Bruni: “La ricchezza va condivisa”. “La ricchezza che non può essere condivisa non sazia, non appaga il nostro cuore. Alimenta soltanto la fame di vento, e produce il grande auto-inganno che la ricchezza in sé o l’aumento del patrimonio potranno domani saziare l’indigenza di oggi”. (Scopri di più su: SettimaneSociali.it)

Lo ha affermato questa mattina l’economista Luigino Bruni nel corso della riflessione biblica che ha aperto la sessione plenaria della seconda giornata della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani in corso da ieri a Cagliari. Commentando brani tratti dal Qohelet, Bruni ha osservato che “il frutto del lavoro e dell’industria può essere goduto solo se lasciamo uno spazio libero di non-lavoro”.

“È folle chi non lavora mai, più folle chi lavora sempre”, ha ammonito, rilevando che “soltanto gli schiavi e coloro ridotti in schiavitù dall’invidia e dall’avidità si affannano sempre e solo per il lavoro”. È difficile dire se oggi soffre di più il disoccupato che incrocia innocente le braccia o il manager superpagato che trascorre il Natale in ufficio perché il lavoro poco alla volta gli ha mangiato, come tutti gli idoli, anima e amici”.

In una civiltà “costruita attorno alla condanna dell’ozio”, sono “sofferenze diverse, entrambi molto gravi, ma la seconda non la vediamo come follia e vanitas, e la incentiviamo”. “Il lavoro che diventa poco a poco tutto, distrugge le poche relazioni rimaste, e così si lavora ancora di più”, ha aggiunto, rilevando che “il giorno veramente triste è quello quando rinunciamo a soffrire per la nostra infelicità e ci adattiamo ad essa. Ci convinciamo di star bene nella trappola nella quale siamo caduti, e non chiediamo più nulla, per non morire”. Ma “la vita – ha notato l’economista – non funziona se si è soli. Quando restiamo soli siamo fragili, vulnerabili, miseri”.

“Il salario buono è quello che può essere condiviso. Il senso vero del lavoro è avere qualcuno che attende il nostro salario. Il salario senza un orizzonte più grande dell’io è un sale senza massa da insaporire”. Bruni ha osservato che “il nostro tempo sta perdendo il giusto tempo del lavoro anche perché ha spezzato il legame tra lavoro e famiglia”. “L’offerta di nuovi beni e servizi per accompagnare le solitudini – ha aggiunto – sta diventando ampia e sofisticata con la vendita di beni pseudo-relazionali”. “Produciamo persone sempre più sole e produciamo sempre più merci per saziare solitudini insaziabili”, ha denunciato l’economista.

Bruni ha poi rilevato che “se vogliamo salvare i poveri dall’oppressione vanno abbattute le piramidi che producono vittime”. “L’ideologia neo-manageriale – ha spiegato – sta sostituendo i rapporti gerarchici con gli incentivi, che ci vengono spacciati come relazioni orizzontali, contratti liberamente scelti da tutte le parti”. La Bibbia, ha aggiunto, “ci dice che il povero resterà ‘oppresso’ e le vittime si moltiplicheranno finché non impareremo a tradurre il principio di fraternità nella governance di imprese e istituzioni”. “Quando il denaro da mezzo diventa fine – ha sottolineato – si trasforma in uno strumento creatore di infelicità infinita”.

“Non è mai stato il lavoro – ha aggiunto Bruni – a generare le grandi ricchezze. Queste sono quasi sempre prodotte dalle rendite, cioè da redditi che nascono da qualche forma di privilegio, di sopruso, di vantaggio. E le rendite generano parassiti, consumo improduttivo, da cui non nasce né lavoro né felicità per nessuno”. Bruni ha rilevato che “la ‘sindrome parassitaria’ appare puntuale nei tempi di decadenza morale, quando imprenditori, lavoratori, intere categorie sociali smettono di generare oggi lavoro e flussi di reddito nuovo e investono energie per proteggere i guadagni e i privilegi di ieri”.

“Il parassitismo – ha spiegato – è una malattia che non ritroviamo solo nella sfera economica” ma “cadono in questa sindrome, ad esempio, quelle comunità o movimenti che divenuti grandi e belli grazie al lavoro dei fondatori e della prima generazione, invece di sviluppare il patrimonio ereditato con nuovo lavoro, rischio, creatività, iniziano a vivere di rendita, sazi del passato, incapaci di generare ‘figli’ e futuro”.

“La sindrome parassitaria – ha aggiunto – è ancora la principale causa di morte di imprese e di comunità”. L’economista ha poi raccontato che “ci sono milioni di persone, ricche e povere, imprenditori e casalinghe, che riescono a dare sostanza e felicità alla propria vita semplicemente lavorando”. Così “il lavoro è generatore di gioia perché occupandoci in una attività non-vana distoglie il cuore dal ‘pensare troppo’ e male alle vanità pur reali della nostra vita”.

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