Il 27 novembre a Milano (replicato il 4 dicembre a Bari) si è tenuto il primo evento di lancio del REI organizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. In quella occasione è stato anche presentato il PON Inclusione, il programma operativo che, grazie alle risorse messe a disposizione dal Fondo Sociale Europeo, ha permesso di impostare una strategia di sviluppo del welfare italiano coordinata e lungimirante. (Scopri di più su:
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Il convegno ha infatti messo in luce un aspetto finora poco analizzato nel percorso che ha portato all’approvazione del REI, ovvero il ruolo chiave giocato dalle politiche europee e dai fondi strutturali nell’accompagnare il processo definitorio di livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEA). La riflessione è stata sviluppata congiuntamente da Laura Cassio della Direzione Generale per l’occupazione, gli affari sociali e l’inclusione della Commissione Europea, la persona che a Bruxelles ha seguito il negoziato con l’Italia per l’accordo di partenariato, e Cristina Berliri dell’Autorità di Gestione PON Inclusione – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Nella programmazione 2014-2020 per la prima volta i fondi strutturali intervengono a supporto delle politiche di inclusione sociale: il
Fondo Sociale Europeo infatti contribuisce a co-finanziare il Programma Operativo Nazionale (PON) Inclusione, un
programma strategico volto a contribuire al processo che “mira a definire i livelli minimi di alcune prestazioni sociali, affinché queste siano garantite in modo uniforme in tutte le regioni italiane, superando l’attuale disomogeneità territoriale”. Dal punto di vista della Commissione Europea era essenziale assicurarsi che i fondi comunitari venissero utilizzati per aiutare le riforme concordate tra la UE e il nostro paese nel quadro del semestre europeo, ovvero del ciclo di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio volte a promuovere riforme strutturali e a prevenire squilibri macroeconomici eccessivi nei paesi membri dell’Unione Europea. Tra queste riforme la UE aveva raccomandato all’Italia, sia nel 2014 che nel 2016, di ridurre i livelli di povertà ed esclusione sociale attraverso l’adozione di una strategia nazionale di lotta alla povertà, insieme ad una revisione e ad una razionalizzazione della spesa sociale.
Il PON Inclusione è stato descritto come “un programma strutturale e strutturante” perché, a differenza di quanto avviene normalmente coi fondi strutturali, non mette a disposizione finanziamenti per realizzare iniziative e progetti bottom up temporanei. Il PON è un programma strutturato volto a rafforzare la capacità istituzionali dei servizi sociali intese a durare nel tempo. Il PON Inclusione intende infatti sostenere l’avvio di un programma di riforma del welfare italiano, partendo dal sostegno al rafforzamento dei servizi per la lotta alla povertà e l’inclusione attiva, con l’obiettivo di andare poi progressivamente a sostituire con fondi nazionali strutturali le risorse messe a disposizione dal FSE. Si tratta di una strategia complessiva ed integrata perché è partita da un lavoro significativo e condiviso tra le diverse parti in campo (Ministero, Regioni, Comuni e Commissione Europea) di definizione di standard di accesso e di linee guida per la presa in carico da parte dei servizi di persone in condizione di povertà ed esclusione sociale e di grave deprivazione materiale. In questo modo l’uso dei fondi comunitari è diventato il “catalizzatore delle risorse e della programmazione sociale per muovere nella direzione dell’attuazione dei Lea preconizzata dalla L.328”.
Per molti aspetti il PON Inclusione rappresenta una vera innovazione rispetto alla tradizionale modalità programmatoria, capace di valorizzare le possibilità e le potenzialità, finora inesplorate, offerte dalla nuova programmazione europea, ma è stato un percorso complesso, che ha richiesto innumerevoli confronti con Bruxelles per valutare di volta in volta la fattibilità delle scelte operate. Dal punto di vista del Ministero è stata una scommessa azzardata su cui si è puntato con fiducia e speranza di riuscita: quando nel 2014 il Programma è stato adottato infatti conteneva la previsione di un finanziamento nazionale pari ad 1 miliardo di euro per rafforzare i servizi per i percettori di una misura di sostegno al reddito per la quale non c’erano ancora i fondi.
