La dimensione della prossimità e quindi della partecipazione e dell’impegno diretto da parte dei cittadini nell’affrontare bisogni e aspirazioni che li accomunano può e potrà far evolvere il nostro welfare? O, al contrario, si tratta di esperienze di attivazione destinate a rimanere periferiche entro il sistema dei servizi? (Scopri di più su: PeriodiciMaggioli.it)
  • Gianfranco Marocchi
La prossimità non nasce dal disimpegno istituzionale. Nel provare a rispondere a queste domande è opportuno in primo luogo sgombrare il campo da una impostazione spuria, ancorché molto diffusa, dei ragionamenti sulla prossimità e sul suo rapporto con il sistema di welfare. Ci si riferisce a ogni riflessione che si sviluppi in seguito alla premessa “visto che i soggetti pubblici non hanno più risorse…” e che si concluda con l’affermazione che “… allora i cittadini devono organizzarsi e fare da soli”.

È, in altre parole, non marginale la convinzione che lo sviluppo o l’auspicabilità della prossimità derivino dalle tensioni sui bilanci pubblici e segnatamente sui fondi destinati al welfare; tale convinzione può essere alimentata tanto da parte delle istituzioni, a giustificazione di un proprio disimpegno nelle politiche sociali, quanto da taluni sostenitori della valorizzazione della società civile, ma non rispecchia il punto di partenza qui utilizzato, per più motivazioni:
  • il fenomeno che si intende comprendere ha come punto di partenza un’evoluzione di tipo culturale, un “cambio di sguardo” che porta le persone ad un modo diverso di sentire e di intendere il fatto di essere cittadini e quindi ad impegnarsi in forme di partecipazione collettiva.
  • Che poi le istituzioni intravedano una risorsa preziosa in queste forme di partecipazione e che questo possa contribuire a costruire benessere pubblico anche quando altre risorse calano è un dato di fatto, ma non è il punto di partenza;
  • le esperienze più compiute di prossimità generalmente hanno come premessa o come esito un impegno del soggetto pubblico – di solito un ente locale – che spesso richiede anche la destinazione di nuove risorse negli interventi di prossimità. Se e quando questo si accompagni al disinvestimento in altri ambiti di welfare consolidato è tutto da verificare; ciò che invece è certo è che le istituzioni sono chiamate ad impegnarsi su nuovi fronti e ad assumere ruoli diversi da quelli precedenti, dedicando quindi energie e risorse alla prossimità. Non è un caso che le esperienze di prossimità più significative vedano forti alleanze tra soggetti formali e informali della società civile e istituzioni locali;
  • anche nei casi – che sono peraltro minoritari – in cui l’azione di prossimità investe ambiti direttamente di competenza di una istituzione (si pensi ad esempio ad un gruppo di cittadini che contrastano il degrado scendendo in strada a spazzare la propria via trascurata dai servizi di nettezza urbana) tale valenza “sostitutiva” è generalmente marginale; non si mira con tali forme di auto-organizzazione a sostituire stabilmente l’impegno istituzionale, ma a finalità diverse, primariamente riaffermare la volontà e la necessità di prendersi cura – sia da parte delle istituzioni che dei cittadini – di un bene comune.
Insomma, è vero che spesso, nei casi virtuosi, le azioni di prossimità hanno come esito un assetto diverso dei servizi che grazie ad un nuovo ruolo sia dei cittadini che delle istituzioni può determinare un miglior servizio a parità di risorse. …

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