Si ringrazia Emilio Emmolo per la collaborazione nella stesura dell’articolo. (Scopri di più su: WelForum.it)
Accanto alla Riforma del Terzo settore, anche il Codice degli appalti contiene previsioni che possono potenzialmente avere effetti molto significativi nei rapporti tra enti pubblici e Enti di Terzo settore. In questo articolo si intende in particolare approfondire in che misura la modifica della disciplina relativa agli “appalti riservati” dell’art. 112 del d.lgs. 50/2016 (il “Codice degli appalti”, appunto; vedi anche la deliberazione ANAC n. 207 del 1 marzo 2017) introduca strumenti nuovi utili all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (il tema è stato trattato in questo articolo con riferimento alle previsioni introdotte dalla Riforma del Terzo settore). La domanda che ci si pone è quindi: quali sono le azioni che l’art. 112 consente e che con i precedenti strumenti (la vecchia formulazione degli appalti riservati dell’art. 52 del d.lgs. 163/2006 e l’art. 5 della legge 381/1991) non erano consentite?

A questa domanda si darà risposta confrontando l’art. 112 del d.lgs. 50/2016 con le seguenti normative, che hanno rappresentato sino ad ora gli strumenti a disposizione delle pubbliche amministrazioni per usare la leva del public procurement per conseguire l’occupazione di persone svantaggiate:
  • 5 della legge 381/1991, comma 1, che dà agli enti pubblici la possibilità di affidare, in deroga alla normativa sugli appalti, forniture di beni e servizi (es. la pulizia di un immobile comunale) il cui valore sia inferiore alla soglia comunitaria (oggi pari, nella gran parte dei casi oggetto di affidamento, a 209 mila euro) a cooperative sociali affinché attraverso questa commessa inseriscano al lavoro persone svantaggiate;
  • 5 della legge 381/1991, comma 4; a seguito di un contezioso comunitario per violazione del principio di concorrenza, nel 1996 il legislatore ha da una parte ridotto l’ambito di applicazione del comma 1 (vedi punto precedente) agli affidamenti sotto soglia, dall’altra ha introdotto la possibilità che, sopra soglia, i bandi possano prevedere una “condizione di esecuzione” che impegna l’aggiudicatario – qualsiasi impresa, senza restrizioni legate alla forma giuridica – ad assumere una quota di lavoratori svantaggiati;
  • la precedente formulazione degli appalti riservati, contenuta nell’ 52 del d.lgs. 163/2006 (il precedente Codice degli appalti), modificata dall’art. 112.
Preliminarmente va segnato che la prima di queste tre disposizioni ha conosciuto un utilizzo diffuso – seppure oggi meno frequente di un tempo – in questi oltre 25 anni di vigenza, mentre le altre due conoscono applicazioni solo sporadiche.


Quali lavoratori svantaggiati

L’art. 112 del d.lgs. 50/2016 prevede l’inserimento dei lavoratori elencati all’art. 4 della 381/1991: persone con disabilità, con problemi di salute mentale, di dipendenza, detenuti, minori a rischio di esclusione sociale e integra questo elenco con le persone con disabilità di cui all’art. 1 della legge 68/1999, per quanto nella maggioranza dei casi esse già ricadano entro le categorie della 381/1991; rispetto alla previgente formulazione degli appalti riservati, che prevedeva solo l’inserimento di lavoratori con disabilità (peraltro non nella misura del 30%, ma del 51%, andando a delineare imprese con caratteristiche anomale difficilmente individuabili sul mercato, anche comprendendo le cooperative sociali), offre il vantaggio di essere coerente con l’assetto tipico delle imprese sociali italiane e comunque di consentire un mix di condizioni di svantaggio che consente di bilanciare la produttività e le esigenze di inserimento lavorativo; la limitatezza delle categorie inseribili e la non corrispondenza con l’assetto reale delle imprese sociali italiane, quasi tutte cooperative sociali, sono stati i motivi – ora superati – della sostanziale mancata applicazione degli appalti riservati nella formulazione del 2006.

Pur con i dubbi generati da un utilizzo un po’ incerto della lingua italiana dell’art. 112, si può affermare (è questo anche l’orientamento dell’ANAC) che invece le categorie di svantaggio più ampie (i disoccupati di lungo periodo, i disoccupati anziani, i giovani in cerca di prima occupazione, i rifugiati ecc.: vedi voci 1, 2, 3 in questo precedente articolo, paragrafo “Chi sono i lavoratori svantaggiati”) non siano computabili ai fini del raggiungimento del 30% di svantaggiati negli appalti riservati.


Sopra soglia

Diversamente dall’art. 5 della 381/1991 comma 1, gli appalti riservati possono oggi essere praticati anche sopra la soglia comunitaria di 209 mila euro; ciò è vero anche per l’art. 5, comma 4, della 381/1991, che però, al di là del fatto di essere stato poco praticato, porta co sé alcuni limiti che saranno meglio specificati in seguito. Invece, il più noto e applicato art. 5 comma 1 della 381/1991 non può essere applicato sopra la soglia comunitaria perché il fatto di limitare la partecipazione alle sole cooperative sociali è stato ritenuto una distorsione del principio di libera concorrenza.


