Quando nella primavera dell’anno scorso abbiamo cominciato a immaginare l’evento istituzionale per il Giorno della Memoria del 2018, Noemi Di Segni, la presidente dell’UCEI, ha proposto, invece dei concerti che per quattro anni abbiamo organizzato all’Auditorium, un Processo alle leggi razziali, di cui ricorre quest’anno l’80° anniversario. (Scopri di più su: Gariwo.net)
  • Analisi di Viviana Kasam, giornalista e Presidente BrainCircleItalia
La motivazione non è solo la ricorrenza. L’Italia non ha mai fatto un esame di coscienza su quello che è stato un vero e proprio abominio dal punto di vista giuridico e morale. Non sono stati celebrati processi pubblici per crimini di guerra. E dopo il ’46 si è frettolosamente cercato di voltare pagina, perché le leggi razziali hanno coinvolto non solo coloro che le hanno scritte, proposte, firmate, non solo i cattedratici che si sono arrovellati per giungere a una definizione “scientifica” di razza, preparando tabelle e disegni sulla purezza del sangue, non solo il Vaticano che, laddove ha protestato, lo ha fatto non contro la discriminazione degli ebrei, ma contro l’idea che questa avvenisse per motivi razziali e non per motivi religiosi. Le leggi “per la difesa della razza” hanno coinvolto tutta la popolazione, trasformando gli italiani in delatori e complici dell’iniquità, corrompendo la coscienza etica del Paese.

Paolo Mieli, una delle prima persone che ho interpellato, mi ha fatto notare che nessun articolo contrario, nessuna critica è uscita sulla stampa, nemmeno su quella di opposizione e su quella clandestina!.

Eppure gli ebrei erano cittadini italiani. Anzi, una delle più antiche comunità presenti nella penisola, arrivati ben prima della deportazione in massa di Tito dopo la distruzione del secondo Tempio nel 70 dC.

Avevano conosciuto momenti di prosperità – soprattutto all’epoca dei Comuni e delle Signorie - e momenti di persecuzione a causa dell’antigiudaismo della Chiesa Cattolica. Fu proprio quell’antigiudaismo di matrice religiosa (gli ebrei “popolo deicida”) a creare il terreno fertile per i pregiudizi antisemiti di matrice biologica propugnati da fascismo e nazismo. A partire dal 1555, a seguito della bolla di Papa Paolo VI Cum nimis absurdum gli ebrei erano stati obbligati in tutta Italia a risiedere nei ghetti, dai quali li liberò Napoleone, finché lo Statuto Albertino del 1848 non garantì loro la cittadinanza italiana e i pieni diritti che ne conseguivano. Un Savoia rese liberi e uguali gli ebrei, un altro Savoia li ricacciò nella discriminazione.

Gli ebrei italiani vivevano con orgoglio la loro cittadinanza. Avevano combattuto e meritato onorificenze durante la prima guerra mondiale. Ventiquattro generali pluridecorati furono cacciati con le leggi razziali: tra loro Riccardo Padovani, che pur aveva frequentato la Nunziatella con il Re.

Molti si distinsero nella vita pubblica e politica. Era ebreo il celebre sindaco di Roma Ernesto Nathan così come lo era Luigi Luzzatti, Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1910 al 1911. Molti ebrei avevano aderito con convinzione al fascismo. Ci fu persino un Podestà ebreo a Ferrara, Renzo Ravenna: fu costretto a dimettersi nel 1938.

Alla scienza l’ebraismo italiano avrebbe dato tre Premi Nobel, Emilio Segrè, Salvatore Luria, Rita Levi Montalcini (tutti emigrati in America per le leggi razziali, e tutti allievi del grande Giuseppe Levi, anch’egli epurato nel 1938). Molti grandi scienziati furono costretti al silenzio e alla miseria, esclusi da quegli istituti che essi stessi avevano creato, come il matematico e fisico Tullio Levi Civita, che si vide persino negare l’ingresso alla biblioteca del suo Istituto di Matematica della Università di Roma dal nuovo direttore.

Erano ebrei insigni scrittori come Italo Svevo, Giorgio Bassani, Carlo Levi e il grande poeta Umberto Saba. La pubblicazione e circolazione delle loro opere fu proibita dalle leggi razziali, così come l’esecuzione di musiche composte da ebrei. Tra questi Aldo Finzi e Marco Castelnuovo Tedesco, costretti a riparare in America. Il nostro Processo aprirà con l’esecuzione in prima mondiale assoluta, di una sua “Ballata” suonata al violino da Francesco Dego, considerata una delle più promettenti virtuose al mondo.

La celebre scuola di Via Panisperna, punta di diamante della scienza italiana, fu distrutta dalle leggi razziali: era ebrea la moglie di Enrico Fermi, e con lui dovettero lasciare la ricerca e fuggire all’estero Bruno Pontecorvo, Leo Pincherle, Ugo Fano, Eugenio Fubini, Sergio De Benedetti, privando l’Italia del frutto delle loro avanzatissime ricerche di fisica. Una vera e propria fuga obbligata di cervelli decretata dallo Stato italiano, che perse il contributo di personalità del calibro dell’economista Franco Modigliani e di matematici e fisici come Vito Volterra e Federigo Enriques. Pochi furono reintegrati dopo la fine della guerra; molti scelsero di rimanere all’estero, sentendosi traditi dal loro Paese.

