Il 2017 è l’anno della sottoscrizione del Pilastro Europeo dei diritti sociali, primo passo delle istituzioni per la costruzione di una cittadinanza europea, basata non solo sul mercato; è l’anno in cui sono stati definitivamente approvati i decreti attuativi della Riforma del Terzo Settore che riconosce ai diversi soggetti del terzo settore italiano un ruolo decisivo nella costruzione di un modello di sviluppo sociale ed economico inclusivo e sostenibile. (Scopri di più su: WelForum.it)
Il Forum Nazionale del Terzo settore, che festeggia il proprio ventennale, ha proposto un diverso sguardo sul Terzo settore attraverso una rilevazione mira a ricollocare, riconcettualizzare le attività delle organizzazioni aderenti – una parte significativa del Terzo settore italiano – secondo un diverso sguardo: verificando quindi in che misura tanto l’operatività attuale quanto le strategie future siano orientate a contribuire al conseguimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile approvati dall’ONU nel 2015 e che tracciano un’Agenda sino al 2030.
  • Tavola 1 – Dati di sintesi del Forum Nazionale del Terzo settore (31/12/2016)
Il Rapporto, presentato il 15 dicembre scorso, si può leggere come un primo tentativo di dare volto e consistenza ai numeri del Forum, rispondendo alla domanda “qual è il contributo del Terzo settore italiano alle sfide di cambiamento sociale e di prosperità economica per le persone e le comunità?”. A tal fine sono stati raccolti i dati di 51 degli 81 aderenti e sono state individuate oltre 200 buone prassi che mostrano nella concretezza in che modo le organizzazioni di Terzo settore contribuiscono al conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, elencati in Tavola 3).


Alcuni dati, in sintesi

1. Una rete è impegnata mediamente in ben 9 SDGs:
  • quelle che operano su 1 solo SDGs sono solo 9, il 18%
  • più del 50% degli enti è impegnato a conseguire ben 9 SDGs
2. Tutti gli SDGs vedono operative almeno una o più reti nazionali:
  • si va da un minimo di 15 enti, il 29% per l’SDGs 6 (acqua pulita e servizi igienico-sanitari), ad un massimo di 42 enti, l’82% per l’SDGs 3 (salute e benessere)
  • la realtà è quindi assai diversa rispetto all’idea, ancora molto diffusa, secondo la quale gli enti di Terzo settore si occupano di welfare e poco più.
3. Tutte le attività svolte dagli enti del Terzo settore censite da ISTAT sono riconducibili agli SDGs: pertanto tutte le risorse, umane ed economiche, riportate nella Tavola 1, possono a buon titolo essere annoverate attive nel perseguire gli Obiettivi di Sviluppo

4. Dalle oltre 200 esperienze segnalate va rilevato che:

(A) praticamente tutte sono svolte in Partnership: un aspetto che colpisce in modo rilevante è che generalmente le attività sono svolte dall’ente di Terzo settore attraverso una serie di collaborazioni. Le azioni testimoniate sono spesso frutto di un lavoro che coinvolge diversi altri soggetti, ai più svariati livelli e nei ruoli e fasi più differenti. Lo stimolo fornito da un ente di Terzo settore mobilita ed aggrega tante altre energie: altre realtà profit e non profit, Pubbliche Amministrazioni (dal livello locale a quello internazionale), Università, aziende, famiglie e singoli cittadini, fino alle associazioni presenti nei paesi terzi. Si tratta di partnership che disegnano una diffusa rete di rapporti e relazioni, sempre pronta a riattivarsi e a rinnovarsi, tese a realizzare tanti progetti e a costruire e rinsaldare la coesione sociale;