A quali affidamenti si applica

L’art. 5 della legge 381/1991 ha carattere derogatorio (“in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione…”) e dunque secondo la giurisprudenza prevalente esso non può essere utilizzato al di fuori dell’ambito di applicazione da esso esplicitamente citato (“la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi”). Gli appalti riservati, invece, sia nella precedente formulazione del d.lgs. 163/2006 che nell’attuale dell’art. 112, non hanno limiti di questo tipo; quindi nulla osta ad utilizzarli nell’ambito dei lavori, ad esempio per inserire persone svantaggiate nella manutenzione straordinaria di un edificio pubblico o di un giardino pubblico.

Inoltre la disciplina degli appalti riservati nella nuova formulazione dell’art. 112 può senz’altro essere applicata anche alle concessioni (quindi ad esempio per affidare la gestione di un parcheggio o del bar annesso ad uno spazio pubblico, cioè dove l’oggetto del contratto non è un corrispettivo per un servizio, ma la possibilità di sfruttare un’opportunità di guadagno), mentre è fortemente dubbio che ciò possa essere realizzato attraverso gli altri strumenti qui considerati.

Ancora, vi sono motivi per ritenere che gli appalti riservati possano superare le censure introdotte da alcune sentenze amministrative rispetto all’affidamento attraverso la 381/1991 di servizi pubblici locali (es. raccolta rifiuti o trasporti locali).


Quali imprese possono partecipare

L’art. 112 del d.lgs. 50/2016 prevede due possibili modalità di applicazione: la prima mirata alle cooperative sociali di tipo B e alle imprese sociali il cui oggetto sia l’inserimento di lavoratori svantaggiati, la seconda aperta invece a qualsiasi impresa inserisca al lavoro grazie alla commessa almeno il 30% di lavoratori svantaggiati. L’art. 5 comma 1 della 381/1991 riguarda le sole cooperative sociali, cosa che da una parte ha permesso una chiara caratterizzazione di questo tipo di affidamenti, ma dall’altra ne ha confinato l’applicazione a materie limitate e importi sotto soglia, spazi al di fuori dei quali tale riserva è stata considerata lesiva dei diritti di partecipazione di altre imprese. Il comma 4 dello stesso articolo è invece aperto a tutte le imprese, così come la precedente formulazione degli appalti riservati.


Come si configura l’inserimento lavorativo

L’art. 112 del d.lgs. 50/2016 prevede la possibilità di configurare l’inserimento lavorativo sia come “riserva di partecipazione” (possono quindi partecipare alla gara solo le imprese la cui finalità principale sia l’inserimento lavorativo) sia come “condizione di esecuzione”, formulazione che prevede che chiunque possa partecipare, ma l’aggiudicatario debba poi assumere la quota di persone svantaggiate richieste. Il meccanismo dell’art. 5, comma 1 della 381/1991 era in sostanza una riserva di partecipazione esplicitamente “finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate”, mentre l’art. 5, comma 4 della stessa legge era necessariamente configurato come mera condizione di esecuzione, una sorta di “onere” cui l’impresa si impegna ad adempiere ex post in caso di aggiudicazione. Per molti anni la giurisprudenza prevalente ha previsto che qualora l’inserimento lavorativo fosse configurato come “condizione di esecuzione” non fosse possibile tenere conto, in fase di valutazione delle offerte, dell’adeguatezza del progetto di inserimento; successivi pronunciamenti hanno teso poi ad ammettere invece questa possibilità e quindi a sfumare, nella pratica la differenza tra procedure finalizzate all’inserimento lavorativo e procedure in ci è esso è citato come condizione di esecuzione, ma è indubbio che il configurare l’inserimento lavorativo come condizione di esecuzione fa riferimento da un punto di vista culturale ad una impostazione meno attenta alle modalità di inserimento e alle professionalità dei soggetti che inseriscono.

In conclusione

In conclusione l’art. 112 del d.lgs. 50/2006 ha, almeno dal punto di vista della formulazione giuridica, tutte le carte in regola per aprire una nuova fase in cui nel public procurement possa essere inserita una leva utile a favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate e, forse – se sarà in grado di creare un nuovo standard di competizione – ad orientare l’organizzazione delle imprese in senso inclusivo. Non ha le limitazioni settoriali della 381/1991 e si può applicare ad affidamenti di beni, servizi, lavori, servizi pubblici locali, concessioni; non ha la limitazione ad una categoria molto specifica come la precedente formulazione degli appalti riservati; la sua applicazione può interessare tutte le imprese – e dunque non porta con sé il sospetto di favorire un soggetto specifico – ma può anche essere mirata, laddove sia utile per le caratteristiche specifiche del programma di inserimento che si intende supportare, alle imprese “il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate”; la sua impostazione non è confinata alle “condizioni di esecuzione” con la limitatezza che ciò può comportare.

Di qui in avanti la parola passa ai soggetti pubblici che possono applicarla; il legislatore ha dato loro in mano uno strumento flessibile e adattabile, ma la sensibilità politica che porta a ritenere il public procurement come strumento per affrontare un problema sociale è una scelta che richiede consapevolezza e lungimiranza; quella che, in un’epoca non vicinissima, ha fatto sì che l’art. 5 della 381/1991 diventasse il pilastro di una politica di integrazione non assistenzialistica che molto bene ha fatto al nostro Paese; quella che, invece, è poi mancata a tanti enti pubblici più interessati a briciole di risparmio sugli affidamenti – spesso ripagate da una qualità disastrosa – che ad affrontare in termini complessivi i bisogni del proprio territorio.

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