Responsabilità sociale d’impresa e gestione efficiente del personale: due ambiti sempre più integrati, giacché investire in pratiche di welfare equivale ormai a guadagnare in produttività. (Scopri di più su:
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Ne abbiamo parlato con David Trotti, Presidente regionale per il Lazio dell’Associazione Italiana Direttori del Personale – AIDP e Direttore nazionale del suo Centro Studi.
- Intervista a David Trotti, Presidente AIDP Lazio (a cura di Alessandra Aurilia)
Prima era il Personale, poi il Capitale umano, adesso le Risorse umane: cosa è cambiato?
“L’elemento fondamentale è che la persona è sempre più al centro. È in atto un’evoluzione in cui il dipendente diventa sempre più risorsa che con la sua vita valorizza la mission aziendale. Perciò anche la terminologia sta cercando di svilupparsi in questo senso. Si è partiti dall’amministrazione e adesso si è arrivati a considerare i dipendenti ricchezza e valore, in quanto portatori di competenze. Stiamo vivendo un percorso importante, in cui le competenze del dipendente sono elemento che produce valore aggiunto, quindi in questo senso anche il valore della formazione torna ad essere rilevante”.
Il licenziamento della dipendente IKEA con un figlio disabile ha scosso il mondo della comunicazione e della CSR. Se è vero che i grandi numeri impongono l’utilizzo di algoritmi, è comunque possibile trovare un equilibrio tra informatizzazione dei processi e attenzione al dipendente e alle sue necessità?
“Posso cercare di esprimere dei concetti che in qualche modo esulano dal caso concreto, perché per avere gli elementi di riferimento dovrei possedere il dossier di tutto ciò che è successo. Il bilanciamento tra informatizzazione e attenzione alle particolarità è una questione da analizzare all’interno dei processi, in cui c’è sempre l’eccezione. In questo caso, probabilmente bisognerà gestire le eccezioni al processo, e non le eccezioni delle persone, in maniera più attenta. Dovranno essere trovati quegli elementi di ridondanza che permettono di evitare situazioni come quella che apparentemente la stampa ha riportato. Nella mia esperienza ho sempre cercato, laddove esistevano elementi critici, di definire i processi di eccezione a monte dell’utilizzo della risorsa informatica, che si evolve proprio attraverso le eccezioni. Nel momento in cui devo gestire la retribuzione, e il software non possiede, ad esempio, il valore del massimale previdenziale, so già che quel valore dovrò gestirlo a mano; quindi all’arrivo di una certa somma dovrò andarlo a valutare. Probabilmente in questo caso si dovranno utilizzare strumenti di controllo che guardino il più possibile alle particolarità. Conoscere le eccezioni al processo è difficilissimo, perché si manifestano come patologia soltanto nel momento in cui avvengono. Da questo punto di vista, gli errori dei software si evidenziano perché qualcuno si è accorto che c’è stato un errore, altrimenti non è possibile. Dev’esserci sempre da parte dell’azienda l’attenzione al caso individuale; però l’eccezione, come ho detto, è un problema di tutti i sistemi, non solo delle risorse umane”.
In qualità di direttore del Centro Studi AIDP, crede che la CSR e il welfare aziendale siano destinati a confluire in un’unica dimensione? Di fatto, in base ai dati del VII Rapporto sulla CSR in Italia, molte iniziative referenziate sono interventi di welfare aziendale.
“Sì; l’ho detto proprio di recente a un convegno. I tre elementi che andranno a confluire saranno welfare, conciliazione dei tempi vita-lavoro e CSR. La CSR probabilmente sarà il macroambiente, la cultura mentale nella quale vivranno il welfare e la conciliazione dei tempi vita e lavoro. Il welfare è stato agevolato dal legislatore anche di recente, con il decreto che ha introdotto gli sgravi contributivi per le aziende che promuovono misure di conciliazione vita-lavoro (Decreto Interministeriale Lavoro-MEF del 12 settembre 2017, ndr), che diventeranno un elemento essenziale. Perciò credo che (CSR e welfare, ndr) siano un unico mondo che ha aspetti diversi, e anche il legislatore in qualche modo se ne sta accorgendo, seppure con risorse limitate. Ma non solo: secondo una ricerca che abbiamo condotto, da questo punto di vista lo smart working sta diventando un elemento di forte attenzione proprio in tema di conciliazione dei tempi vita e lavoro, al di là dell’abbattimento dei costi e di tanti altri aspetti. Nonché un elemento di forte responsabilità sociale nell’accezione più larga, perché va a incidere in qualche modo in un ambiente più grande di quello che è poi la CSR”.
Che consiglio darebbe a chi vuole intraprendere una gestione del personale orientata alla CSR?
“Il primo consiglio è di leggere i documenti dell’Osservatorio, perché sono assolutamente importanti e danno una chiave di lettura significativa; dall’altra, di pensare che la gestione della responsabilità sociale e del personale andranno a confluire. Quindi l’attenzione agli ambienti e alle dinamiche sociali in cui i dipendenti e le aziende sono inseriti rappresenta un vantaggio molto forte nella gestione del personale, che a mio parere può fidelizzare e motivare il dipendente, e d’altra parte anche risparmiare a livello di costi. Perciò ritengo che un elemento importantissimo per il direttore del personale sia perlomeno prenderne consapevolezza. Credo che in futuro l’azienda si avvicinerà sempre di più a quello che San Paolo dice nella prima lettera ai Corinzi a proposito del corpo e le membra (20[…] molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». 22Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie […], ndr). Ciò che per un direttore del personale può essere uno stimolo molto importante a capire anche il senso della CSR”.