Roma, 18 settembre 2007 - Immigrati vittime 2 volte della mancata sicurezza sul lavoro. Non solo perché - in media - si infortunano il 50% in più degli altri lavoratori (il tasso di incidenti sul totale è del 12% contro una presenza percentuale di lavoratori immigrati del 6% - dati Inail). Ma anche perché molto spesso non possono denunciare l'infortunio, pena la perdita del posto di lavoro, se non la stessa permanenza in Italia. A descrivere il quadro di questa situazione definita «intollerabile» sono le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani nel corso del seminario di questa mattina a Roma dedicato al tema della salute e della sicurezza degli immigrati. Un appuntamento che anticipa la terza la terza edizione di 'Diritti in Piazza', la campagna del Patronato Acli che si svolgerà nelle piazze italiane i prossimi 28 e 29 settembre per sensibilizzare e informare dei cittadini sul tema del 'lavoro sicuro'.

«Quello svolto spesso dagli immigrati - afferma il presidente delle Acli Andrea Olivero - è un lavoro 'non-sicuro' per eccellenza. Non solo per le condizioni precarie o del tutto irregolari in cui si svolge, ma anche per le conseguenze che questo significa sul piano della prevenzione degli infortuni e delle garanzie in caso di incidenti. Non è tollerabile rischiare allo stesso tempo la salute, o la vita, il posto di lavoro, il permesso di soggiorno e quindi la permanenza in Italia».

Le Acli e il Patronato Acli chiedono quindi di creare dei percorsi di protezione per quegli immigrati che denuncino un infortunio sul lavoro, perché non perdano i diritti faticosamente acquisiti. E di prevedere un 'accompagnamento sanitario' del lavoratore immigrato che veda maggiormente partecipi i medici del Servizio pubblico e gli stessi istituti di Patronato.

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