Prosegue il mio percorso di critica sull’istituto – questo sconosciuto – dell’impresa sociale attraverso un excursus sul lavoro, o meglio, sul lavoro per l’impresa sociale.
Una argomentazione interessante intorno a questa inedita qualifica professionale l’ho riscontrata nel corso dell’edizione 2017 delle Settimane sociali, evento organizzato dai cattolici italiani, dedicato alla questione Sociale e andato in scena a Cagliari nel weekend appena trascorso.
I contributi emersi in occasione di questo appuntamento hanno tentato di rispondere alla sfida contenuta nel titolo dell’edizione, incentrata sul “Lavoro che vogliamo libero, creativo, partecipativo e solidale”.
Nel mio intento di descrivere il lavoro per l’impresa sociale credo si possa ripartire proprio da questa definizione, anche se suggerendone un riordino delle attribuzioni libero-creative-partecipative-solidali. Cambiando l’ordine degli addendi, propongo quindi di pensare, o meglio di volere un lavoro per l’impresa sociale che sia prima di tutto solidale, quindi partecipativo, di conseguenza creativo e, c. v. d. (come volevasi dimostrare), libero.