Da tempo ormai, l’erogazione di servizi di welfare, non è più monopolio né economico né ideologico dello Stato. Le logiche del mercato e della società civile hanno contaminato l’ambito dei servizi alla persona portando alla creazione di forme ibride di produzione e utilizzo di tali servizi, che parte rilevante hanno nel determinare la qualità della nostra vita… (Scopri di più su: BeneComune.net)
Da tempo ormai, l’erogazione di servizi di welfare, non è più monopolio né economico né ideologico dello Stato. Le logiche del mercato (prezzo e scambio) e della società civile (gratuità e partecipazione) hanno contaminato l’ambito dei servizi alla persona portando alla creazione di forme ibride di produzione e utilizzo di tali servizi, che parte rilevante hanno nel determinare la qualità della nostra vita.

Per comprendere appieno lo stato di fatto, occorre brevemente ripercorrere l’evoluzione che l’approccio alla produzione e gestione dei servizi ha subito negli ultimi decenni. La matrice originaria può essere individuata nel cosiddetto “welfarismo”, un approccio che scaturisce nel secondo dopoguerra informato dalla primaria necessità di garantire un accesso universalistico al welfare, indipendentemente dalle differenti realtà sociali e geografiche. La conseguenza primaria di tale impostazione è stata la costruzione di un modello centralistico e fortemente gerarchico, capace sì di garantire un accesso ampio, ma a servizi standardizzati e indifferenziati, nel cui processo di produzione e valutazione, nullo o del tutto marginale risulta il ruolo dell’utenza. Il passo successivo è quello che va sotto la definizione di “professionalismo”. L’elemento determinante in questo caso, è il ruolo dei professionisti, medici, assistenti sociali, psicologi, operatori in genere, sul lato dell’offerta. In questo approccio si tende a considerare la qualità del servizio erogato e la qualità del lavoro esercitato come dei sinonimi. In realtà, sappiamo bene che tali servizi emergono come conseguenza di un’interazione stretta tra produttori diretti ed utenti, che diventano in questo modo co-produttori (pro-sumer) di un bene che ha fortissime componenti relazionali.

Se da una parte il “professionalismo” pone l’accento sull’importanza della competenza tecnica, dell’attenzione alla qualità, della riduzione della distanza con l’utenza, dall’altra però, si limita ad una valutazione di appropriatezza esclusivamente tecnica favorendo quello che alcuni hanno definito un “egocentrismo di categoria” da parte dei professionisti che lascia ridotti spazi di scelta agli utenti. Per superare questi limiti si è da più parti suggerito l’implementazione di elementi tipici della logica di mercato nelle varie architetture di welfare in un approccio definito “consumerismo”. In particolare tali elementi sarebbero principalmente la possibilità di scelta e di uscita dal rapporto con un determinato fornitore (exit) e l’esistenza di una pluralità di fornitori in concorrenza tra loro. Questi due elementi dovrebbero, nelle intenzioni, favorire l’incremento qualitativo dei servizi offerti e l’adeguatezza degli stessi ai bisogni personalizzati degli utenti. Se in linea di principio l’attribuzione di potere di mercato sul lato della domanda può sicuramente essere considerata una finalità positiva, è vero anche che essa va incontro a problemi di non poco conto; due su tutti: la presenza di asimmetrie informative e il conseguente rischio di azzardo morale e il cosiddetto “problema dell’inversione”.

Il problema informativo nasce quando due soggetti, parti di una transazione, possiedono livelli differenti d’informazione, relativamente a comportamenti o a qualità del bene o del servizio oggetto della transazione. Un venditore di auto usate possiede più informazioni circa la qualità delle auto rispetto a un potenziale acquirente e un lavoratore possiede più informazioni circa la qualità del lavoro svolto, rispetto al suo stesso datore di lavoro. In tutte queste situazioni si verificano problemi nel funzionamento della logica del mercato che porta o al fallimento del mercato stesso – gli scambi non si verificano o si verificano ad un livello sub-ottimale – o a forti inefficienze legate a comportamenti opportunistici. Tali problemi sono particolarmente acuti nel caso dei servizi di welfare. Si pensi all’opacità informativa che caratterizza la relazione tra un asilo e i genitori dei bambini che frequentano quell’asilo, o ancora tra i familiari di un anziano non autosufficiente e gli operatori della residenza dove egli passa la giornata o della quale si trova permanentemente ospite.

