Terra, casa, lavoro: la dottrina sociale di Papa Francesco. Un libro presenta i discorsi del Pontefice con i Movimenti popolari e racconta la “svolta” di quegli incontri. (Scopri di più su:
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Nonostante i tentativi per ridurli a eventi «folcloristici» o usarli per dipingere Bergoglio come un «bolscevico in tonaca bianca», i tre discorsi rivolti da Francesco ai Movimenti popolari negli incontri a Roma nel 2014, Santa Cruz nel 2015, e ancora Roma nel 2016 - ora raccolti nel libro dal titolo “Terra, casa, lavoro” - davvero aiutano a capire la visione post occidentale e mondialista del Pontefice. Con una sottolineatura doverosa: Bergoglio non è contro il mercato. Lo critica se non produce occupazione e non riduce le diseguaglianze. Una posizione già chiara negli strali contro l’«economia dell’esclusione e dell’inequità» presenti nella Evangelii Gaudium. Nei fatti, l’obiettivo di Francesco - detto con La Bella - è di «mettere fine allo storico divorzio tra etica ed economia, riconoscendo l’immoralità dell’attività economica quando questa si riduce unicamente all’idea che “business is business”». E forse, vorrebbe fare ancor di più. Per questo non ha esitato a schierarsi accanto ai poveri meno rassegnati ponendoli con lui sotto i riflettori del mondo, esortandoli ad entrare in politica per cambiare le sorti di un «mondo assurdo» minato dalla mancata ridistribuzione economica e dall’ingiusta ripartizione delle risorse.
Letti insieme i tre testi bergogliani qui presentati (sui quali i media non hanno molto insistito), si avvicinano ad una sorta di manifesto tipo Rerum Novarum del XXI secolo, con più d’una differenza. Una in particolare: sono forse più i Movimenti oggi a sentirsi rappresentati da Papa Francesco (più che viceversa), spingendolo a svolte più radicali nella Dottrina sociale cattolica e, tra l’altro, senza fare della fede un requisito per partecipare a questi tipi di aggregazioni e incontri. In realtà, il Papa si propone come collettore (non rappresentante) di questi movimenti che operano da anni in diversi contesti, tantomeno li vuole “confessionalizzare”, ma accompagnare nei tratti di cammino dove crede di dover far sentire la sua presenza. Certo, dopo il balzo in avanti da lui voluto, le relazioni tra Chiesa e movimenti sociali non stanno in fondo all’agenda romana. Inoltre è stato del tutto superato ogni paradigma che sanciva la naturalità della proprietà privata: «L’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è semplice filantropia. […] È un comandamento, perché la destinazione universale dei beni non è un ornamento discorsivo della Dottrina sociale della Chiesa, ma una realtà antecedente alla proprietà privata». Così Papa Francesco nel secondo dei tre discorsi imbevuti del suo “pensiero politico”, retroterra compreso - quello che affonda nella teologia del popolo - dove il popolo viene identificato come un unico soggetto collettivo, che si struttura da una cultura comune, condivide lo stesso disegno, preferendo la «mobilitazione popolare» alla «lotta di classe».
Qualcuno ricorderà il primo incontro del 2014, con precari, famiglie senza tetto, contadini senza terra, lavavetri, rigattieri, riuniti a discutere di diritti per la costruzione di un programma sociale planetario e tutto con la regia vaticana (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e Pontificia Accademia delle Science Sociali), con l’impegno del Papa e di figure come il cardinale Peter Appiah Turkson, monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, l’avvocato Juan Grabois, guida della Confederación de Trabajadores de la Economía popular. In quell’occasione il Papa approfondì il significato dell’opzione preferenziale per i poveri, dilatandola, oltre la solidarietà, al loro riconoscimento come soggetti sociali e politici, operando una rivisitazione della Dottrina sociale della Chiesa. Il riferimento era alla piattaforma lanciata dal primo Encuentro Mundial de Movimientos Populares (EMMP): un “progetto ponte” fondato su quelle che Bergoglio ha definito le «3 T: Tierra, Techo, Trabajo».