Nella accezione comune le leggi razziali sono ancor oggi considerate un decreto all’acqua di rose. Nulla di più sbagliato. Certo, se paragonate con la “soluzione finale” di Hitler, non comportarono torture fisiche, prigionia e morte –anche se costituirono la base ideologica e burocratica su cui fu possibile dopo il ’43 deportare gli ebrei nell’Italia che non era stata liberata. E l’obiettivo del nostro processo è proprio quello di spiegare in forma teatrale, e quindi con modalità e linguaggio adatti al grande pubblico non specialistico, quello che furono davvero queste leggi. Che tolsero agli ebrei ogni diritto, trasformandoli in larve cui non era concesso di frequentare le scuole, di lavorare, di detenere proprietà (persino la radio era proibita), di esercitare professioni, di frequentare le spiagge pubbliche e i locali di intrattenimento, di contrarre matrimoni con non ebrei. Una sfilza meticolosa di divieti, alcuni assolutamente ridicoli, come quello di detenere piccioni viaggiatori! Una infamia che fu applicata con rapidità sorprendente e scrupolo pignolo. I professori furono epurati in massa due giorni dopo l’apparizione delle leggi sulla Gazzetta Ufficiale e nel giro di pochissimi mesi gli ebrei diventarono invisibili. Ma meticolosamente schedati: su tutti i certificati e i registri il marchio “Appartenente alla razza ebraica” apparve in un baleno. L’ammenda per chi non avesse ottemperato era la cifra allora molto consistente di tremila lire (a quei tempi una canzonetta recitava: “se potessi avere mille lire al mese..”)

Il nostro Processo, curato per la parte legale da Elisa Greco, autrice del format sui Processi alla storia, e che si avvale della collaborazione di un folto gruppo di storici e del patrocinio di tutti i massimi gradi della magistratura italiana, si giocherà su un doppio binario. Da un lato, un vero e proprio processo, in cui l’imputato è il Re, ma l’obiettivo è di risalire tutta la filiera delle responsabilità –Mussolini, il Parlamento, il Tribunale della Razza, gli scienziati autori del Manifesto della razza, la cittadinanza complice o delatrice. Dall’altro una spettacolo a forte impatto emotivo, con un attore, Marco Baliani, con musica, filmati e parecchi testimoni a raccontare le sofferenze.

Il nostro Processo non si chiude con il verdetto. Perché vogliamo parlare anche di ciò che successe (o meglio non successe) dopo. Il direttore de La Stampa Maurizio Molinari illustrerà come personaggi di spicco nell’ideazione e attuazione delle leggi, che oggi noi definiamo razziste, mantennero posizioni di rilievo. Il caso più eclatante è quello di Gaetano Azzariti, che aderì al Manifesto della Razza, fu nominato presidente dell’infame Tribunale della razza** e dopo la guerra non solo non fu condannato, ma collaborò con Palmiro Togliatti al ministero di Grazie Giustizia, fu poi nominato giudice costituzionale e dal 1955 al giorno della sua morte - il 5 gennaio 1961 - ricoprì la carica di Presidente della Corte Costituzionale! Il suo busto campeggiava fino a pochi anni nel corridoio nobile della Corte Costituzionale, che bocciò la richiesta del giudice Paolo Maria Napolitano di rimuoverlo. Poi, con un escamotage opportunistico che non intaccava la “sacralità” del personaggio, il busto fu rimosso “per restauro” e non è più riapparso.

E che dire del Vaticano, che dopo la guerra si oppose alla completa abrogazione delle leggi razziali? Il segretario di Stato Vaticano, Luigi Maglione, vicino al papa, sollecitò gli alleati ad eliminare solo le norme che discriminavano gli ebrei convertiti al cattolicesimo, conservando il resto delle leggi razziali, dopo aver respinto una richiesta degli ebrei che sollecitavano l’abrogazione delle leggi nella loro totalità.

I docenti che avevano occupato le cattedre dei professori rimossi dal fascismo, i musicisti che presero il loro posto nelle orchestre, i giornalisti che li rimpiazzarono, coloro che avevano occupato le loro case, si erano impadroniti delle loro fabbriche, li avevano emarginati e denunciati, si guardarono bene dal fare ammenda. E le richieste di rimborso e di reintegro andarono avanti con una lentezza esasperante e non tennero in considerazione i danni subiti per gli anni di forzata assenza dal lavoro e dalla vita sociale.

Voglio concludere con una piccola storia esemplare. Il musicista Kurt Sonnenfeld, che era stato internato dal 1940 al 1945 nel campo di concentramento di Ferramonti in Calabria, quando si riaprirono le iscrizioni al Conservatorio di Milano dopo la guerra fece domanda di iscrizione. Gli fu rifiutata perché aveva superato i limiti di età. Il fato che avesse trascorso cinque anni in prigionia per motivi razziali non fu considerato motivo di eccezione.

Note:

** «Se tutta la legislazione antisemita era immorale e antigiuridica, questa legge lo fu certamente più di ogni altra; essa infatti non si fondava che sull’arbitrio più assoluto...». Più ancora, in quegli «anni tragici e grotteschi», la «Corte» guidata da Azzariti, che da oltre un decennio era l’uomo forte del ministero della Giustizia fascista (e le leggi razziali non poteva scriverle certo un maestro elementare come Mussolini), finì per diventare «fonte di immoralità, di corruzione, di favoritismo e di lucro. E ciò mentre il rigore della legge e delle innumerevoli disposizioni ad essa connesse si abbatteva sempre più pesante su quegli ebrei che non volevano o non potevano piegarsi alla sopraffazione e al ricatto». Sono parole dello storico Renzo De Felice.

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