(B) agiscono in oltre 60 Stati: gli enti di Terzo settore vivono un percorso di globalizzazione.
  • Tavola 2 – Localizzazione delle 205 esperienze raccolte
(C) sono alquanto diversificate, intersecando diverse direttrici:
  1. le dimensioni degli enti: le testimonianze riguardano grandi reti, composte a loro volta da decine di migliaia di organizzazioni territoriali e centinaia di migliaia di associati, così come realtà di piccole o piccolissime dimensioni;
  2. i luoghi di riferimento: si tratta di enti insediati nelle grandi città e nelle loro periferie, come pure di realtà presenti nei tanti territori provinciali, nelle campagne, nelle valli;
  3. i luoghi d’azione: per molti enti l’attività è svolta nei luoghi di riferimento dove traggono la loro fattiva forza, in alcuni casi a livello di quartiere cittadino o di comunità montana; in altri casi, sul versante opposto, sono state segnalate campagne di portata nazionale e internazionali o attività svolte letteralmente ai quattro angoli del pianeta toccando località in ogni continente (ad eccezione dell’Oceania e dell’Antartide);
  4. i destinatari: le azioni segnalate possono riguardare poche decine di persone (o, in alcuni casi anche meno, come per i servizi a persone affette da malattie rare) o rivolgersi a tutta la cittadinanza laddove si opera, ad esempio, a tutela dei diritti (salute, istruzione, cultura, consumo, etc.), come ancora, quando l’azione riguarda beni comuni quali l’ambiente, il paesaggio, la cultura, etc., il respiro dell’attività diventa universale abbracciando tutti, anche le generazioni future.
  5. le risorse in campo: le testimonianze raccolte riportano attività massimamente differenziate sia in termini di persone coinvolte (volontari o personale retribuito) sia di risorse economiche (si va da attività a costo zero ad altre che vedono la mobilitazione di centinaia di milioni di euro).
  • Tavola 3 – Numero di enti che risultano attivi per ogni SDGs (risposta multipla)
  • Tavola 4 – Quali SDGs sono perseguiti da una organizzazione? (risposta multipla)
Se rimane rilevante l’attenzione delle organizzazioni al tema del benessere (SDGs n. 3), indicato da ben 42 enti su 51 (oltre l’80% delle reti intervistate), non è certo l’unico ambito perseguito. Ve ne sono infatti altri che vedono altrettanti enti impegnati, come l’attenzione alla sostenibilità, la promozione della pace e della giustizia (SDGs n. 16).
  • Tavola 5 – Dati relativi alle 205 schede di attività raccolte: le risorse complessivamente mobilitate

Conclusioni

Dalla ricerca si può desumere che:

1. gli enti di Terzo settore svolgono una funzione sociale cruciale: creano condizioni e opportunità di partecipazione attiva per i cittadini volte a favorire processi inclusivi attraverso le più diverse modalità. Sviluppano inoltre, aggregandosi in reti, relazioni non solo infra-organizzative ma anche con soggetti esterni (es. altri Enti del Terzo settore, Istituzioni pubbliche, Università, imprese profit). Questa fitta trama di rapporti genera i primi ‘prodotti’ degli Enti del Terzo settore: la coesione e il capitale sociale, elementi imprescindibili che stanno a monte di qualsiasi modello di sviluppo, a maggior ragione di uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

2. con le loro attività, gli enti di Terzo settore creano quello che gli economisti chiamano “esternalità positive”. Pertanto oltre ad assolvere a funzioni di denuncia ed advocacy, gli enti di Terzo settore assolvono ad un altro importante compito:
  • rigenerare e ricostituire il capitale sociale (che va a sommarsi a quello prodotto tramite la partecipazione attiva di cui più sopra);
  • incalzare le iniziative imprenditoriali “profit” o promuoverne direttamente (imprese sociali) che, responsabilmente, internalizzano i costi sociali, facendosi anche carico delle esigenze della comunità dove operano.
3. l’orizzonte degli enti del Terzo settore è quello di contribuire a creare una società inclusiva. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) disegnano un modello di sviluppo includente, dove molti principi e valori si sovrappongono a quelli perseguiti dagli enti del Terzo settore.

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