tempi dell'ipocrita, e brutale, Stalin.
Putin, a dire il vero, sostiene di essere contro la propaganda omosessuale, non contro l'omosessualità: e aggiunge che egli agisce per salvaguardare la crescita numerica della popolazione russa, e quindi europea, perché la questione della crescita demografica zero è un problema continentale. C'è da chiedersi, a questo punto, se davvero valga la pena di salvare una società come quella concepita, e sostenuta, da Putin...
L'Occidente ha sbagliato a concedere il dito al dittatore di Mosca. Tutti i tiranni interpretano le concessioni come una debolezza, e gli ex sovietici in maniera particolare. Purtroppo a vantaggio di Putin hanno giocato due fattori: il fatto che alla Casa Bianca ci sia stato negli ultimi otto anni Barack Obama, ossia un presidente aperto, intelligente e generoso, sì, ma un po' troppo timoroso in politica estera; ed il fatto, naturalmente, che la Russia sia una dittatura nucleare. Dopodiché alcune cose sono state fatte, come sbattere fuori la Russia dal G7, ma altre no: e non mi riferisco di nuovo all'incapacità dell'Occidente di arginare le attività militari russe, a partire da quelle in Georgia nel 2008 quando era al governo a Tbilisi il democratico Saakasvili, un altro uomo che ho avuto il piacere di conoscere di persona. Tra l'altro era G. W. Bush presidente Usa a quell'epoca, sebbene a fine mandato.
No, mi riferisco al fatto di lasciare ai russi l'organizzazione delle Olimpiadi invernali a Sochi nel 2014 e dei Mondiali di calcio del 2018, Mondiali che devono ancora iniziare. Gli occidentali, infatti, sbagliano a pensare di potersi rendere amico Putin con concessioni del genere: anzi, egli le usa per sostenere il proprio prestigio all'interno della Russia, anche quando è in caduta libera, e questo in chiave politica antioccidentale. Altro che aspettarsi aperture liberali da parte sua! Stessa cosa succede allorché vanno a stringergli la mano celebri personaggi della cultura, dello spettacolo, dello sport o della politica.
Putin viene incoraggiato da tali signori e signore a continuare a fare ciò che sta facendo benissimo, ossia consolidare il proprio potere all'interno del Paese, nel quale richiama pure grandi uomini di affari, ossia investitori, ma solo a patto che siano partner di società nazionali, cioè sue. Del resto, anche l'organizzazione dei giochi olimpici nel 2014, come degli attuali Mondiali di calcio, è stata sviluppata soprattutto per motivi economici, essendo capaci di far girare i miliardi necessari per gli investimenti, per la costruzione degli impianti sportivi. Peccato - ed eccoci al punto e a capo - che tali miliardi vadano ad aziende che gravitano attorno al presidente russo, e nonostante o appunto per questo nel 2014 non hanno portato alla realizzazione dei piani di costruzione originari, tutt'altro: molti impianti non sono stati neppure iniziati mentre nello stesso periodo molti soldi sono usciti dalla Russia per finire su conti cifrati di banche straniere, occidentali in primis.
Come è stato possibile permettere alla Fifa di organizzare i prossimi mondiali nella Russia di Putin? Era veramente necessario? Quali sono state le ragioni per cui nessuno ha voluto vedere chi è realmente Putin e cosa significhino i Mondiali 2018 per lui? Sembra veramente che l'Occidente, la più grande potenza del mondo nella storia, sia formato da compartimenti stagni dove le varie parti non si accorgano l'una dell'altra, o non si parlino. Il calcio non è solo sport, è anche economia, ma soprattutto politica. Una nazione che goda di prestigio calcistico ne vanta uno generale: non so quali saranno le mosse di Putin per evitare che la squadra di pallone russa venga buttata fuori già alle prime gare, a parte le solite iniezioni illegali agli atleti.
Ma quando parlo di politica del calcio, e la collego a lui, non mi sto riferendo al prestigio della sua squadra, o della sua nazione, ma, ripeto, e questo è il punto che intendo continuamente sottolineare, al suo personale: un errore macroscopico quello che l'Occidente ha commesso in tale, come in tante altre, occasioni. Ma in una simile circostanza ancora di più, se si pensa che addirittura le guerre, comprese quelle importanti combattute da Putin stesso, cessano di suscitare interesse nella popolazione del pianeta se nel frattempo è iniziato un grande evento sportivo come i mondiali di calcio. Spero di sbagliarmi, ma temo che Putin abbia in mente di fare qualche mossa antidemocratica, sottile ma spietata, proprio durante il grande evento sportivo: a meno che non si voglia concentrare solo e soltanto sul saccheggio del denaro pubblico approfittando del momento, permettendo a chi di dovere di perfezionare la chiusura all'estero dei traffici legati alle principali, recentessime operazioni edili - soprattutto a quelle mancate, come dicevo -.
Ma - scrive Kasparov - Putin è simile allo scorpione che punge la rana mentre lo salva dall'acqua: è più forte di lui agire da antidemocratico. Qualcosa, purtroppo, farà. C'è da chiedersi se agirà approfittando dei riflettori indirizzati altrove, sulle partite di calcio, o alla luce del sole, puntando viceversa sul fatto di essere lui alla ribalta planetaria più che mai.