Il framework complessivo del PON Inclusione
Tutta la programmazione nazionale e regionale dei fondi strutturali si sviluppa attorno ai contenuti dell’Accordo di Partenariato che l’Italia, dopo un’ampia fase di negoziazione interna, ha mandato a Bruxelles per l’approvazione. Tale documento definisce strategie, metodi e priorità di spesa nonché l’allocazione delle risorse europee che, per il tema lotta alla povertà ed esclusione sociale, sono quelle messe in campo in particolare per l’obiettivo specifico 9 “Inclusione sociale e lotta alla povertà”. Secondo il regolamento FSE esse dovevano ammontare ad almeno il 20% delle risorse totali allocate nell’ambito del FSE, pari dunque a 3,1 miliardi (considerando FSE e FESR congiuntamente): 799 milioni pe le Regioni più sviluppate, 130 milioni per quelle in transizione e 2,3 miliardi per le regioni meno sviluppate.
La scelta strategica proposta nell’Accordo di Partenariato è stata quella di partire dall’analisi del contesto, che ha messo in luce la presenza di una elevata proporzione di famiglie in condizione di deprivazione materiale ed esclusione lavorativa, una insufficienza di servizi di cura e una eterogeneità nell’offerta di servizi, insieme ad una sperequazione della spesa a livello nazionale e ad uno dei nodi critici del sistema, ovvero la mancata definizione dei livelli essenziali di assistenza. Il PON ha quindi assunto come propria finalità quella di accompagnare il processo definitorio dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEA), da realizzare attraverso il supporto alla sperimentazione di una misura di inclusione attiva che prevedesse il rafforzamento degli strumenti di governance, ovvero l’integrazione dei servizi sociali in rete, lo sviluppo del sistema informativo dei servizi sociali, la definizione di profili professionali comuni tra le Regioni, il rafforzamento delle competenze degli operatori e il coordinamento tra i responsabili della programmazione sociale. L’obiettivo complessivo dell’intera infrastruttura era dunque quello di promuovere una maggiore omogeneità a livello nazionale nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale, da sviluppare attraverso il metodo del confronto tra i diversi livelli istituzionali, ed affrontando il nodo della mancata definizione dei LEA attraverso un meccanismo che agevolasse il confronto nazionale tra i responsabili della programmazione regionale. A tale proposito è stato dunque avviato il Tavolo dei programmatori sociali tra Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e Regioni, ANCI e Città Metropolitane, che ha svolto un ruolo importante nel far emergere le migliori esperienze sui territori per poi metterle al centro della programmazione di tutti gli altri: lo si può considerare il precursore del Comitato per la lotta alla povertà, che riunisce i diversi livelli di governo, strumento importante per l’attuazione del ReI.
L’indirizzo strategico portato avanti dal Ministero nell’Accordo di Partenariato ha previsto che la maggior parte delle risorse andassero all’inclusione attiva, nell’accezione prevista dalla
Raccomandazione della Commissione Europea, composta da 3 pilastri: 1) Un’adeguata integrazione del reddito, 2) Mercati del lavoro che favoriscono l’inserimento, 3) Accesso a servizi di qualità. Il PON dunque ha inteso rafforzare gli interventi di attivazione e le reti per la presa in carico, per favorire la creazione dell’infrastruttura necessaria a promuovere il cambio di paradigma nel welfare italiano rispetto al tradizionale approccio assistenzialistico, nella direzione di una maggior centralità dei servizi rispetto ad un approccio centrato sull’erogazione economica di natura prevalentemente risarcitoria. Si tratta di obiettivi che richiedono una governance complessa, che possono essere perseguiti solo col contributo dei diversi attori del sistema appartenenti ai diversi livelli di governo del welfare. L’aspetto chiave dell’intera infrastruttura è stata dunque la connessione prevista tra la definizione dei LEA realizzata dal governo centrale nel PON e le modalità di implementazione ai livelli periferici, attraverso la connessione tra i diversi canali di finanziamento europei. In parallelo si è iniziato a lavorare al rafforzamento della struttura amministrativa e alla messa a sistema delle altre filiere di servizi, tra cui in particolare quelli del lavoro e della formazione, prevedendo interventi regionali e locali di inclusione lavorativa (basati su indirizzi nazionali), rivolti ai soggetti più distanti dal mercato del lavoro quali, ad esempio, le persone con disabilità che richiedono presa in carico più ampia. Infine, a supporto della governance complessiva, è stata prevista l’implementazione del Sistema informativo dei servizi sociali, volto a favorire presso i Comuni la presa in carico delle famiglie e presso le Regioni le attività di monitoraggio, programmazione e valutazione delle politiche sociali.