Nel luglio dell’anno dopo in Bolivia i partecipanti da quaranta Paesi -con parecchi vescovi tra i relatori delle plenarie - proposero di passare alla traduzione concreta dei principi e nel 2016 – dal 2 al 5 novembre in Vaticano - si individuarono traguardi precisi: lo stop alla privatizzazione dell’acqua; la difesa della sovranità alimentare; il salario sociale universale; l’inviolabilità della casa familiare; la creazione di una rete di mobilitazione contro i casi d’ingiustizia e persecuzione in qualsiasi paese del mondo. Obiettivi irraggiungibili? Destinati a fallire perché ancora troppo generici o la loro difficile declinazione politica specie negli States di Trump e in Europa?
A ben vedere, proprio in questo terzo incontro, svoltosi tra il Pontificio Collegio Mater Ecclesiae e l’Aula Paolo VI si è entrati nel vivo di situazioni aperte. Ad esempio la coordinatrice del Sindicato Único dos Trabalhadores em Educação de Minas Gerais, Beatriz Cerqueira, ha portato l’esempio del Brasile dove l’ultima crisi avrebbe confermato che il capitalismo non ha bisogno della democrazia ogni qualvolta questa non si pone al suo servizio. Parole simili a quelle di don Luigi Ciotti dell’associazione “Libera” e dell’attivista indiana Vandana Shiva, che ha correlato la crisi democratica a quella ecologica. Altre riunioni hanno invece affrontato il dramma dei migranti (anche in correlazione agli effetti di lunga durata del colonialismo); le battaglie in corso dei Sioux (specie in Nord Dakota contro l’oleodotto destinato ad attraversarne la riserva); le migrazioni forzate in Medio Oriente (con riferimento specifico alle vicende curda e palestinese), ecc. Insomma un allargamento dello spettro tematico e delle organizzazioni coinvolte (e con una maggiore partecipazione italiana), ma - osserva Santagata - «il vero salto di qualità è stato compiuto nella definizione del progetto dei Movimenti con la decisione di dare vita a reti su scala continentale».
Un progetto alto, ambizioso, non esente da rischi. Anzi. Secondo Santagata - che tra le sue fonti cita Vittorio Agnoletto- «nell’ultimo incontro in Vaticano si sono levate critiche nei confronti di tale proposta di strutturazione per reti che, a suo giudizio, rischia di dare vita a una serie di “scatole vuote” in concorrenza con l’organizzazione del Forum Sociale Mondiale (FSM)», mentre «una sostanziale convergenza si è registrata invece attorno al documento presentato alle autorità nazionali “a Papa Francesco, ai popoli e ai nostri paesi”…». Anche qui appelli abbastanza generici, accompagnati però - nero su bianco - da denunce circostanziate di situazioni geopolitiche specifiche, in una progressiva identificazione degli interventi da assumere.
Così, pur nell’estrema eterogeneità della piattaforma, la presenza di appelli mirati - dalla condanna dell’uso di veleni agricoli prodotti da varie multinazionali al sostegno alla campagna argentina dei lavoratori dell’economia informale per una legge che comprenda il salario sociale complementare, dalla configurazione di una rete di pressione sulle strutture governative e sindacali all’assunzione di un ruolo politico diretto e non solo di mediazione - sta dando adito ora a perplessità. Infatti se Papa Francesco ha già sottolineato due pericoli riguardanti i rapporti tra i movimenti e la politica («il rischio di lasciarsi incasellare e il rischio di lasciarsi corrompere»), la volontà di non farsi inquadrare sulla scena pubblica alza livelli di guardia circa quelle che sono organizzazioni decise a entrare «nella Politica con la maiuscola», pur senza assumere la forma dei partiti.
Una sfida alta. Forse la più alta e ancora sottovalutata lanciata dal terzo Encuentro Mundial de Movimientos Populares. Secondo Joao Pedro Stédile, leader del Movimento dei Senza terra del Brasile con il terzo discorso il Papa ha inteso valorizzare «un processo di articolazione a livello mondiale che possa condurre, più che a delineare programmi unitari, a sviluppare azioni e mobilitazioni che, a livello internazionale, affrontino realmente i problemi provocati dal capitalismo». La prossima tappa sarà a Caracas ma per la guerra civile l’incontro mondiale previsto questo ottobre slitta- almeno parrebbe - alla prossima primavera. Altre difficoltà potrebbero venire dalla stessa Chiesa dal momento che la scarsa presenza di vescovi e di rappresentanti delle istituzioni cattoliche e dei movimenti ecclesiali italiani è stata letta come un segnale di disagio nei confronti dell’operazione. Ci si chiede: a quale traguardo mira Francesco? Quale sarà l’approdo di quest’onda che dalle periferie del mondo si è riversata in Vaticano per defluire di nuovo, al momento, nelle periferie sottosviluppate?
