Vita "più umana" e assistenza flessibile: la sfida del welfare di prossimità. L'analisi di don Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco. I pilastri della proposta per un nuovo welfare: non sradicare le persone da dove sono vissute e un’assistenza integrata e meno onerosa. (Scopri di più su: RedattoreSociale.it)

I programmi annunciati dai partiti per le imminenti elezioni politiche accennano a temi sociali. In realtà le promesse riguardano interventi immediati che vorrebbero dare sollievo alle problematiche che attanagliano le famiglie.Nessuno sembra aver colto la “gravità” del nuovo assetto della società italiana che mostra un volto diverso rispetto agli anni 2000. Fu allora emanata una legge che voleva dare stabilità alle risposte sociali riguardanti i temi fondamentali dell’assistenza.

I nodi recenti riguardano prima di tutto le povertà. Una fetta consistente delle famiglie italiane è “povera”: le elucubrazioni statistiche distinguono tra povertà relativa e assoluta. Misure che riguardano la quantità, non la qualità della vita. Alcuni tentativi di correzione sono stati fatti, rimasti quasi sempre parziali e non risolutivi: non una presa in carico delle condizioni di una vita dignitosa. Chi è povero ha poche risorse per il proprio futuro e per quello dei figli. Da decenni oramai l’Istat lancia le sue tabelle, dimostrando che la povertà aumenta invece che diminuire.

Il secondo gravissimo problema è quello dell’invecchiamento della popolazione. Oramai un terzo della popolazione è over 65 anni. In Italia sono elargiti due milioni di assegni di accompagnamento: ciò significa che, oltre ad avere scarse risorse, molti anziani sono decisamente mal messi in salute. Spesso le tre difficoltà (età, povertà, salute) si sovrappongono creando gravi disagi. La risposta dei centri per anziani è onerosa e, tutto sommato disumana, perché allontana la persona in difficoltà dal propri ambito di vita.

Da qui lo sforzo di pensare a un nuovo welfare. I termini di riferimento futuri possono poggiare su due principi: il non sradicamento delle persone dall’ambito dove sono vissute, un’assistenza che sia flessibile, integrata e meno onerosa.

Le leggi odierne vanno in tutt’altra direzione: gli standard di accoglienza sono rigide, puntigliose, super specializzate. E’ prevalso lo schema sanitario su quello assistenziale. Invece i parametri delle strutture assistenziali vanno attenuati a tutto vantaggio di iniziative che chiamiamo di “prossimità”. Ciò significa valorizzare e mescolare risorse pubbliche e private, sia in termini di strutture, che in termini di prestazioni. Possono essere immaginati condomini solidali, piccoli ambiti territoriali nei quali le risorse sono messe in comune e utilizzate da più persone, con la presenza di operatori qualificati e altro personale familiare (parenti, vicini, volontari).

Tale schema ha il vantaggio di rendere “più umana” la vita e meno dispendiosa l’assistenza, in netto contrasto con la “massificazione” delle persone, dettata da economie di scala, rendendo gli assistiti semplici numeri.

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