Il coordinamento tra i diversi canali di finanziamento
Per lavorare in maniera coordinata tra il livello nazionale, quello regionale e quello locale è stata impostata una sinergia tra il programma nazionale (PON Inclusione), volto a sperimentare una forma di sussidio economico per nuclei poveri, condizionale ad un programma di inclusione attiva sostenuto da una rete di servizi di qualità e da interventi regionali di inclusione lavorativa, e le risorse rese disponibili dai POR (regionali) FSE. Il decreto legislativo che definisce il ReI precisa infatti che a questa finalità concorrono in maniera sinergica le risorse dell’obiettivo 9 afferenti al PON Inclusione, con una dotazione a questo proposito di circa 1 miliardo di euro, e ai POR, con una dotazione di circa 3,5 miliardi di euro: il decreto rimanda quindi alle Regioni di definire le modalità attraverso le quali promuovere i percorsi di inclusione attiva previsti per i progetti di contrasto alla povertà da sviluppare nell’ambito de ReI, da coniugare insieme alle risorse previste anche per l’obiettivo 8 ‘occupazione’.
Un ulteriore passo dell’impianto complessivo è legato allo sviluppo delle attività di rete, che il PON ha attuato prevedendo il sostegno alle attività economiche profit e non profit a contenuto sociale. A tal fine il decreto legislativo ha previsto che gli enti territoriali operino in stretto raccordo con il terzo settore, che deve essere coinvolto anche nella fase della presa in carico delle famiglie e nelle equipe multi professionali per la progettazione personalizzata degli interventi.
L’accordo di partenariato, in coerenza con la Raccomandazione sull’inclusione attiva, prevede, tra le priorità di investimento dell’Obiettivo 9, anche il miglioramento dell’accesso a servizi accessibili, sostenibili e di qualità, compresi servizi sociali e cure sanitarie d’interesse generale. A tal fine il PON Inclusione fa specifico riferimento ai servizi di cura, in particolare per quanto riguarda i servizi educativi per l’infanzia e per la non autosufficienza, su cui si stanno attivando ora le regioni attraverso i loro POR. In tale ambito rientrano anche le azioni che verranno sviluppate in tema di potenziamento dei servizi territoriali ospedalieri e di promozione di alloggi sociali e servizi abitativi per categorie fragili, e gli interventi di supporto all’abitare assistito da parte sia del pubblico che del privato, finanziati in particolare dal FESR.
Un ulteriore tassello dell’infrastruttura è volto alla riduzione del fenomeno della marginalità estrema, attraverso il sostegno all’integrazione socio economica delle comunità emarginate in particolare dei senza dimora e dei ROM: a tal fine è stata creata una sinergia tra il FSE e lo specifico fondo FEAD, il Fondo europeo di aiuti agli indigenti, strutturando un coordinamento degli interventi che prevede che il FSE, attraverso il PON Inclusione e i POR, sostenga e finanzi iniziative volte alla promozione dell’accesso delle persone senza dimora ai servizi sociali, sanitari e al lavoro, insieme alla presa in carico in una prospettiva di accompagnamento verso l’autonomia, mentre il FEAD consente di finanziare interventi a bassa soglia e di individuare modalità organizzative e di valorizzare le reti territoriali per la distribuzione di beni materiali, andando nel contempo a sostenere l’approccio di elezione denominato housing first[note]L’approccio Housing First, alla base delle Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta in Italia, identifica la “casa” come diritto e come punto di partenza da cui la persona senza dimora deve ripartire per avviare un percorso di inclusione sociale.[/note], finanziando la dotazione degli alloggi e la fornitura di beni e servizi di accompagnamento necessari al vivere autonomo. Anche in questo caso la prospettiva adottata è quella del passaggio da un approccio emergenziale ad un modello strategico integrato basato sul principio dell’inclusione attiva quale paradigma ispiratore di tutte le misure di contrasto alla povertà, volto ad evitare di guardare anche il fenomeno dell’estrema marginalità da un’ottica esclusivamente ripartiva.
