Il nuovo quadro normativo, l’accumularsi di risorse dedicate, ma soprattutto la necessità di nuovi modelli di servizio e di business, rappresentano importanti sollecitazioni per l’impresa sociale; la propensione all’investimento costituisce una variabile cruciale per accompagnare l’evoluzione di un comparto imprenditoriale attraverso una fase molto delicata del suo sviluppo. La plenaria conclusiva della XV edizione del Workshop sull’impresa sociale (14-15 settembre 2017, Riva del Garda) è stata dedicata ad un dibattito con Felice Scalvini e Anna Fasano sul tema Far convergere e moltiplicare le risorse per lo sviluppo dell’impresa sociale. (Scopri di più su:
IrisNetwork.it)
Riproponiamo in particolare l’intervista ad Anna Fasano, vicepresidente di Banca Etica, condotta da Carlo Borzaga, presidente di Euricse.
In un periodo in cui le imprese sociali avranno sempre più bisogno di risorse finanziarie, ritiene che nel recente passato queste organizzazioni abbiano manifestato una particolare difficoltà nell’accesso alla finanza? Se si, è dipeso da fattori esterni (le istituzioni finanziarie non hanno capito le potenzialità dell’impresa sociale) o interni (le imprese sociali non sono state in grado di approcciare correttamente il mondo della finanza)?
Le risorse finanziare a livello globale sono in costante aumento. Non si può quindi parlare di una scarsità di finanza, semmai di una difficoltà di accesso alla finanza. A mio avviso, in questi anni, da un lato gli istituti bancari non sono sempre stati in grado di comprendere gli stimoli e le esigenze delle imprese sociali dotandosi di strumenti adeguati a sostegno di progetti meritevoli e con impatto socio-ambientale positivo; e a volte hanno faticato nell’accompagnare organizzazioni in difficoltà in un processo di inclusione finanziaria. D’altra parta, molte imprese sociali non sono state in grado di esplicitare in modo “organizzato” delle richieste che rispondessero ad un reale bisogno di finanza in ottica di sviluppo (per alcuni organizzazioni si è trattato piuttosto di un problema di sostenibilità, se non addirittura identitario). In qualche modo, nell’approcciarsi alla finanza, un nodo cruciale è la capacità “imprenditoriale” delle imprese sociali nel riconoscere innanzitutto i propri bisogni e avanzare una domanda strutturata.
Parliamo di strumenti finanziari. A suo avviso, quelli esistenti sono adeguati ed interessanti (e sono stati finora usati correttamente)? Se ne profilano di nuovi?
Premetto una considerazione generale. L’impresa sociale deve innanzitutto “riportare a casa” quel “mare” di risorse che potrebbero essere investite in attività ad impatto sociale, ma che ad oggi non lo sono, affinché le risorse delle nostre comunità ritornino a finanziare beni e servizi che fanno crescere le stesse comunità (ovviamente non necessariamente in un rapporto uno-a-uno o territorio-territorio). Per farlo, le imprese sociali devono investire in progetti convincenti, appetibili, competitivi, che abbiano un evidente impatto sociale e ambientale per le comunità, oltre che una sostenibilità economica.
Gli strumenti esistono, va solo compreso quali si adattino meglio alla propria organizzazione e progettualità; per farlo serve un pensiero strategico consistente. In quest’ottica possono essere ugualmente validi sia gli strumenti del passato (titoli di solidarietà, certificati di deposito, mini bond etc.), che vanno recuperati, o del presente-futuro (come il crowdfunding). Nel caso del crowdfunding, ad esempio, le imprese sociali dovranno rimettere in campo un principio forte della cooperazione sociale, ossia la mutualità, in modo che le donazioni diventino a tutti gli effetti capitale di rischio.
L’esistenza di piattaforme tecnologiche “competenti”, assieme a modelli organizzativi “strutturati” di impresa sociale (ossia in grado di mettere in campo sia competenze specialistiche che capacità relazionali), sono le premesse per utilizzare i nuovi strumenti finanziari come una “leva” per lo sviluppo. Ogni strumento in sé è neutro, ma indubbiamente genera opportunità: sta alle imprese sociali comprendere se quel dato strumento è adeguato alle proprie esigenze. E questo va fatto non in quanto ce lo chiede la riforma o in attesa del pieno compimento del processo normativo, ma perché ne va del futuro di questo comparto imprenditoriale, e va fatto subito. Gli imprenditori sociali devono riaffermare la loro identità ed esplicitare in modo chiaro le loro esigenze.
L’intervista prosegue su altri due punti:
- processi di rigenerazione a fini sociali, in particolare investimenti per il riutilizzo di beni immobili inutilizzati o sottoutilizzati;
- come interviene l’ecosistema a supporto dell’impresa sociale per in termini di capacity bulding.
Ascolta qui l’intervista completa!