Di certo Bergoglio ha deciso di impegnare l’organizzazione religiosa più strutturata del mondo e di coinvolgere le coscienze dei singoli credenti in un progetto che mira sicuramente a incidere in alcune vertenze: acqua pubblica, leggi sul reddito, difesa degli sfratti, ecc. Il «bolscevico in tonaca bianca» - come lo chiamano i detrattori - altro non vorrebbe che far cessare le condizioni infernali in cui vivono milioni di uomini senza futuro, abbattere quello che considera il vero terrorismo, ovvero la tirannia del denaro, che genera quelle che chiama le ragioni «sovrastrutturali» dei terrorismi religiosi ed inocula il germe della paura nelle società più sviluppate e ricche: «C’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo […] si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Ma nessun popolo, nessuna religione è terrorista!».
Sono tutti obiettivi su cui i Movimenti riuniti in Vaticano operano da tempo attraverso qualcosa come un centinaio di organizzazioni nazionale di circa una settantina di paesi. Tra loro i coordinamenti dei cartoneros e delle empresas recuperadas, il network della Via Campesina, che da sola connette 148 organizzazioni di contadini, “Libera”, Banca etica, “Noi siamo Chiesa”, gli “Indignados” spagnoli, la Gioventù operaia di Azione Cattolica spagnola, Ehne Bizkaia, il sindacato basco separatista, fino ad alcune sigle sindacali come la brasiliana Central Única dos Trabalhadores, l’United Steelworkers americana.
Tutti sognatori? Leggendo la ricostruzione di Santagata si ha conferma che il loro “network di partenza” possa essere identificato nel World Social Forum (il già citato FSM), nato nell’incontro mondiale tenutosi nel 2001 in Brasile, a Porto Alegre, riferimento dei movimenti antiglobalizzazione di tutto il mondo dai primi anni Duemila. Intervistato da Santagata, Vittorio Agnoletto, a lungo rappresentante italiano nel Consiglio internazionale del World Social Forum, ricorda qui un primo incontro tra Vaticano e Movimenti sociali il 17 maggio 2002, quando sarebbe stato invitato per discutere con la Caritas internazionale del futuro del “movimento dei movimenti” e questo proprio nel periodo in cui l’organizzazione iniziava a partecipare come osservatrice agli incontri del FSM.
Altri incontri si sarebbero tenuti, sempre in forma privata, in vista della preparazione del Forum Sociale Europeo di Firenze del 2002 e negli anni a seguire. Tuttavia, nonostante la presenza nell’Encuentro Mundial de Movimientos Populares di esponenti del Consiglio internazionale del World Social Forum , le due reti non sono sovrapponibili. A differenza del più radicale FSM, l’EMMP proponendosi obiettivi più concreti è stato pensato per settori specifici legati ai bisogni dei lavoratori impegnati in economie alternative nelle periferie colpite dal sottosviluppo. Inoltre, secondo Juan Grabois, nell’intervista che correda questo libro «il Forum Sociale Mondiale con il passare degli anni ha tradito la sua essenza per trasformarsi in una sequenza di rituali o di attività turistiche per militanti. Ong con programmi non sempre cristallini e ammantate di una falsa democraticità hanno finito per prendere il sopravvento…».
Registrato questo giudizio, non si può comunque ignorare che anche all’Incontro mondiale dei Movimenti popolari non vengono risparmiate altri tipi di critiche, specie da ambienti interni alla Chiesa: come il ricorso a scelte che implichino l’adozione di pratiche configurabili come reati in alcuni Stati o generatrici di conflitti, o la distanza dalle posizioni cattoliche su temi come l’aborto o i diritti degli omosessuali. «Contraddizioni», risponde qui Grabois a Santagata, che «non condizionano troppo i lavori degli Incontri, poiché essi sono incentrati su tematiche specifiche legate alla lotta per la Terra, la Casa e il Lavoro». Contraddizioni difficili da cancellare in quella Chiesa “incidentata” che Bergoglio preferisce a quella chiusa in sacrestia.
- “Terra, casa, lavoro” a cura di Alessandro Santagata, con prefazione di Gianni La Bella. In uscita il 5 ottobre con “Il manifesto”, poi in libreria con l’editore Ponte alle Grazie, pp. 176, euro 12.