Per assicurare organicità e coerenza tra gli interventi, che fossero in grado di assicurare prestazioni uniformi a livello nazionale e di superare la logica emergenziale, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha predisposto delle
Linee di indirizzo per il contrasto alla grave emarginazione adulta, con il coinvolgimento di un tavolo di lavoro composto dai responsabili delle politiche ai diversi livelli di governo e il confronto con chi opera nei servizi e nei territori, in collaborazione con la Fio.PSD (Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora). Tali linee di indirizzo costituiscono oggi “il principale strumento di riferimento per le Regioni e i Comuni nella costruzione e implementazione a livello locale di sistemi di intervento sociale per il contrasto alla povertà estrema” e il riferimento per la progettazione attraverso i fondi strutturali: è la prima volta che in Italia politiche di sostegno ai senza dimora vengono finanziate in maniera organica attraverso tale canale di finanziamento. A ottobre 2016 è stato dunque emanato l’Avviso 4, per la presentazione di proposte di intervento per il contrasto alla grave emarginazione adulta e alla condizione di senza dimora. Il bando è stato finanziato per il primo triennio con 50 milioni di euro: 25 a carico del PON e 25 del FEAD. Inoltre a partire dal 2018 il PON INCLUSIONE destinerà ulteriori 20 milioni annui alle persone senza dimora. La finalità complessiva dell’iniziativa è dunque quella di favorire il passaggio dall’emergenza all’integrazione, andando a ridurre progressivamente il numero dei senza dimora, la durata in tale condizione e la frammentazione degli interventi. La proposta è quella dell’adozione di un approccio multidimensionale che assicuri una governance pubblica capace di valorizzare il ruolo del terzo settore.
Alcune riflessioni sull’esperienza in corso
L’implementazione dell’intera infrastruttura è stata complessa: ha richiesto un ampio numero di incontri e di gruppi di lavoro, ma ha consentito di sviluppare un insieme di misure concrete che si auspica consentiranno una piena attuazione degli obiettivi preventivati intesi ad incardinarsi nel sistema di welfare italiano anche oltre il termine dei finanziamenti con i fondi strutturali. Data la dimensione pionieristica dell’infrastruttura complessiva le difficoltà incontrate sono state molte.
- Si sono avute difficoltà legate al fatto che il FSE è nato per promuovere politiche attive del lavoro, mentre la componente inclusione sociale in tale ambito è stata negli anni marginalizzata e le risorse reindirizzate alle politiche del lavoro. Questo significa che oggi il sistema di rendicontazione non è ancora pronto a parametrare e a definire le spese per i servizi sociali.
- È stato importante introdurre un PON dedicato esclusivamente alle politiche sociali, ma i territori si trovano oggi a dover progettare interventi in terreni che conoscono poco, quelli dei fondi comunitari, che richiedono dunque ampio supporto dal livello centrale e un lungo processo di apprendimento, il tutto nell’ambito di un processo normativo in continua evoluzione.
Il Rei ad oggi ha comunque già consentito di promuovere l’acquisizione di circa 3.500 operatori in 520 ambiti territoriali destinati a rafforzare i servizi sociali in particolare al sud, dove l’infrastrutturazione era più carente. Il percorso in atto ha inoltre consentito di creare sinergie, in alcuni casi del tutto nuove, coi centri per l’impiego: si sta procedendo infatti a rafforzare direttamente anche i centri per l’impiego: 600 operatori saranno selezionati per essere esclusivamente dedicati alla presa in carico dei beneficiari del REI e alla collaborazione con i servizi sociali per la progettazione personalizzata.
Dal punto di vista delle professioni del sociale inoltre questa nuova infrastrutturazione ha costituito una significativa leva di cambiamento in un sistema dei servizi che si era esso stesso impoverito a causa della crisi. Non va infine dimenticato il cambiamento culturale in atto tra gli operatori del sociale che, a giudizio di Gianmario Gazzi presidente del CNOAS, stanno iniziando a sviluppare la consapevolezza che il sostegno economico non basta più se non è accompagnato da occasioni che possano portare ad un cambiamento della situazione che ha portato alla povertà. Il PON rappresenta una grande occasione in questo senso, anche perché coi fondi a disposizione ha permesso di ridare ossigeno, nuove prospettive ed opportunità ai servizi.
Dopo anni nei quali era assistito alla creazione di 21 sistemi di welfare diversi, creando di fatto grandi disparità tra sistemi avanzati e sistemi arretrati, questa rappresenta una occasione di ripensamento complessivo del sistema di governance del welfare a partire da una riflessione su un livello essenziale con una regia nazionale.