Una volta chiusa la porta alle spalle, i familiari potranno verificare la qualità del servizio che i loro cari stanno ricevendo solo in maniera assolutamente indiretta e imperfetta. Questo fatto lascia spazio ad azioni discrezionali, opportunistiche e in definitiva al rischio dell’abbassamento qualitativo del servizio stesso. Si capisce bene che né la possibilità di scelta, né la concorrenza sul lato dell’offerta che caratterizzano il “consumerismo”, possono, in presenza di asimmetrie informative, assicurare un livello qualitativo elevato e una rispondenza ai bisogni dell’utente in grado di garantire un adeguato livello di soddisfazione. Ai problemi informativi poi si aggiungono quelli derivanti dal “fenomeno dell’inversione”. In breve questo fenomeno attiene all’utilizzo dell’opzione “exit” – cioè alla possibilità di interrompere, di uscire, appunto, da un rapporto di fornitura di un servizio nel caso di insoddisfazione da parte dell’utente, e di rivolgersi ad un altro fornitore. Le ragioni di insoddisfazione possono essere svariate, ma consideriamone per semplicità due: un incremento del prezzo a parità di qualità e una riduzione della qualità a parità di prezzo. Le reazioni ai due scenari sono logicamente analoghe, alcuni degli utenti di quel dato fornitore, insoddisfatti, si sposteranno verso altri fornitori, e questo tenderà ad attivare una pressione verso il primo fornitore che lo porterà a mantenere basso il prezzo e/o alta la qualità, per quanto possibile.

Il problema dell’inversione nasce dal fatto che mentre nel caso della competizione sul prezzo, i primi soggetti ad esercitare l’opzione exit saranno quelli con il prezzo di riserva più basso, cioè quelli che attribuiscono al bene il valore più basso, nel caso di competizione di qualità, i primi ad uscire saranno quelli con la qualità di riserva più alta, vale a dire coloro che sono più sensibili alla qualità o anche coloro che hanno maggiore bisogno, per una loro condizione di grave disagio, per esempio, di un servizio di qualità elevata. La logica del mercato cioè spinge all’utilizzo dell’exit, in caso di competizione sulla qualità, proprio quei soggetti più sensibili che maggiori danni avranno da una interruzione frequente del servizio ed una ricerca ripetuta di alternative migliori.

Questi due aspetti, il “problema dell’inversione” e l’azzardo morale legato all’asimmetria informativa, rendono l’attribuzione di potere di mercato agli utenti dei sistemi di welfare (scelta più concorrenza), in definitiva un’arma spuntata.

Attivare un sistema di offerta di servizi in regime di concorrenza e fornire agli utenti, per esempio attraverso un meccanismo di voucher, la possibilità di scelta sul fornitore cui rivolgersi, non avrà nessun effetto né sulla qualità media del servizio, né sulla soddisfazione degli utenti fin quando il problema informativo non verrà risolto, cioè fintantoché l’utente non potrà avere informazioni precise sulla qualità del servizio che sta per ricevere, prima di averlo “acquistato” e non solo dopo e oltretutto in maniera imperfetta. Come possiamo sapere prima di entrare in relazione con quel dato fornitore, sia esso un asilo, una residenza sanitaria assistita, un educatore, un centro per l’impiego, un centro diurno, una ludoteca, etc. etc., la qualità del servizio che questi ci venderanno? Chi può fornire tali informazioni? Un controllo e ad una raccolta centralizzati e capillari da pare dell’autorità pubblica implicherebbero costi probabilmente insostenibili per enti locali ed amministrazioni, già afflitte da cronici problemi di budget e non farebbe altro che spostare il problema dell’azzardo morale ad un successivo livello: chi controllerebbe infatti i controllori?

Da un punto di vista teorico il cuore del problema riguarda l’allineamento degli interessi di chi usufruisce di un servizio e di chi tale servizio lo offre. Attraverso quali meccanismi possiamo, in altre parole, produrre affidabilità, cioè indurre i fornitori ad agire nell’interesse dell’utente anche quando questo significa incorrere magari in maggiori costi? E come possiamo, alla luce di questa affidabilità costantemente messa alla prova, generare fiducia negli utenti?

Il concetto chiave a riguardo è quello di “reputazione”. Il problema informativo e quello fiduciario si possono risolvere nel momento in cui l’incontro tra domanda e offerta di servizi avviene in un ambiente nel quale esiste per i fornitori un incentivo a formarsi una reputazione pubblica. Per formarsi una tale reputazione occorre investire in qualità e soddisfare al meglio i bisogni degli utenti; questo conviene solo se tale investimento che comporta necessariamente minori guadagni immediati, è in grado di generare un ritorno nei termini di maggiori guadagni nel medio-lungo periodo. Questo è possibile solo se a fronte di un investimento sulla qualità e alti livelli qualitativi il fornitore riesce ad attirare un numero crescente di utenti. Come? Attraverso l’informazione che in maniera decentralizzata e diretta possono fornire gli utenti stessi agli altri potenziali utenti.

L’idea di fondo è quella di inserire domanda e offerta di servizi all’interno di un mercato reputazionale, sul modello di quelli sviluppati in altri sistemi caratterizzati da problemi informativi similari, come nel caso di e-bay, amazon, trip advisor, etc. Sistemi nei quali coloro che hanno acquistato certi beni o hanno usufruito o usufruiscono di determinati servizi, possono dare dei feedback sulla qualità dei servizi stessi. Tali feedback essendo pubblicamente osservabili, veicolano sia ai fornitori che ai potenziali utenti un segnali di gradimento e qualità, in virtù del quale, i produttori potranno decidere se aumentare la qualità per attirare più utenti, e gli utenti quale produttore scegliere per cercare di ottenere il servizio qualitativamente migliore.

