Nello scenario sociale e politico dell’Italia di oggi occorre individuare spazio e ruolo politico del volontariato, tenendo ben presente da un lato i paradigmi imperanti che stanno alimentando le scelte delle politiche pubbliche e, dall’altro, le trasformazioni delle organizzazioni di volontariato, più in generale del fenomeno dell’associazionismo. (Scopri di più su:
SocialCohesionDays.com)
- A cura di Ugo Ascoli, Università Politecnica delle Marche
Il paradigma neo-liberistico, quasi un pensiero unico, continua a influenzare le grandi scelte e le politiche di austerità sono ben lungi dall’essere superate: tagli alla spesa sociale e ridimensionamento del welfare pubblico saranno ancora al centro della scena italiana per i prossimi anni, mentre il peso crescente del debito pubblico darà fiato a politiche di spending review.
Contemporaneamente l’area della domanda sociale è destinata a crescere in maniera non irrilevante sia nell’area dei ‘vecchi’ rischi sociali (pensioni basse, salute e politiche sanitarie, istruzione e disoccupazione) che in quella dei cosiddetti ‘nuovi’ rischi sociali (nuove dimensioni e caratteristiche della povertà, disoccupazione di lunga durata, esigenze di conciliazione vita-lavoro, non autosufficienza, transizione scuola lavoro, disagio abitativo, integrazione degli immigrati).
I soggetti del volontariato debbono acquistare una crescente consapevolezza delle sfide in atto: senza perseguire alcuna filosofia ‘sostitutiva’ dell’azione pubblica, debbono concorrere al cambiamento dei paradigmi dominanti tramite alcune azioni strategiche: una costante opera di informazione (una volta si sarebbe chiamata ‘contro-informazione’) sui processi in atto e sulle scelte della politica; una fortissima accentuazione dell’attenzione alla ‘legalità’ ed ai crescenti fenomeni di corruzione e concussione che pesano moltissimo sulle caratteristiche quantitative e qualitative della spesa pubblica; la sottolineatura dell’importanza della tutela e della promozione dei cosiddetti ‘beni comuni’ (dall’acqua alle aree verdi, dai beni culturali a quelli paesaggistici, dalla difesa della salute pubblica di fronte ai fenomeni di inquinamento di terra, aria e acqua alla tutela delle aree montane).
Occorre riuscire ad influenzare l’opinione pubblica e, tramite un’azione ‘bottom up’, arrivare a incidere sulle scelte di Comuni e Regioni. Qualsiasi illusione di poter ottenere risultati tramite la partecipazione a tavoli nazionali di concertazione deve essere messa da parte, almeno nel breve periodo.
Accanto alle summenzionate azioni strategiche occorre ‘piegare’, o meglio ‘indirizzare’ tutte le azioni di servizio attualmente svolte verso il rafforzamento dei legami sociali a livello locale, per consolidare il radicamento associativo delle organizzazioni. Tutte le azioni proposte, da quelle strategiche a quelle di servizio, hanno bisogno di ‘gruppi dirigenti’ e di ‘quadri’ all’altezza; ciò richiede la diffusione capillare di momenti formativi in cui condividere analisi e scelte operative, naturalmente con la consapevolezza delle specificità territoriali e delle sempre crescenti differenziazioni fra welfare ed economie del nord, da un lato, e welfare ed economie del sud, dall’altro.
I luoghi della formazione e le risorse vanno individuati area per area: si tratta di un processo ‘molecolare’ che può dare frutti non certo nell’immediato. Seminare oggi per raccogliere domani ci sembra tuttavia l’unica scelta possibile e praticabile al momento, di fronte ai macro-scenari imposti dalla globalizzazione e dai populismi che rischiano di radicarsi sempre di più nella società civile ‘occidentale’.
Difficile appare la scelta delle priorità nel momento in cui si prende in considerazione il lavoro e le attività delle organizzazioni di volontariato: indubbiamente sanità, sociale e istruzione sono in prima fila, ma molti altri campi possono acquistare una grande valenza, purché le attività siano volte ad obbiettivi di empowerment, ovvero di rafforzamento delle capacità dei soggetti più fragili, di tutela dei diritti umanitari, sociali, politici di ciascuno e della difesa/promozione dei beni comuni.
Siamo di fronte a poderosi processi di ‘ibridazione’ delle organizzazioni di volontariato, con l’immissione di quote non irrilevanti di dipendenti retribuiti, con l’accettazione di logiche operative-manageriali proprie del non-profit, con la crescente importanza attribuita al modello ‘cooperativa sociale-impresa sociale’, e con la ‘spada di Damocle’ della diffusione di rimborsi spese ‘autocertificati’ per i volontari (come stabilito dalla recente ‘riforma del Terzo Settore’).
Occorrerà una grande battaglia culturale per riaffermare il principio della gratuità come codice insostituibile dell’azione volontaria, così come per promuovere e tutelare le organizzazioni che si basano propriamente su una maggioranza di ‘volontari autentici’, che non ricavano cioè dalla loro attività alcun compenso, sotto qualsiasi forma lo si voglia celare.
Nell’ambito dei soggetti del non profit identificati dai censimenti Istat o dei cosiddetti ‘Enti del Terzo Settore’, così come definiti nei recenti decreti attuativi della legge 106/2017, occorrerà identificare i ‘compagni di strada’ che possano concorrere ad una società più solidale, democratica, equa e attenta alle disuguaglianze sociali. Si tratta di un processo lento e difficile il cui inizio, proprio per questi motivi, non va procrastinato.
Un ruolo fondamentale spetterà alle grandi reti nazionali del volontariato nel campo dell’analisi, così come dell’orientamento e della formazione: nell’ambito di un tessuto fatto di moltissime piccole e medie organizzazioni, alle federazioni ed alle reti il compito di proporsi come guida e, comunque, di offrire comportamenti esemplari.
Per saperne di più:
- Ugo Ascoli-Emmanuele Pavolini (a cura di) “Volontariato e innovazione sociale in Italia”, Bologna, il Mulino, 2017.
- Riccardo Guidi- Ksenija Fonovic- Tania Cappadozzi (a cura di) “Volontari e attività volontarie in Italia”, Bologna, il Mulino, 2016.
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