Questo meccanismo è in grado di creare gli incentivi necessari affinché i produttori trovino conveniente investire in reputazione attraverso un incremento o anche solo il mantenimento di livelli qualitativi elevati. Numerosi studi hanno messo in luce gli effetti positivi di questi mercati reputazionali che si fondano sulla disponibilità di informazioni affidabili, pubbliche e dirette. I meccanismi di feedback sfruttano le possibilità di comunicazione di internet, per dar vita ad una rete di passaparola su larga scala. Questi meccanismi eserciteranno nei prossimi anni, man mano che il costo per la raccolta e la diffusione delle informazioni si abbasserà, un effetto particolarmente profondo sulle organizzazioni in ogni ambito di attività ma in particolare per quanto riguarda la customer acquisition and retention, e la quality assurance.

Negli anni gli indicatori della qualità basati sulle misure di soddisfazione degli utenti o dei loro familiari sono stati criticati essenzialmente a causa dei costi connessi alla raccolta delle informazioni stesse.

Nei mercati reputazionali fondati sulla raccolta decentralizzata di informazioni nella quale ogni utente attivo fornisce un feedback diretto, al contrario, i costi a carico dell’ente locale e delle amministrazioni sono ridotti in maniera rilevante. Il loro ruolo si riduce a quello di coordinamento e gestione della piattaforma attraverso la quale le informazioni vengono scambiate e di garanzia circa l’affidabilità delle informazioni stesse attraverso un meccanismo, che pur garantendo l’anonimato degli autori dei feedback, ne certifichi l’effettivo status di utente ed eventualmente, in ultima istanza, anche l’identità.

In conclusione la creazione di piattaforme pubbliche per la gestione di mercati reputazione dei servizi di welfare possono svolgere tre funzioni principali:
  1. Generazione di fiducia: si incoraggiano comportamenti appropriati e si scoraggiano comportamenti inappropriati incrementando la qualità complessiva del servizio;
  2. Filtro: la qualità del servizio, certificata dagli utenti stessi, diventa criterio principale nella ricerca dei fornitori più adatti o rispondenti alle esigenze del nuovo utente potenziale;
  3. Selezione: in presenza di bisogni specifici e della necessità di risposte personalizzate, il livello di informazioni generiche e standardizzate che i sistemi centralizzati tradizionali possono fornire non sono più sufficienti. Meccanismi decentralizzati che fanno riferimento alla valutazione di altri utenti, possono invece fornire quel dettaglio necessario a un processo di selezione del fornitore che sia efficace alla luce dello specifico bisogno.
Nel dettaglio, l’implementazione di un mercato reputazionale dei servizi di welfare, dovrà tenere conto di una serie di fattori di dettaglio:
  • l’individuazione di una o più specifiche aree di intervento sociale nella quale attivare il meccanismo di valutazione degli utenti considerando sia il meccanismo di finanziamento che il processo di scelta da parte dell’utente;
  • il tipo di attività coinvolte;
  • i soggetti partecipanti;
  • il funzionamento dello specifico meccanismo;
  • i rischi, le problematiche e le relative soluzioni.
Sarà necessario poi individuare:
  • quali azioni considerare (cosa va incoraggiato e scoraggiato)
  • come ottenere informazioni sulle azioni e da chi
  • come aggregare e visualizzare le informazioni reputazionali
  • come gestire il rischio di manipolazione o di reporting bias, vale a dire dell’utilizzo strategico dell’opportunità del feedback e il fatto che generalmente il feedback stesso viene fornito da coloro che sono molto soddisfatti o molto poco soddisfatti dal servizio stesso.
Un ultimo passaggio critico riguarda la considerazione di tre tipologie di sfide che l’inserimento dei meccanismi reputazionali, così come di qualunque altra forma avanzata di partecipazione dell’utenza, pone all’intero sistema. Queste sfide sono di natura:
  • normativa: relative in particolare all’attribuzione ai differenti soggetti delle diverse responsabilità;
  • di carattere sociale: legate alla necessaria maturazione ed evoluzione del ruolo dell’utenza, così come all’interconnessione stretta e organica tra supporto informale (familiare) e formale (operatore professionale);
  • di carattere economico: con riferimento al tipo di organizzazione produttiva capace di rispondere adeguatamente ai bisogni di servizi integrando allo stesso tempo interessi di soggetti differenti.
Siamo convinti che attraverso l’utilizzo di mercati reputazionali appositamente progettati si possano risolvere o quantomeno mitigare i problemi legati alle asimmetrie informative e all’inversione che affliggono tutti i sistemi di offerta di servizi di welfare, contribuendo in questo modo all’elevamento qualitativo del servizio, ad una maggiore adeguatezza dello stesso e in definitiva ad incremento del benessere generale dei cittadini.

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